LE CASERE DI PASTURO CELEBRATE IN FRANCIA


La tradizione casearia è radicata in Valsassina dalle età più antiche come testimonia il fatto che il primo insediamento di cui si ha traccia, in Valbiandino, era un ricovero stagionale per allevatori che conducevano il bestiame all’alpeggio estivo.

Le fonti storiche sul formaggio valligiano sono piuttosto esigue fino agli Ottanta dell’Ottocento, quando l’abilità sviluppata nella lavorazione e i fattori ambientali della disponibilità di pascoli e di grotte adatte alla stagionatura consentirono alla produzione di assumere dimensioni industriali. I formaggi stagionati divennero in breve volger d’anni il principale veicolo per conoscere la Valsassina e in particolare Pasturo.
Quasi tutte le più importanti imprese di origine valsassinese ancora oggi presenti nel settore caseario nacquero in quegli anni. Nel 1885 Giovanni Locatelli inaugurò la filiale londinese della ditta Mattia Locatelli nata a Ballabio Inferiore nel 1860. Nello stesso paese, nel 1882, anche Egidio Galbani iniziò il commercio di formaggi; il medesimo anno a Introbio nacque la Cademartori.

Intanto a Milano si sviluppava intorno a corso San Gottardo il “borgo dei formaggiai” dove avevano sede grandi imprese commerciali che dalla pianura e dalla montagna importavano formaggi in città e li esportavano in tutta Europa. Nei primi anni del Novecento, per unire la villeggiatura al commercio, alcuni di questi imprenditori decisero di prendere casa in Valsassina. Ad esempio la famiglia Corsi, che aveva casere a Balisio e a Pasturo in località Rompeda, acquistò una villa a Barzio sulla strada per Cremeno. Le prime casere sorte a Rompeda furono quelle di Antonio Zazzera e Pietro Polenghi di Codogno (1881) a cui seguirono quelle dei Corsi di Milano e di Giovanni Bodega di Maggianico (1887). La strada carrozzabile ad uso degli stabilimenti fu costruita nel 1888/1890.

Di quest’epopea del formaggio in Valsassina si appropriò anche la leggenda al punto che Renzo Buzzoni nel suo libro di cronache ricorda di un suo prozio barziese: “Si dice che Gilardo Buzzoni sia stato il primo a fare dei fori nelle forme di gorgonzola per facilitare la loro maturazione. Facendo penetrare dell’aria in questi fori, si formavano con maggiore facilità quelle muffe di color verdastro che sono caratteristiche di questi formaggi. In tal modo la maturazione avveniva in minor tempo con vantaggio finanziario”.

La fama e il commercio degli stracchini, che anche Salvatore Farina in Fra le corde d’un contrabasso (1882) qualifica come “già riveriti e mangiati anche in Londra”, derivano in questi anni dalle grotte di Pasturo e dintorni, che iniziano ad essere conosciute in tutta Europa. Della loro fama continentale è testimonianza un articolo apparso in due parti il 27 novembre ed il 4 dicembre 1887 su “Le cultivateur Aveyronnais”, settimanale agricolo illustrato di Rodez, capoluogo del dipartimento dell’Aveyron nella regione del Midi-Pirenei nel sud della Francia, che è curioso leggere in traduzione italiana:


Leggiamo ne l’“Industrie Laitière”:

 Le grotte ghiacciate del gorgonzola

 Tutti i nostri lettori conoscono di nome le grotte di Roquefort; sanno che queste grotte nelle quali il formaggio Roquefort, con una lenta maturazione, acquisisce la sua qualità e la sua finezza, devono la loro temperatura fredda, così come una certa umidità dell’aria, a delle fessure e crepacci della montagna alla quale sono addossate. L’aria che circola sotto terra arriva alle grotte attraverso dei corridoi o sfiatatoi. Vi apporta una temperatura media di circa 8° che si oppone ad una fermentazione troppo rapida del celebre formaggio e che ne favorisce la maturazione lenta, una delle principali ragioni, noi diciamo, della sua delicatezza.

