Briciole di storia pasturese VII parte

 



 

BRICIOLE DI STORIA PASTURESE  

dagli archivi parrocchiali valsassinesi (VII parte)

 

Pasturo: terra di intagliatori (e non solo)


Nel corso dei secoli Pasturo ha dato i natali ad artisti e artigiani più o meno noti oppure è stata la loro residenza temporanea o definitiva. A fare la parte del leone sono stati soprattutto i pittori. In questo campo possiamo ricordare il valsoldese Francesco Cironi (o Cerone), che sposò la pasturese Pedrina Ticozzi del ramo Notari e che fu attivo come pittore, intagliatore e indoratore in Valsassina e nelle terre limitrofe tra il terzo quarto del Cinquecento e i primi del Seicento1. Un altro pittore, decisamente più famoso, che lasciò a Pasturo un discreto numero di opere e vi prese dimora anche per un po’ di tempo, fu il fiorentino Luigi Reali (1606 - post 1660), artista girovago molto attivo in Valsassina negli anni tra il 1643 e il 16602. A fine Seicento si distinse poi il pittore milanese Carlo Filippo Vignati, autore nel 1691 della pala con il Martirio di S. Pietro da Verona nella omonima chiesa di Baiedo e di altre tele valsassinesi, a lui assegnate per via documentaria o stilistica (Primaluna, Maggio di Cremeno, Pasturo e Cortenova)3. A fine Ottocento furono attivi il pagnonese Giovanni Maria Tagliaferri (1809-1879) con suo figlio Luigi (1841-1927)4 e il valdamagnino Antonio Sibella (1844-1900)5, che lavorarono sia nella chiesa parrocchiale di S. Eusebio sia in quella di S. Pietro Martire. Nel Novecento, infine, furono attivi in quel di Pasturo il milanese Aldo Carpi (1886-1973) con un giovanissimo lecchese Ennio Morlotti (1910-1992)6 e il bellanese Giancarlo Vitali (1929-2018)7, coadiuvato dall’artista-restauratore cremonese Gino Garoli (1928-2013). 

Nella decorazione a stucco si è segnalata la fiorente bottega degli Aliprandi, una famiglia intelvese di mastri e stuccatori stabilitasi nel paese ai piedi della Grigna nel 1611 e attiva fino ai primi decenni del Settecento con Ambrogio, Carlo, Domenico, Giacomo Antonio, Giovanni Battista,  Giovanni Domenico, Lorenzo e Pietro8.

Nell’ebanisteria, infine, si è distinta la bottega dei Pigazzi, una famiglia pasturese, che fu particolarmente vitale in questo settore dal tardo Cinquecento all’Ottocento con Bonaventura, Cipriano, Domenico, Giovanni Maria, Marco e Pietro, tanto per fare qualche nome: le loro opere sono già state oggetto di studio e si dispone di un catalogo sia pure sommario9, anche se manca una ricostruzione storica dei loro profili biografici, che mi riprometto di fare in un prossimo futuro.

Oltre ai Pigazzi, si dedicarono all’intaglio anche altri due pasturesi: Gerolamo Costadoni attivo nel 1790 a Maggio10 e Calimero Cimpanelli di cui ci occuperemo in questa puntata.

Per la cronaca, meritano di essere menzionate, al termine di questa carrellata, anche le artistiche sculture lignee del contemporaneo Lionello Taddeo11.

  

 Mastro Calimero: chi era costui?


Figlio di Giovanni Domenico Cimpanelli e di Angela Maria Ticozzelli, Calimero nacque a Pasturo l’8 ottobre 1760 e fu battezzato il giorno stesso (padrino: Giovanni Doniselli del fu Eusebio; madrina: Giovanna Cimpanelli del fu Calimero). Il 16 aprile 1781 si sposò con Marta Zucchi (Pasturo, 6 aprile 1752 - 29 gennaio 1822), figlia di Alessio e di Maddalena Annovazzi, vedova del fu Girolamo Ticozzi. Morì a Pasturo il 14 ottobre 1824 per idropisia all’età di 64 anni e fu sepolto il 1512.

Di mestiere, il Cimpanelli faceva il “falegname” ed era “possidente” (come si legge nel suo atto di morte) ma, all’occorrenza, era anche un valente scultore del legno nonché pittore. Nella chiesa di S. Eusebio fanno ancora bella mostra di sé il confessionale intagliato nel 1781 e impiallacciato in radica di noce (spesa lire 150)13, oggi addossato alla parete della seconda campata lato destro, e il grande Crocifisso in legno di sorbo (Sorbus domestica) policromato e dorato realizzato nel 1821, posto originariamente al sommo dell’arco trionfale e oggi collocato al centro della cappella del Sacro Cuore14. Un’altra sua opera, oggi non più esistente, era un altare ligneo con balaustra posto davanti all’affresco quattrocentesco della Madonna in trono con Gesù Bambino e devoto (invocata localmente come Madonna delle Grazie o Madonna dei partenti) nella chiesa di S. Michele a Introbio15. Lo attesta un documento datato 1819, intitolato: “Lista dela spesa a fare laltare alla madona delle grazzie nela chiesa di S. Micele” e conservato presso l’archivio privato di Giacinto Arrigoni di Introbio. Dal documento si apprende che nel 1819 fu promossa una questua per l’ottava dei morti (“Lista per la questua per fare la mensa alla Beata Vergine dele grazzie di s. michele”: vi figurano, tra gli altri, don Tommaso Fondra e il medico filantropo Giovanni Battista Scotti a cui è stata poi dedicata una piazza introbiese), che l’altare costò £ 88:13:6 (cioè 88 lire, 13 soldi e 6 centesimi) e che a realizzarlo fu il “mastro falegname e pitore Calimero Cimpaneli di pasturo”,  coadiuvato da Simone Ticozzi e dai manovali Giacomo Ossola e da Giacomo Tantardini16.


