I HAVE THE BLUES


Così come il Blues è nato dalla sofferenza,
dalla condizione di schiavitù e sfruttamento
dei neri in America,
dal loro dolore,
misto a nostalgia
e tristezza....
da una malinconia che
lentamente si è fatta strada
e nelle note basse
e profonde
ha cercato...
e trovato poi
il modo di raccontarsi
e di urlare – ma a bassa voce, un urlo afono -
il proprio dolore.
E poi
lentamente
si è fatta nota
e musica
e canto,
un po' trascinato,
come i passi stanchi
di chi ha sofferto troppo,
oltre il proprio limite...

Da questo è nato il Blues, dal dolore dell'anima; ed ha cambiato la musica, arricchendola del suo stile e spessore, portando con sé qualcosa che non c'era prima...



Così è stato per lui, per il suo percorso artistico ed umano: Francis Nathan Abiamba –  in arte Afran – ha raccontato di sé e della propria anima Blues, in una performance dal vivo svoltasi lunedì 23 novembre all'interno degli incontri “I lunedì de il Grinzone”, presso il cine-teatro Bruno Colombo.

La serata si è sviluppata in tre tempi, dalla pittura dal vivo alle fotografie di altre opere e sculture, all'incontro e dialogo col pubblico.

Comunicativo ed efficace nell'uso delle parole e dei silenzi, disponibile a raccontarsi e per niente preoccupato di apparire di più di quel che è, uno che “non se la tira” insomma.
Eppure noi abbiam visto un grande talento, uno di quelli veramente bravi, che lasciano senza fiato mentre ti chiedi: “Ma come fa?”

Come si fa a dipingere a rovescio, di getto, con pennellate apparentemente disordinate e poi, girando la  tela – grande e nera -  quello che era disordine diventa senso compiuto e si rivela essere il volto di Gandhi?

E da qui a Hitler e poi  ha continuato a dipingere e dai colori è apparsa la sagoma dell' Urlo...

Il percorso, che partito dal simbolo della pace per eccellenza, il Mahatma, è passato agli orrori dell'umanità e la sua disperazione, si è concluso in un omaggio a Caravaggio, al suo Amor vincit omnia, l'Amore trionfa su tutto.

Questo passaggio è stato realizzato senza utilizzare i pennelli ma le mani, in un rapporto col materiale che va oltre  il controllo, per farlo proprio, quasi metabolizzandolo. 

Non è stata però solo una performance tecnica; Afran ci ha emozionato con la sua intensità e modalità espressiva. Ha parlato di sé e della sua anima blues, dei periodi più bui della sua vita e  citandone uno in particolare: erano arrivati da poco in Valle, né lui né la moglie avevano un lavoro e lui era poco conosciuto; la vita era veramente dura e di tanto in tanto gli si  presentava l'idea del suicidio... così, come una possibilità che lo sfiorava e che era lì  quasi a guardarlo.

Dentro ed intorno a sé vedeva il buio ed il richiamo di morte si ripeteva; forse per nostalgia, forse per desiderio di vita e di colore, proprio in quel periodo ha dipinto volti coloratissimi, dai grandi sorrisi ed occhi pieni di luce... e poi ancora colore e colore.

Ho ricevuto molti apprezzamenti per quei lavori ed i commenti di chi guardava rivelavano i luoghi comuni sugli africani... Ma quale allegria, quale gioia, quale musica nel sangue?!... se solo avessero saputo come stavo veramente...”


Ora la disperazione è passata, ma la capacità di coglierla e trasformarla è rimasta, così come si può vedere in alcune sue opere sui muri del territorio; mi riferisco in particolare al grande murales che si incontra uscendo dal tunnel, vicino all'Ospedale Manzoni, ma ve ne sono altri e lo stile è inconfondibile.

Oltre alle sculture in cui utilizza il jeans, non solo come materiale “urbano”, facilmente reperibile, ma anche come simbolo  del mondo della moda e dell'apparire, Afran ama particolarmente la street art;  essa rappresenta una sfida per l'artista, un passaggio importante; la responsabilità della visibilità della propria opera, che niente ha a che fare con l'imbrattamento dei muri.

Attualmente utilizza l'arte di strada nel rispetto delle regole, sui muri destinati ed individuati dalle amministrazioni locali


E, vista la grandezza  del suo talento, perchè non pensare ad una sua opera in paese?

                                           

                                                                                                                                                                                                                                            Carmen Ravasio

 


IL GRINZONE n.53