DON GIOVANNI MAZZOLENI

UN PASTURESE AL CENTRO DELLE TRASFORMAZIONI

OTTOCENTESCHE DI MILANO


Milano ha sempre rappresentato il baricentro lombardo, meta di immigrazione da territori via via più ampi che nel Novecento hanno raggiunto una dimensione nazionale ed internazionale. Benché non siano mai stati calcolati dati sull’emigrazione valsassinese di lungo termine a Milano, si può individuare nell’Ottocento il secolo più interessato dal fenomeno. Analogamente, se si considera la tradizionale divisione di Milano nei sei sestieri e a loro volta in parrocchie, non è possibile individuare una parrocchia dove i valsassinesi prediligessero prendere residenza.
     Fino all’unità d’Italia, i valsassinesi che si trasferivano in città prendevano residenza nelle parrocchie della città vera e propria, all’interno della cerchia muraria spagnola che ancora la delimitava, come risulta dai dati raccolti da Paolo Sala ne I registri parrocchiali asburgici nella Milano del XIX secolo. Dagli anni Settanta mete favorite divennero i nuovi rioni che nacquero in quel periodo fuori dalla cerchia muraria, demolita tra Otto e Novecento, i cosiddetti “corpi santi” perché antichi luoghi di sepoltura, che a corona circolare separavano la città dal contado e avevano una giurisdizione autonoma dall’una e dall’altro. L’amministrazione di questo particolare comune fu inglobata in quella del capoluogo nel 1874. In questo territorio sorgevano le parrocchie di S. Barnaba in Gratosoglio, S. Francesca Romana, S. Giovanni Battista alla Cagnola, S. Gottardo e S. Maria al Naviglio, S. Lorenzo in Monluè, S. Maria in Calvairate, S. Maria alla Fontana, Ss. Nazaro e Celso alla Barona, S. Pietro in Sala, Ss. Pietro e Paolo ai Tre Ronchetti, Ss. Rocco, Carlo e Aquilino e Ss. Trinità.
     
Tra queste, furono maggiormente interessate dall’immigrazione dalle valli alpine quelle che si trovavano nella porzione settentrionale come S. Francesca Romana, appena fuori da Porta Venezia e adiacente al Lazzaretto, che nel 1882/1890 fu demolito, lottizzato e in breve volger d’anni rappresentò forse la più grande speculazione edilizia della storia lombarda. In quegli anni, dal 1865 al 1895, la parrocchia fu retta da don Giovanni Mazzoleni, nato a Pasturo il 1° settembre 1824, ordinato sacerdote nel 1847, coadiutore a Perledo, Barzio, Castelnovate, Segrate e a S. Francesca Romana dal 1856. Anche due suoi fratelli erano sacerdoti: don Marco (n. 1817, ord. 1840, coadiutore anch’egli in S. Francesca Romana dal 1864, dove morì nel 1867) e don Gregorio (n. 1827, ord. 1851, morto nel 1910 parroco di Verano Brianza). Don Vincenzo Cavenago, in un suo libro di alcuni anni fa, Santa Francesca Romana: storia di una parrocchia di Milano, dedica un lungo capitolo con parole di grande stima e apprezzamento a don Giovanni.
     Quando i Savoia arrivarono a Milano nel 1859, impedirono all’arcivescovo di esercitare le proprie funzioni, creando fino al 1867 un vuoto di potere che condannò la parrocchia ad una lunga vacanza tra la morte del parroco don Vitali nel dicembre 1862 e la nomina di don Mazzoleni nel maggio 1865. Gli anni di don Mazzoleni furono quelli forse carichi di maggiori trasformazioni nella storia del nord-est cittadino: con la realizzazione della vecchia stazione centrale, la demolizione del Lazzaretto ed il conseguente sviluppo demografico: la sua parrocchia passò tra il 1862 ed il 1895 da 4.146 persone a oltre 42.000: la più popolosa della Diocesi, nonostante nel 1885 un’ampia porzione di territorio fosse stato staccato per costituire la nuova parrocchia di S. Gioachino. In quegli anni e in quel territorio che diventava città, nacquero industrie e tensioni sociali e politiche inaudite, scatenate dalla politica liberale del primo decennio unitario e dalla breccia di Porta Pia del 1870, che ebbero ripercussioni più pesanti nelle città che al di fuori di esse (divieto alle processioni, introduzione del matrimonio civile, cessazione delle competenze anagrafiche e delle attestazioni di povertà ai parroci, leggi eversive contro il patrimonio degli enti ecclesiastici).
     Benché don Giovanni si collocasse tra gli intransigenti nella conservazione della chiesa, sia sul piano spirituale che temporale, si dimostrò un parroco moderno ed attento alla dimensione sociale intraprendendo molte opere pionieristiche che verranno estese a tutta la diocesi dal card. Ferrari nei decenni successivi: l’asilo infantile (1866) e la catechesi per i più piccoli, la fondazione del convento cappuccino di viale Piave (1876), l’istituzione delle conferenze di S. Vincenzo, ed il nuovo oratorio giovanile (1878). Rinnovò la chiesa parrocchiale con il battistero (1870), l’organo (1873), l’impianto di illuminazione a gas (1876), gli acquisti della nuova Via Crucis (1877) e degli arredi sacri, la costruzione del campanile con concerto di cinque bronzi e della casa per i coadiutori (1890/92) e la rimodulazione della facciata della parrocchiale (1894). Nel 1867 andò pellegrino in treno a Roma per il 18° centenario del martirio dei Ss. Pietro e Paolo, e nel 1893 fu insignito da papa Leone XIII della croce Pro Ecclesia et Pontifice. Nel 1882 acquistò dal Credito Italiano la chiesa dell’ex Lazzaretto,
la ristrutturò e dedicò a S. Carlo al Lazzaretto salvandola dalla distruzione e mettendola a servizio della sua vastissima parrocchia che aveva l’intero corso Buenos Aires come asse centrale e raggiungeva corso Indipendenza e via Melchiorre Gioia.
     

Si spense il 31 gennaio 1895. Al funerale fu posta sul portale della chiesa l’epigrafe: “Al Prevosto Giovanni Mazzoleni, per 30 anni rettore solerte di questa chiesa, sacerdote d’intemerati costumi, di soda pietà e di forte intelletto, padre amoroso dei poveri, vigile custode del suo gregge, clero e popolo, amareggiati di tanta perdita, con grato e devoto animo implorano la corona dei giusti”; la predica fu tenuta da don Davide Albertario. Le sue spoglie furono sepolte nel cimitero di Pasturo, dove ancora si legge la lapide che riecheggia il cartello e ricorda l’“inalterabile fedeltà alla Chiesa e al suo Capo” riconosciuta dalla decorazione che ottenne da Leone XIII.

 

                                                                               Federico Oriani


IL GRINZONE n.49