       


Un episodio curioso della vita di mastro Calimero ce lo riferisce Andrea Orlandi: “Quando a Pasturo si dovevano fare le campane, fuse poi nel 1791, da adattare al campanile che esiste dal 1675, sembrando alla popolazione troppo meschino il concerto progettato, Calimero Cimpanelli, detto Mastro Calimero, legnaiuolo abile e intelligente, che si dilettava di scolpire Crocifissi e Madonne, studiò la cosa. Costruì un modello del campanile con le campane, calcolò la resistenza della torre, il peso del metallo, lo spazio disponibile, l’effetto di possibili strapiombi, e concluse dimostrando che si potevano avere campane di peso superiore al preventivato, che si era stabilito in rubbi 36017. Il calcolo fu riconosciuto esatto, la variante ammessa dai tecnici dell’autorità tutoria di Milano, con grande soddisfazione del popolo, che ammirava la perspicacia del bravo Cimpanelli”18.



Mastro Cimpanelli fu uno di quegli artisti minori e locali che, come gli stuccatori Aliprandi e gli intagliatori Pigazzi, pur non avendo diritto di cittadinanza nella grande Storia dell’arte italiana, hanno comunque scritto una pagina della storia dell’arte locale facendo assaporare ai loro convalligiani un po’ di quella bellezza che salverà il mondo.

                                                                                                                      Marco Sampietro 

 

 

 1 M. Sampietro, “Francesco Zarone pittore habitante in Pasturo”. Novità sull’artista di S. Mamete: non fu solo pittore ma anche intagliatore e indoratore, in “Il Grinzone”, 12 (44 - ottobre 2013), pp. 15-16; Id., Briciole di storia pasturese dagli archivi parrocchiali valsassinesi (I parte). Un pittore “pasturese” morto a Laorca. Dalla Valle Imagna a Pasturo (e a Introbio) per fare il medico condotto: il caso di Giacomo Cardinetti e della sua famiglia, in “Il Grinzone”, 21 (79 - giugno 2022), pp. 7-9.

2 E. Villata, s.v. Reali Luigi, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 86, Roma 2016; M. Sampietro, Un padrino d’eccezione a Pasturo: il pittore fiorentino “Aluigi Reali”, in “Il Grinzone”, 21 (78 - marzo 2022), pp. 8-10.

3 M. Sampietro, Il Martirio di S. Pietro da Verona di Filippo Vignati a Baiedo, in “Il Grinzone”, 13 (47 – luglio 2014), pp. 7-8; G. Virgilio, Carlo Filippo Vignati, Martirio di santa Caterina d’Alessandria, in Arte e Territorio/2. Restituzioni 2006-2011, Fondazione della Provincia di Lecco, 2013, pp. 51-53; M. Sampietro, Spigolature archivistiche: lo scultore Carlo Tantardini e il pittore Carlo Filippo Vignati, in “L’Angelo della Famiglia – bollettino parrocchiale di Introbio”, 85 (4) / 2016, pp. 9-10.

4 M. Sampietro, Scoperto un Tagliaferri a Gorio, in “Il Grinzone”, 10 (36 – ottobre 2011), pp. 11-12.

5 M. Sampietro, Le Virtù del Sibella nella parrocchiale di S. Eusebio. Modelli e modalità di lavoro, in “Il Grinzone”, 14 (50 – marzo 2015), pp. 16-17; Id., Un potente intercessore: il S. Cristoforo del Sibella sulla facciata della chiesa di S. Pietro Martire a Baiedo, in “Il Grinzone”, 14 (51 – luglio 2015), pp. 11-12.

6 G. Scotti, Il pittore Aldo Carpi a Pasturo, in “Il Grinzone”, 7 (18 – marzo 2007), pp. 11-13 (già pubblicato sulla “Provincia di Lecco” l’11 febbraio 2007).

7 G. Orlandi, G. Agostoni, Pueri clamabant dicentes “Benedictus qui venit in nomine Domini”, in “Il Grinzone”, 3 (9 – dicembre 2004), pp. 3-6; G. Orlandi, G. Agostoni, Una Via Crucis essenziale, in “Il Grinzone”, 8 (26 – marzo 2009), pp. 5-7; Id., La Madonna di Zagorks, in “Il Grinzone”, 9 (32 – ottobre 2010), pp. 15-16; G. Agostoni, In ricordo dell’artista Giancarlo Vitali, in “Il Grinzone”, 17 (64 – ottobre 2018), p. 3.

8 M. Sampietro, Gli Aliprandi di Pasturo. Una fiorente bottega di stuccatori intelvesi nella Valsassina del Sei-Settecento, in “Archivi di Lecco e della Provincia”, a. XXXVIII, n. 1 (giugno 2015), pp. 91-105; F. D’Alessio, Tracce d’autore: un “mezzo” Rachini a Lecco, in “Archivi di Lecco e della Provincia”, a. XXXVIII, 2 (dicembre 2015), pp. 90-92; C. Riva, Giovanni Domenico e Giacomo Antonio Aliprandi. Nuovi spunti per lo studio dell’arte plastica in Valsassina, in “Archivi di Lecco e della Provincia”, a. XXXIX, n. 2 (dicembre 2016), pp. 23-41.