Ciò che è meno noto è che un formaggio italiano, che ha una certa analogia con il Roquefort, è parimenti stagionato in grotte fredde che ricordano quelle dell’Aveyron.
Il formaggio gorgonzola (perché è di questo che si tratta) trae il suo nome da un borgo che si trova ad una qualche distanza da Milano. Questa località era un tempo il centro di produzione del formaggio in questione. Il gorgonzola si produceva allora soltanto in autunno in concomitanza con la discesa delle mandrie dai monti dell’Italia settentrionale. Ma il consumo, sia all’interno che all’estero, è cresciuto rapidamente e la produzione ha raggiunto una notevole importanza. Oggi il gorgonzola viene prodotto in gran parte della Lombardia ed in Piemonte, sia in montagna che in pianura. Inoltre i produttori, per soddisfare la domanda dei consumatori, sperimentarono di produrlo anche in estate oltre che in autunno. Ma per i contadini della pianura si presentava una grande difficoltà – il clima: in effetti, mentre il formaggio prodotto in settembre-ottobre, quando la temperatura scendeva, poteva senza troppi rischi essere curato nelle grotte dei fabbricanti, cioè presso di loro, non era così per quello che veniva prodotto durante la stagione calda.

Il formaggio poco salato – per nulla o poco pressato – non poteva rimanere molto nelle grotte troppo calde senza danno per la sua qualità. Si deteriorava rapidamente; impossibile conservarlo o portarlo ad una corretta e sana maturazione. In una parola la produzione in estate non aveva successo e non riusciva ad imitare ciò che i produttori di Roquefort facevano con tanto successo.
Tali erano le preoccupazioni del capo della più grande azienda italiana, il Signor Antonio Zazzera di Codogno. Trovare una “grotta gelata” nella pianura lombarda, questo immenso e ricco paese piatto come una tavola, c’era solo da sognarselo. Ma nella parte montuosa, alpestre, nelle zone verso la Svizzera ed il Tirolo ci potevano essere delle preziose risorse da utilizzare per un’industria in espansione, impedita nel suo sviluppo da forza maggiore, il clima. E’ in una valle laterale del lago di Lecco che il signor Zazzera la trovò. Con questo spirito d’iniziativa che caratterizza il grande imprenditore, si mise all’opera e dopo qualche mese (sono circa 6 anni da allora) la prima grotta gelata d’Italia ricevette i primi gorgonzola per la loro stagionatura.

La “Valle Sassina”, o valle rocciosa, è una valle eminentemente alpestre. Dalle sorgenti del torrente che la percorre, la Pioverna, fino al lago di Lecco nel quale si getta, la valle disegna un immenso semicerchio di circa 30 chilometri di lunghezza. Da ambo i lati le montagne si elevano, si superano, dominano – monti rocciosi dalla forme bizzarre e molteplici. Il turista, il geologo, il botanico vi trovano ampia soddisfazione. Da Lecco la strada sale, attraverso Castello e Laorca, fino al colle che dà accesso alla valle. Dopo poco passiamo da Ballabio. Da questo villaggio a Pasturo, dove si trovano le grotte, c’è appena qualche chilometro. Pasturo è un villaggio pittorescamente abbarbicato alle pendici della Grigna, montagna imponente nella quale si trovano le grotte ghiacciate. Un sentiero vi ci conduce, sentiero che fino ad oggi non è praticabile che con i muli o a piedi. Sul percorso ci incrociamo con le carovane di muli che scendono dalle grotte. Ogni animale porta due panieri contenenti una dozzina di formaggi. Sono formaggi fatti, maturi, pronti per essere spediti. A Pasturo sono caricati sulla vettura che li porta alla stazione di Lecco. Ma eccoci alle grotte. Qualche anno fa non ce n’era che una sola, quella del battistrada di questa nuova attività. Ma la concorrenza è in agguato. I felici risultati che il signor Antonio Zazzera ottenne nelle nuove grotte furono ben presto noti ed attualmente una mezza dozzina o più di aziende concorrenti si sono stabilite nelle immediate vicinanze della grotta Zazzera. I terreni migliori hanno decuplicato il valore in poco tempo e nuove gallerie più o meno fruttuose sono state scavate nei fianchi delle montagne vicine.