9 A. Orlandi, Memorie di Pasturo e Bajedo in Valsassina, Amministrazione Comunale di Pasturo, Pasturo 1995, p. 114; A. Borghi, I paesi della Grigna. Episodi dello sviluppo di Pasturo, Amministrazione Comunale di Pasturo, Pasturo 1995, pp. 350-353; Id., Una dinastia di falegnami intagliatori: i Pigazzi di Pasturo, in “Il Grinzone”, 4 (12 - ottobre 2005), pp. 8-10; O. Zastrow, Concenate ecclesia Sancte Marie. 1407-2007. Dall’Hospitale di Guarisca al borgo di Concenedo, Parrocchia S. Alessandro, Barzio 2007, pp. 148, 164, 181; Le chiese della Valsassina. Guida storico-artistica, a cura di F. Oriani, Banca della Valsassina, Cremeno 2014, pp. 25, 74, 93, 95, 100, 102, 194, 214.

10 Borghi, Una dinastia di falegnami intagliatori, cit., p. 10.

11 G. Agostoni, Dalla Sardegna… a Pasturo, in “Il Grinzone”, 19 (73 – dicembre 2020), pp. 17-22.

12 Archivio Parrocchiale di Pasturo, Registri dei Battesimi, dei Matrimoni e dei Morti.

13 Orlandi, Memorie di Pasturo e Bajedo in Valsassina, cit., p. 114.

14 “Dietro il dorso dell’immagine, scolpita in legno di sorbo (Sorbus domestica), egli [Calimero Cimpanelli] adattò un’asticella mobile, scrivendovi all’interno «1821 – Li 18 luglio Luglio – Calimero Cimpanelli Sculp»” (Orlandi, Memorie di Pasturo e Bajedo in Valsassina, cit., p. 117). Il Crocifisso a grandezza naturale fu restaurato nel 1851 e 1855 da Giuseppe Ticozzi e nel 1935 da Giovanni Maria Tagliaferri jr (cfr. Le chiese della Valsassina, cit., p. 105).

15 Cfr. da ultimo M. Sampietro, Gli affreschi quattrocenteschi della chiesa di San Michele a Introbio in Valsassina (LC), in Arte medievale nelle Alpi. Pittura, scultura e architettura fra Trecento e Quattrocento, I.S.T.A., Tricase 2023, pp. 141-152 (con bibliografia pregressa).

16 M. Sampietro, L’altare della Madonna delle Grazie nella chiesa di S. Michele a Introbio Un’opera inedita (e perduta) del falegname e pittore Calimero Cimpanelli di Pasturo, in “Archivi di Lecco e della Provincia”, a. XLIV, n. 2 (dicembre 2021), pp. 109-111.

17Il rubbo era un’antica unità di misura italiana di massa e peso, usata prima dell’adozione del sistema metrico decimale: a Milano valeva 8,170 kg, a Genova 7,919, a Piacenza 7,938, a Torino 9,222. Rubbi 360 equivalgono a 2941,2 kg.

18 A. Orlandi, Le famiglie della Valsassina. Repertorio con brevissime illustrazioni, La Grafica, Lecco 1932, pp. 168-169.


IL GRINZONE N.85

 

 

     

 

 

Briciole di storia pasturese VI parte

 



 

BRICIOLE DI STORIA PASTURESE  

dagli archivi parrocchiali valsassinesi (VI parte)

  

Alloggiamenti militari nella Valsassina del Seicento

 

Per tutto il Seicento la Valsassina, in virtù della sua collocazione geografica, costituì un eccellente caposaldo strategico. Collocata ai confini con il territorio di Bergamo (Repubblica di Venezia) e con la Valtellina (Tre Leghe), la Valsassina rivestì, infatti, una duplice importanza militare nell’ambito del Ducato di Milano1: come grande fornitrice di armi grazie alle sue miniere da cui proveniva parte delle forniture per l’artiglieria spagnola e come “piazza d’armi” ove si potevano concentrare e addestrare gli eserciti destinati ad intervenire nei teatri militari delle Fiandre e della Germania. La Valsassina era inoltre collocata sul crocevia di transiti fra la Valtellina e Lecco: la via terrestre che dalla Valtellina attraversando Colico discendeva verso Lecco percorreva il lungolago dove vi era solo una piccola strada tortuosa, mentre la via maestra si inoltrava nella Valsassina attraverso la quale ridiscendeva al piano. Non per nulla, dalla Valsassina transitò l’esercito imperiale dei 30.000 lanzichenecchi2 che nel 1629 era diretto all’assedio di Mantova, diffondendo la peste di manzoniana memoria. Sei anni dopo, tra il 1635 e il 1636, il duca di Rohan, che conduceva le operazioni francesi in Valtellina, occupò l’intera Valsassina, salvo poi ritirarsi, sottoponendo la valle ad un feroce saccheggio3.

Dopo la costruzione del Forte di Fuentes nel Pian di Spagna4 all’imbocco della Valtellina e della Valchiavenna, vi furono numerosi acquartieramenti di truppe nella valle, in relazione all’acuirsi dei contrasti tra le potenze europee che avevano in Valtellina e Valchiavenna un punto di particolare tensione. In quegli anni i Valsassinesi non solo si trovarono a dover pagare le consuete esose tasse5, che comportavano sempre versamenti annuali per gli eserciti al soldo degli Spagnoli, ma anche, come altre popolazioni locali, furono costretti ad aiutare le compagnie in transito foraggiandole e ospitandole e a versare ulteriori tributi6.


Una inedita “memoria” del notaio Baldo Cattaneo Torriani


Sugli alloggi di truppe straniere, in particolare spagnole, nella Valsassina del Seicento, alla già nota ricostruzione arrigoniana basata su “memorie, che sparsamente andai spigolando da archivj comunali e parrocchiali, e da private carte”7, aggiungiamo ora un’inedita memoria del notaio primalunese Baldo Cattaneo Torriani (morto il 13 febbraio 1661 alla veneranda età di 95 anni8) riportata sull’ultima pagina bianca del suo registro di rubriche9 assieme a tante altre interessanti annotazioni cronachistiche su avvenimenti, personaggi e vicende dell’attualità storico-politica valsassinese di cui fu diretto testimone nonché su frammenti di quotidianità spicciola che ne rilevano sovente la dimensione autobiografica e affettiva (nascite, morti, condizioni di salute, ecc.)10.

Considerata la sua importanza storico-documentaria, se ne riporta qui di seguito integralmente la trascrizione accompagnata da alcune note esplicative.

 

 


1616

Nota de soldati aloggiati nella Valsasna

 

Adi 27 di maggio gionse in q(ues)ta valle una compagnia d[i] soldati Alamani di n.° 275, comp(re)se le donne, sotto [il] governo d’un Barone Principaliss(im)o di Vienna figlio dil Marescial maggiore dell’Imp(erato)re qual è tenente dil colonello Madrutio di Trento11, di tutta la gente Alemana12 che hora si ritrova in q(uest)o stato di Mil(an)o che deve ess(ere) soldati 13 mila tutti sotto esso Barone, quale ha loggiato in Cortenova nella Casa de m(esse)r Dominico Mornico13 con diversi gentilhuomini. Et tutta la valle hà loggiato conforme il suo est(im)o et a(n)zi di p[iù] et n’ habbimo loggiato n.° 10 p(er) giorni n.° 41, et io parimente hò loggiato un caporale con la moglie et altro soldato p(er) tutto esso tempo de g(iorni) 41 à quali fatte le spese, semp(re) p(er) n(on) haver essi di p(rese)nte alc[una] paga, sì che mi costa passati scudi 50, et la valle [in] generale si fà conto che habbia speso in q(ues)ti logg(iamen)ti et done et altre spese p(er) tal causa scudi 6000 dico seimila. Si partirno adì 8 luglio p(er) andar à Contienza14 presso [...] p(er) s(er)vir alla guerra di Vercelli15 benché non nostra. Et il giorno dil Corpus D(omi)ni p(ro)ss(i)mo pass(a)to esso Barone Col[endissimo] volse trovarsi p(re)sente ad honorar la nostra p(ro)cessione co’ la sua militia de’ moschettieri et piccheri16, che fu beliss(i)ma vista ma cara. Et esso q(ue)lla matena con alc[uni] principali stette à disnar col S(igno)r Prevosto mio17.

B(aldo) C(attaneo) T(orriani)

Le infinite altre spese fattesi p(er) logg(iamen)ti causati da la guerra di Valtel(li)na sono scritte da me nel libro rosso dil comune, che [furono?] talm(en)te intolerabili che hormai siamo affatto strappa[zzati] d[il?...].

 

 Soldati e figli di soldati nella Pasturo del Seicento

 

La Pasturo del Seicento, come il resto della Valsassina – stando a quanto ci riferiscono gli storici Andrea Orlandi18 e Angelo Borghi19 – fu letteralmente invasa dall’alloggio di truppe militari. Nel 1620 troviamo a Pasturo i soldati del capitano Giulio Maggiolino; nell’aprile del 1632 vi erano acquartierati quelli di don Alfonso de Cardonas, con undici ufficiali; nel giugno 1634 erano di stanza le truppe di don Giovanni Mesia pure spagnolo; nel febbraio 1636 i soldati del capitano Giovanni Coira, e del Cavalerini in novembre. Ancora nell’aprile 1636 erano alloggiati a Pasturo 17 soldati del capitano Cattaneo e nel febbraio 30 soldati del capitano Barcha e nel novembre furono accolti quelli del capitano Bertolino, che stava a Primaluna. L’alloggiamento gravò ancora su Pasturo nel 1639 con un’intera compagnia e 14 soldati del conte Alfonso Casati, nel 1640 (il comune dovette sborsare 600 lire), nel 1656 con una compagnia alemanna e nel 1675 con i soldati a cavallo del capitano Gonzaga. Tracce del passaggio di queste truppe sono anche i figli dei soldati battezzati a Pasturo, che si aggiungono a quelli nati da “forèst”20. Eccone un campionario21.

Nel 1629 nacque Pietro da Gerardo Baudien, “soldato fiandrese a cavallo sotto il colonnello del Monte Cucullo e il capitano vice conte d’Alpen”, alloggiato a Pasturo. Fu padrino Marco Molina, madrina Maria Collina, evidentemente non del paese.

Nel 1632 era alloggiato a Pasturo un Francesco Dias, “spagnolo soldato di infanteria sotto il Sig.r Cap(itan)o Don Alonso de Cardonas”, con la moglie Caterina: gli nacquero il 4 agosto due bambine, Caterina e Maria, tenute a battesimo, una dal signor “Alfiero Pietro Fernardez de’ Spinosa” e da “Martia Conversana”, l’altra dal signor “Vincenzo d’Alfera” con la signora “Maria Peres”. Entrambe furono battezzate in casa “ob necessitatem” dalla comare Pasina Ticozzi.

Il 22 aprile 1638, infine, fu battezzata Elisabetta di Guglielmo Ragon (“Guielmo Ragone”), “soldato borgognone sotto il Sig.r Collonello Rincor”, e di Elisabetta di Sarna; padrino il “Sig.r Sargente Dionisio Perron”.