Arrivammo quindi alla fine dell’escursione contemporaneamente ad una dozzina di muli che, a loro volta, portano formaggi ad affinare, arrivati al mattino da Lecco. La temperatura delle grotte è di circa 10° che per questa calda giornata d’agosto è particolarmente fresca. Avvicinandosi agli spiragli fatti nel muro e che comunicano con le correnti d’aria sotterranee il fresco è ancora più sensibile e la fiamma della lampada che tiene il “grottista” nostra guida ne evidenzia abbastanza la forza. La roccia della Grigna è friabile. Numerose sorgenti, dalle cascate sotterranee di cui si sente il rumore, zampillano da tutte le parti – una delle più importanti si trova nelle immediate vicinanze delle grotte e tali sono la sua ricchezza e la sua limpidezza che il Comune di Milano è in trattative per acquistarla e canalizzarla fino alla capitale della Lombardia, con una condotta di 150-200 chilometri – una inezia …

Nella grotta, i formaggi sono piazzati su numerosi scaffali. Da una parte ci sono i “bianchi”, cioè i formaggi bianchi che devono maturare senza screziarsi. Ci sono dei conoscitori che li preferiscono così. Dall’altra parte vedete delle file di formaggi punti dall’ago a guisa dei formaggi Roquefort. Questi ultimi dovranno screziarsi – cioè la pasta si coprirà più o meno di funghi microscopici – saranno “erborinati” con il tempo o “persillés” (chiazzati di verde) come si dice in Francia.

Il gorgonzola, quando è ben prodotto con latte non scremato e quando il suo affinamento è completato, è un formaggio delizioso che può rivaleggiare con il Roquefort. Se mi si fosse chiesto di scegliere, li prenderei entrambi piuttosto di fare un’ingiustizia ed accorderei ai due tipi la stessa predilezione.
Bisogna tuttavia ammettere, la fabbricazione del gorgonzola è lontana dall’essere regolare. Ci sono sicuramente degli artigiani che hanno la mano felice, che riusciranno quasi, ma che irregolarità nella consistenza della pasta quando con una sonda in mano percorrete gli scaffali per esaminare la produzione della grotta!

Non temo di dire che c’è molto da fare su questo fronte. L’industria casearia italiana è ancora dominata dalla praticaccia; l’uso del termometro è eccessivamente ristretto e il produttore manca di conoscenze serie sulla materia prima, il latte. Non ce n’è presso il “fittabile”, il fattore che è produttore. Salutiamo di sfuggita gli sforzi (finora poco fruttuosi) del Governo italiano in favore del progresso di questa industria così importante.
Attualmente le grotte gelate di Pasturo ricevono una media di circa 150.000 forme all’anno, che se ne vanno stagionati e pronti per il consumo o quasi. Considerando il peso medio di 6 chilogrammi per forma arriviamo alla rispettabile cifra di quasi un milione di chilogrammi. E’ evidente che il trasporto con vetture da Lecco a Pasturo, lo scarico ed il ricarico di Pasturo a dorso di mulo, costituiscono una spesa considerevole, senza tener conto della perdita di tempo doppiamente pregiudizievole a causa della temperatura calda e per un formaggio molle, fresco, appena prodotto. Ecco perché gli imprenditori interessati hanno presentato un’istanza al Comune di Pasturo per la costruzione di una strada carrozzabile fino alle grotte stesse, e presto o tardi vedremo una strada ferrata collegare Lecco con la famosa valle rocciosa. La “valle Sassina” è un territorio molto industriale, dalla parte di Lecco, l’industria del ferro (filo di ferro, utensili, ecc.) è molto importante. Aggiungete a questo il movimento incrociato, l’andirivieni dei formaggi – in estate, l’affluenza molto comprensibile, in fede mia, dei turisti e di chi fa le cure termali e riconoscerete che la strada ferrata ha buone ragioni di esistere.

Al primo livello della Grigna troviamo numerose baite. Vi si produce il gorgonzola così come lo stracchino. L’ascensione di questa montagna rocciosa è alquanto faticosa e conosco dei miei cari colleghi della Société d’Encouragement che preferivano contemplare la sua vetta maestosa... dal basso sorseggiando dolcemente il bianchino che vi serve la ragazzetta dell’Albergo del Sole.
Una vista splendida ricompensa però chi effettua l’ascesa, vista che si stende sui tre grandi laghi italiani e sull’imponente catena delle Alpi. – La vetta molto stretta si trova fiancheggiata d’immensi precipizi, di profonde fenditure. In questi giganteschi bacini naturali passano l’estate centinaia di piedi di neve, poiché il sole non vi penetra ed è questo che spiega sia la ricchezza di sorgenti inesauribili della Grigna sia le preziose correnti d’aria raffreddate senza sosta dall’acqua glaciale che si infiltra nella montagna dalla roccia porosa e friabile. Risorse preziose che la natura mette a disposizione del lavoratore che sa profittarne.