                                                                                  

                                                                                                               Marco Sampietro

 

 

* Ringrazio, per le occasioni di scambio e arricchimento, Michele Casanova, Augusta Corbellini e Marco Tizzoni.

1 Non si dimentichi che il Ducato di Milano era la periferia di Madrid e che quindi la Valsassina era la periferia di una periferia (E. Colombo, Giochi di luoghi. Il territorio lombardo nel Seicento, Milano 2008).

2 M. Sampietro, Arrivano i lanzi! Un’inedita e mai posta lapide ricorda il passaggio delle truppe alemanne a Introbio, “L’angelo della famiglia: bollettino parrocchiale di Introbio”, 79-1 (2010), pp. 5-6.

3 Sulla rovinosa calata delle milizie del Duca di Rohan in Valsassina: G. Arrigoni, Notizie storiche della Valsassina e delle terre limitrofe dalla più remota fino alla presente età, Milano 1840, pp. 290-292; A. Orlandi, Taceno e sua parrocchia in Valsassina, Lecco 1930, p. 46; O. Zastrow, La chiesa di Sant’Alessandro a Barzio, Barzio 1990, pp. 260-264; Id., Cremeni vetustas: testimoni di antichità del borgo di Cremeno, Cremeno 2005, pp. 229-230; Id., Concenate ecclesia Sancte Marie. 1407- 2007. Dall’Hospitale di Guarisca al borgo di Concenedo, Barzio 2007, p. 142; M. Sampietro, Il 1636: l’anno dell’invasione dei Francesi Il Duca di Rohan saccheggia le cinque parrocchie della nostra Comunità Pastorale (e non solo), “L’Angelo della Famiglia: bollettino parrocchiale di Introbio”, 89-2 (2020), pp. 7-9.

4 M. Fior, G. Scaramellini, A. Borghi, A. Osio, Il Forte di Fuentes nel Pian di Spagna, Lecco 2003.

5 Le tasse spagnole erano sì esose ma era sbagliato il sistema di tassazione. Le spese per la difesa del Ducato superavano il gettito fiscale e lo Stato Spagnolo doveva provvedere inviando contanti dal Regno di Napoli al Milanese (D. Sella, Sotto il dominio della Spagna, in Il Ducato di Milano dal 1535 al 1796, a cura di D. Sella, C. Capra, in Storia d’Italia, diretta da G. Galasso, vol. XI, Torino 1984, pp. 3-149).

6 Sugli alloggiamenti di truppe: A. Giulini, Un diario secentesco inedito d’un notaio milanese, “Archivio Storico Lombardo”, LVII, 1930, pp. 466-482; N. Perego, Homini de mala vita. Criminalità e giustizia a Lecco e in terra di Brianza tra Cinque e Seicento, Lecco 2001, pp. 42-50; D. Zoia, I costi della guerra e l’estinzione dei debiti, in Economia e Società in Valtellina e contadi nell’Età moderna, a cura di G. Scaramellini, D. Zoia, tomo I, Sondrio 2006 pp. 327-348; A. Buono, Esercito, istituzioni, territorio: alloggiamenti militari e “case herme” nello Stato di Milano (secoli XVI e XVII), Firenze 2009; A. Buono, M. Di Tullio, M. Rizzo, Per una storia economica e istituzionale degli alloggiamenti militari in Lombardia tra XV e XVII secolo, “Storia economica”, 1, 2016.

7 Arrigoni, Notizie storiche della Valsassina cit., pp. 269-270.

8 Ne dà notizia il figlio, Giovanni Battista Cattaneo Torriani, pure lui notaio dal 1626 al 1666 (Archivio di Stato di Milano [ASMi], Notarile, Rubriche notarili, cart. 1495, Cattaneo Torriani Baldo (1594-1659) quondam Battista).

9 Per “rubriche” si intendono i repertori con gli elenchi in ordine cronologico degli atti rogati da un notaio, compilati dal notaio stesso o redatti successivamente presso l’Archivio Notarile.

10 ASMi, Notarile, Rubriche notarili, cart. 1495, Cattaneo Torriani Baldo.

11 Si tratta di Giannangelo Gaudenzio Madruzzo (1562-1618), barone, signore di Pergine, Castel Toblino e delle Sarche, signore di Nanno, Portolo, Denno e Corona. Figlio di Fortunato Madruzzo e di Margherita di Hohenems, studiò all’Università di Ingolstadt dal 1577 e dal 1579 a Padova. Nel 1582 e nel 1594 fu al seguito del cardinale Ludovico Madruzzo alla dieta di Augusta ed a quella di Ratisbona e nel 1613, con il cardinale Carlo Gaudenzio, fu nuovamente alla dieta di Ratisbona. Il suo impegno maggiore fu però in ambito militare, nell’opera di reclutamento di soldati italiani per i suoi committenti austriaci e spagnoli. Residente a Riva del Garda, fu capitano di Riva, Tenno e Stenico. Si sposò prima con Caterina Orsini e successivamente nel 1602 con Alfonsina Gonzaga-Novellara. Morì a Riva l’11 dicembre 1618. Sui Madruzzo, veri e propri imprenditori nel mercato del mercenariato alemanno: D. Maffi, Il baluardo della Corona. Guerre, finanze e società nella Lombardia seicentesca, Firenze 2007.