Una guida è indispensabile per chi, dopo aver visitato le grotte – il sotto – viene a rendersi conto del sopra. Gli raccomando il falegname del paese, il bravo Celestino Invernizzi dal carattere allegro e dal canto melodioso, “che si direbbe del merlo”... e di portare giù alla sua cara metà, alle sue incantevoli cognate ed anche a sua suocera dei mazzolini di stelle alpine che abbondano a quelle altezze.

                                                               P. Schule

Parigi, novembre 1887

 

La stampa agricola di Rodez tornò ad occuparsi delle grotte valsassinesi vent’anni più tardi con un articolo apparso sul numero del 19 aprile 1909 della rivista di divulgazione agricola “Le cultivateur du sud-centre”, che accenna all’integrazione con l’altro prodotto valsassinese di punta di quegli anni: la barite estratta a Primaluna, Cortabbio e Cortenova a partire dal 1860.

Le prime casere, quelle descritte da Schuler, entrarono in crisi durante la Prima Guerra Mondiale, i grossi commercianti “avendo impiantati nei luoghi di produzione vasti locali, mantenuti freschi da macchine frigorifere. Il prodotto riesce meno delicato, ma l’imprenditore guadagna di più. Negli anni 1917 e 1918 fu levato il tetto a molte casere abbandonate […] si annuncia pure la demolizione dei restanti edifici”, come scrisse Andrea Orlandi nel 1919. La crisi dei produttori della generazione precedente favorì lo sviluppo di nuove imprese: come la Emilio Mauri, nata nel 1920 a Maggianico e dal 1929 a Pasturo, e la Ciresa di Bindo, nata nel 1927.

 

Il trattamento del formaggio gorgonzola in Valsassina

Il “Bulletin de la Chambre de commerce française” di Milano fornisce i seguenti suggerimenti sul trattamento del gorgonzola che è, come si sa, simile al nostro Rocquefort, nelle casere della Valsassina.

Il trasporto delle forme di gorgonzola in Valsassina per la stagionatura inizia in primavera, in maggio e giugno, e prosegue per tutta l’estate.
Fanno ritorno verso l’autunno, in ottobre e novembre. Li si invia alla stagionatura tra i 15 ed i 25 giorni dopo la fabbricazione, cioè quando hanno raggiunto il grado di secchezza voluto e quando hanno bisogno d’una temperatura bassa e costante per raggiungere la loro regolare maturazione.

Ne arrivano grandi quantità dalla Lombardia, dalla Lomellina; la ferrovia li porta fino a Lecco, e da lì li si trasporta, su carri trainati dai buoi, nelle casere disseminate nella valle. Sono imballati in forme cilindriche di legno ed il numero delle forme deteriorate lungo il viaggio è insignificante.

La Valsassina è una valle piacevole e sorridente, ricca di prati e di grassi pascoli, si sviluppa parallelamente al lago di Lecco.
La valle, iniziando a Lecco, sale rapidamente fino ad una considerevole altezza. Si incontrano le prime casere a Ballabio Superiore; ve ne sono di numerose anche a Introbio, ma le località più rinomate sono Maggio, Barzio, Pasturo, Baiedo. Le più alte sono a Pasturo, ad una quota compresa tra i 700 ed i 900 metri sui fianchi della Grigna.
Nelle casere si ottiene la temperatura voluta per la maturazione, sia naturalmente (in celle addossate in forma di grotte ai fianchi della montagna e che utilizzano a questo scopo le correnti d’aria fresca provenienti dagli sfiatatoi naturali) sia artificialmente, per mezzo di ghiaccio raccolto in inverno o con l’aiuto di apparecchi frigoriferi azionati da motori elettrici.
Le casere naturali o grotte sono molto numerose, addossate ai fianchi della montagna e formano un solo locale al livello del terreno o anche qualche metro al di sotto. L’interno è occupato da scaffali di tavole di legno sui quali vengono poste le forme. E’ in queste casere, che possono contenere da 10.000 a 30.000 forme ed anche di più, che si ottiene il grado di temperatura e di umidità conveniente alla maturazione del gorgonzola.