12 Cioè “tedesca”, dal nome dell’antica popolazione germanica degli Alamanni o Alemanni situata a ridosso delle Alpi.

13 Appartenente ad una storica e nobile famiglia di Cortenova arricchitasi nella seconda metà del Cinquecento con l’industria del ferro. Sui Mornico cortenovesi: A. Orlandi, Le famiglie della Valsassina. Repertorio di brevissime illustrazioni, Lecco 1932, pp. 84-89.

14 Fiume in comune di Coggiola, oggi in provincia di Biella.

15 Si tratta dell’assedio e della conquista di Vercelli da parte delle truppe spagnole nella prima guerra del Monferrato (1613-1617) contro i Savoia, scoppiata a causa di una crisi di successione nel Monferrato (C. Promis, Relazione dell’assedio della città di Vercelli fatto nell’anno 1617 dall’esercito di Spagna scritta dei Cap. Antonio Berardo ed illustrata da C. Promis, “Archivio Storico Italiano ossia Raccolta dì opere e documenti finora inediti o divenuti rarissimi riguardanti la Storia d'Italia”, tomo XIII, 1847, pp. 450-528).

16 Soldati armati di picca, detto per questo picchieri. La picca era un’arma bianca dell’antica fanteria, costituita da una robusta asta di legno, lunga da 3 a 8 m, e da una punta di ferro aguzza, a forma di foglia di alloro oppure di daga, collegata al fusto per mezzo di due lunghe piastre, anch’esse di ferro: fu usata come arma da battaglia dalla seconda metà del XIV secolo fino al XVIII secolo, ed è rimasta poi in dotazione a guardie di onore come arma da parata. I picchieri, mischiati a balestrieri e moschettieri, erano i soldati più stimati delle bande irregolari e passavano a soldo di chi li pagava meglio.

17 Si tratta del nob. Filippo Cattaneo Torriani, prevosto di Primaluna dal 1613 al 1637 (E. Meroni, Antiche prerogative della chiesa battesimale e prevosti della Valsassina dalle memorie inedite dei prevosti Carlo Crippa e Giuseppe Agudio e da altri documenti, Lecco 1960).

18 Orlandi, Le famiglie della Valsassina cit., pp. 185-187.

19 A. Borghi, I paesi della Grigna. episodi dello sviluppo di Pasturo, in A. Orlandi, Memorie di Pasturo e Bajedo in Valsassina, Pasturo 1995, pp. 338-340.

20 M. Sampietro, Da terra di emigrazione a terra di immigrazione. Forèst della Pasturo tra Sei e Settecento, “Il GRINZONE”, 16-60 (2017), pp. 9-11.

21 Dati desunti dai registri anagrafici della Parrocchia di Pasturo e già segnalati da Orlandi, Le famiglie della Valsassina cit., pp. 164, 174, 185.

 

IL GRINZONE n.84

 

 

 




Briciole di storia pasturese quarta parte

 



 

BRICIOLE DI STORIA PASTURESE
dagli archivi parrocchiali valsassinesi (IV parte)


L’anagrafe parrocchiale, rappresentata dai registri dei battesimi, delle cresime, dei matrimoni e dei morti, nonché dai cosiddetti ‘stati d’anime’1, è, almeno fino al XIX secolo, la fonte principale per gli studi demografici (e non solo) di una comunità. Infatti, grazie a tali registrazioni, che iniziano generalmente nei nostri paesi verso la fine del Cinquecento o ai primi del Seicento, si ha in tal modo un quadro completo della popolazione da un punto di vista non solo demografico e socio-culturale (natalità, mortalità e piramide d’età, tipologia delle famiglie), ma anche onomastico (nomi, cognomi e soprannomi) ed economico (professioni, emigrazione per ragioni lavorative). Accanto alle generalità e allo status sociale e religioso del battezzato, degli sposi o del defunto si possono trovare anche ulteriori annotazioni che ci offrono, dentro un elenco di nomi, solo apparentemente arido, spaccati di vita quotidiana contrassegnati purtroppo, ieri come oggi, anche da episodi di violenza e fatti di sangue.


Cold Case a Pasturo e dintorni tra Cinque e Ottocento

Prendendo le mosse da una fortunata serie televisiva statunitense prodotta dal 2003 al 2010, vogliamo raccontare qui di seguito alcuni “delitti irrisolti” (Cold Case) che si sono consumati in quel di Pasturo e dintorni tra Cinque e Ottocento, a dimostrazione di una diffusa violenza che alimentava la vita quotidiana di tutti gli strati sociali. Povertà e miseria economica, abitudine all’uso delle armi, ruoli sociali e privilegi da difendere o da conquistare comportavano di frequente soprusi, furti, duelli, ferimenti e morti, coinvolgendo nobili, notai, mercanti, religiosi, contadini, servi, soldati, oziosi e vagabondi2.


Attentato al curato di Pasturo

“Nel 1580 certo Domenico Arrigoni tirò un’archibugiata al curato di Pasturo mentre stava salendo i gradini dell’altare per celebrare la messa. Informato S. Carlo della grave «insolentia», veniva dato ordine al Vicario della Valsassina di far arrestare il delinquente affidandolo al Santo Ufficio della Inquisizione, istituito in Introbio per i provvedimenti e le pene del caso”3. Il curato di Pasturo in questione, che riuscì però a portarsi a casa la ghirba, fu don Angelo Rognoni di Vimogno, parroco dal 1575 al 16254; ad imbracciare l’archibugio fu Domenico Arrigoni di Pasturo, un ricco notaio e mercante, che, dopo essere stato invischiato in una torbida vicenda fiscale, morì - pare - tra il 1582 o il 15835. Per la cronaca ricordiamo che anche S. Carlo Borromeo fu vittima di un attentato: era il 26 ottobre 1569 quando il presule, raccolto in preghiera nella sua cappella privata in arcivescovado, fu raggiunto da una archibugiata - fortunatamente non letale - sparata dal frate umiliato Gerolamo Donato detto il Farina, che non ne poteva più del vescovo ambrosiano (ma questa è un’altra storia). L’episodio è raffigurato in una tela appesa alla parete sinistra dell’altare di S. Carlo nell’oratorio dei SS. Fermo e Rustico a Cortenova, tela derivata dall’analogo quadrone realizzato da Giovanni Battista Della Rovere detto il Fiammenghino per il Duomo di Milano6.


Un giallo a Introbio nel 1620

Correva l’anno 1620. L’11 settembre veniva rinvenuto “un homo morto, quale hier sera secondo che dicono fu ammazato a fontana freggia”. “Esse(n)do che detto cadavero è se(n)za testa, et i(n)cognito” fu portato “nel sacrato, seu cimiterio qui di S. Michele […] afinche più comodame(n)te possa essere riconosciuto” e l’allora parroco di Introbio, don Giovanni Angelo Livoro, chiese al Vicario Foraneo della Valsassina di potergli “dare ecclesiastica sepoltura”, sia perché era morto “intra fines dela sua parochia” sia perché “questi dicono che li hanno trovato adosso la corona dela Madona con le medaglie”. Ma la risposta del Vicario fu negativa7.

 

 

Morti violente a Pasturo e a… Roma

Nel registro dei morti prete Giobbe Marazzi, parroco di Pasturo dal 1640 al 1666, registrò alcuni casi di morte violenta accaduti a Pasturo e addirittura a Roma. Il 17 dicembre 1651 morì un Francesco “Cimpanello” dopo una lunga degenza presso l’ospedale di Acquate8 a seguito di una archibugiata: 

 

[...] essendoli stato tirato un archibugiata sopra i monti d’Acquate stete un pezzo al Hospitale d’Acquate dopo fu portato nella Chiesa di S. Jacomo dove subito io lo confessai, feci comunicare dal cappellano e stete in detta chiesa da doi mesi fino alla fine essendo esso sempre stato alieno da sacramenti, essendo più di tre mesi che non ero stato fori di casa di notte Iddio mi mandò al Cantello a confessar le Reverende Monache acciò io non vi fosse mentre morisse e così morse senza sacramenti.

 

A Roma morirono il 13 ottobre 1649 Calimero Anesetti “essendo stato amazato alla storta” (la “Storta” è una zona di Roma nell’Agro Romano a nord-ovest della capitale, una antica stazione di posta lungo il tragitto della Via Francigena) e l’11 giugno 1651 Battista Bastianelli9.

 

Un sororicidio a Premana

Correva l’anno 1670. Era il mese di dicembre. A Premana (in territorio Premanae), nelle vicinanze di una località denominata “alla fucina vecchia”, si consumò un efferato delitto di sangue. Infatti lungo il “callegio”, cioè lungo il sentiero, denominato “il madaletto” (dal dial. medàal, medél, “stanza comune, mucchio, magazzino”; il termine usato al tempo delle miniere indicava il “deposito del minerale ferroso”), furono rinvenute alcune ossa umane (quaedam ossa cadaveris humani). Per alcuni anni quelle ossa rimasero senza un nome. Poi, nel 1674, per confessione di un certo Giacomo Bianchini si scoprì che quelle ossa appartenevano alla di lui sorella, una tal Caterina Bianchini detta Bagerle, che era stata barbaramente uccisa da quella buona lana di suo fratello. Ma chi erano i Bianchini e perché Giacomo ammazzò sua sorella? Quella dei Bianchini era una antica famiglia di notai attestata a Premana dal 1447 al 1675. Ignoti restano i motivi del fratricidio, o meglio, del sororicidio. La vicenda ci viene narrata dal notaio attuario (cioè quello che scriveva le ordinazioni fatte dal consiglio generale e dalla congregazione) del Pretorio di Introbio, Giuseppe Guglielmo Tognus (non altrimenti noto), in un documento conservato presso l’Archivio parrocchiale di Introbio (Varie, cart. I, fasc. 3, atti notarili: 1607-1696)10.

 

Due omicidi con un atto di perdono


I Marchioni a Pasturo erano molto ricchi e superbi come tutti i nobili. Una tradizione locale vorrebbe derivarli dalla Sicilia, di là fuggiti per delitti politici. Nel Seicento esercitavano l’industria del ferro e tra Sette e Ottocento due di loro furono vittime di regolamenti di conti11.

Il 22 giugno 1753 morì Pietro Francesco Marchioni, avvocato e giureconsulto, assassinato proditoriamente e barbaramente con un colpo di stilo. Era allora parroco di Pasturo suo fratello, don Giovan Maria Marchioni, che non registrò il decesso: sul libro dei morti c’è uno spazio bianco con la seguente nota (Archivio parrocchiale di Pasturo, Morti dal 1746 al 1766):

 

Mille Settecento Cinquanta tre li venti due di Giug(n)o. Sotto questa intitolazione doveasi notare la morte dell’Eg(regi)o Sig. Avvocato Pietro Francesco q(uonda)m Gio: Ant(oni)o Marchioni fratello del Rev(eren)do Sig. Gio. M(ari)a Curato di Pasturo

 

Ignoto resta il motivo di questa mancata registrazione.

Mezzo secolo più tardi morì all’età di 22 anni Paolo Marchioni, ucciso con la pistola il 21 novembre 1808. Prima di morire la vittima perdonò il suo assassino.