Ma, da qualche tempo, si installano delle casere che definiremo artificiali: sono quelle dove il freddo viene ottenuto col ghiaccio naturale o con l’installazione di frigoriferi; le si costruisce nelle posizioni più comode per il trasporto dei formaggi. Queste casere sono, generalmente, più vaste di quelle naturali e si compongono di ampie costruzioni di due o tre piani in muratura molto spessa dove i formaggi scendono successivamente dal punto più alto fino al basso dove la temperatura è inferiore. Sono gestite con tutti i perfezionamenti possibili: illuminazione elettrica, montacarichi per il trasporto delle forme, eccetera.
Ve ne sono oggigiorno che possono contenere da 50.000 a 60.000 forme.
Si è sottolineato che i formaggi maturati sul luogo di produzione non hanno un sapore così fine come quelli che maturano nelle casere anche artificiali della Valsassina.

La ragione è forse che ci si trova a 800 metri sul livello del mare e che le condizioni climatiche ed atmosferiche a quella quota sono molto differenti quanto a temperatura, umidità, composizione dell’aria eccetera.

Una volta giunti alla casera, i formaggi ancora freschi e bianchi vengono messi in fila sulle tavole di legno sovrapposte nel piano più elevato; là li si spolvera abbondantemente di sale e li si lascia così per uno o due mesi. Dopo questo periodo li si trasporta ai piani inferiori, cioè nelle cantine dove rimangono ancora altri due mesi per ultimare la loro maturazione.

Per sviluppare ugualmente, in tutte le forme, le venature verdastre che gli amanti del gorgonzola apprezzano, quando i formaggi passano al piano più fresco vengono forati su tutti i lati con lunghi aghi di rame. E’ così che si assicura che tutte le forme prendano queste screziature verdastre ad imitazione di erbe pestate.

Quando si vedono i formaggi prendere un colorito rossastro e screpolarsi sono a puntino e la loro maturazione non lascia nulla a desiderare; del resto è quello che assicurano i negozianti sondandoli, vale a dire estraendo dall’interno del formaggio, con l’aiuto di uno strumento ad hoc, un pezzettino sufficiente per giudicarne la finezza della pasta. A questo punto li si prepara e li si imballa per la spedizione.

La preparazione consiste nel rinforzare la crosta con l’aiuto di un strato di barite.
Il gorgonzola ha una pasta grossa, molle, poco sostenuta e di dimensioni alquanto forti, ne consegue che è soggetta ad ammorbidirsi, a deformarsi e a schiacciarsi; la sua crosta esigua e screpolata non offre abbastanza resistenza, principalmente in estate si ammorbidisce troppo e non è più vendibile. I negozianti hanno dunque riconosciuto che è necessario rinforzare la crosta con uno strato di un certo spessore. Essi fanno subire ai formaggi i seguenti trattamenti: si prepara una pasta omogenea di barite impastando del solfato di bario in polvere nel grasso di maiale sciolto e si applica uno strato di un certo spessore sulla superficie del formaggio.
Poi, come la crosta del gorgonzola ben riuscita è venata di rosso e di bianco, si spalma questo primo strato con un’altra pasta fatta di color rosso e di grasso sciolto. Infine per terminare si spolverano i formaggi con polvere di solfato di bario.
In poco tempo questo rivestimento si indurisce e forma una crosta artificiale. Si imballano poi i gorgonzola con cura in scatole o in panieri rotondi.

Il solfato di bario è molto abbondante nei monti della Valsassina; ridotto in polvere mediante tritatura, si vende a L. 5 circa al quintale.
Gli industriali trovano vantaggio nell’utilizzare questo prodotto sia per il basso prezzo che per il suo peso; la barite è sempre usata a profusione e veramente questo uso favorisce perfettamente la conservazione dei formaggi.

Il Governo francese ha proibito l’importazione in Francia del gorgonzola rivestito di bario.
Questa misura ha avuto poi un contraccolpo sull’esportazione italiana in Francia, che è sensibilmente diminuita in questi ultimi mesi, e ciò può avere una ripercussione ancora più grave sull’esportazione italiana verso l’Inghilterra e l’America. Se questi due Stati adotteranno una simile misura, ciò porterà un gravissimo colpo all’industria del gorgonzola così florida in Italia.

                                                           

                                                                                            Aldo e Federico Oriani

IL GINZONE n.35 e n.36