Ecco la trascrizione del dettagliato atto di morte (Archivio parrocchiale di Pasturo, Morti dal 20 luglio 1797 al 30 luglio 1818):

 

Mille ottocento li vendidue Novembre 

Il Sig.r Paolo Marchioni, figlio del q(uonda)m Sig.r Gio:, di questa Parrocchia, munito de’ S. Sagramenti della Penitenza, Eucaristia ed Estrema Unzione, premessi gli atti di fede, speranza, carità, e di pentimento, e raccomandata l’anima di lui a Dio colle preci della Chiesa prescritte, è passato da questa all’eterna vita in età d’anni ventidue c(irc)a, essendo stata pria al suo cadavere fatta la visita legale della Giustizia per essere stato da un colpo di pistola barbaram(ent)e assassinato la sera anteced(ent)e c(irc)a tre ore di notte, pure perdonato avendo all’uccisore con magnanimità veramente cristiana, ed esemplare, siccome visse; e fatte l’esequie coll’intervento di me Cur(at)o e d’altri quatro Rev(erend)i Sacerdoti, è stato il cadavere di esso sepolto in questo Campo Santo di Pasturo nel di mese, ed anno sud(ett)o; sendosi da’ medesimi Sacerdoti in d(etto) Suffraggio celebrato poscia l’uficio settimo. In fede . P. Gio: Angelo Manzoni, Cur(at)o di pasturo, e Bajedo.

 

Marco Sampietro


 

 

1M. Sampietro, Soprannomi di famiglia nella Baiedo di fine Settecento. Analisi di uno stato d’anime del 1799, in “Il Grinzone”, a. XIX, n. 73, dicembre 2020, pp. 11-14.

2N. Perego, Homini de mala vita. Criminalità e giustizia a Lecco e in terra di Brianza tra Cinque e Seicento, Oggiono 2001.

3A. Mastalli, Parrocchie e chiese della Valsassina nel 16° secolo, in “Memorie storiche della Diocesi di Milano”, Milano 1957, p. 113. Cfr. inoltre E. Cazzani, San Carlo in Valsassina, Saronno 1984, p. 339.

4A. Orlandi, Memorie di Pasturo e Bajedo in Valsassina, Amministrazione Comunale di Pasturo, Pasturo 1995, p. 91.

5A. Orlandi, Le famiglie della Valsassina. Repertorio con brevissime illustrazioni, Lecco 1932, pp. 160-161, A. Borghi, Note sull’Ufficio dell’Inquisizione in Valsassina, in “Archivi di Lecco”, a. XVII (1994), n. 4 (ottobre-dicembre), p. 40.

6Le chiese della Valsassina. Guida storico-artistica, a cura di F. Oriani, Banca della Valsassina, Cremeno 2014, p. 222.

7Archivio parrocchiale di Introbio, Chiesa parrocchiale, cartella I, fascicolo 1.

8Sull’ospedale di Acquate cfr. A. Borghi, Lecco e la sua storia, Dalla crisi del ducato visconteo agli Sforza e al dominio spagnolo, vol. II, Lecco 2021, pp. 497-498.

 9M. Sampietro, Spigolature archivistiche. Vita quotidiana e religiosa nella Pasturo di metà Seicento attraverso le postille di prete Marazzi, in “Il Grinzone”, a. XV, n. 56, ottobre 2016, pp. 13-15. 

10M. Sampietro, Premana 1674. Un giallo dai contorni ancora misteriosi, in “Il Corno”, a. XLIV, n. 4, 2007, p. 34.

11A. Orlandi, Le famiglie della valsassina cit. p. 178.



IL GRINZONE n.82

 






Briciole di storia pasturese V parte

 



 

BRICIOLE DI STORIA PASTURESE  

dagli archivi parrocchiali valsassinesi (V parte)


Artisti d’archivio: figure, disegni e altro

 

 I documenti, come è noto, fissano puntualmente per iscritto un atto del passato (come, ad esempio, un trattato di pace o di alleanza, un contratto privato, una legge, una lettera personale, ecc.) e, come le tessere di un mosaico, ci consentono di ricostruire la nostra piccola, grande storia. Ma c’è di più. I documenti conservati nei nostri archivi ci possono riservare anche non poche gradite sorprese, discoprendo così curiosità inaspettate. Nella loro fisicità, infatti, le carte d’archivio (siano esse registri, atti notarili, pergamene, fogli volanti e altro) possono benissimo accogliere nei loro spazi bianchi (come carte liminari e margini) delle postille, cioè delle annotazioni occasionali ed eterogenee al fine di registrare e quindi conservare un accadimento (nascite, morti, condizioni di salute, eventi meteorologici, storici e cronachistici, fatti di quotidianità spicciola, ecc.), un pensiero, un ricordo personale ed emozionale trasmettendolo agli interlocutori, reali o immaginari, contemporanei o ai posteri1. Ma non è finita. Sui margini e su ogni altro spazio bianco dei documenti non è poi affatto infrequente imbattersi anche in altri interventi, di natura figurativa, come disegni, schizzi, semplici scarabocchi, non troppo dissimili dai doodles, i disegnini schizzati quasi per gioco, ancora oggi, quando si è impegnati in una conversazione telefonica o mentre si segue con scarsa attenzione una lezione. La casistica è infinita: sfondi paesaggistici, soggetti religiosi, volti e figure, anche caricaturali, curiose faccine stilizzate2.

Ecco ora una carrellata di figure e disegni che ho scovato nelle mie scorribande archivistiche.

 

Un notaio con la vena artistica: cavalli, volti caricaturali e stemmi

Appartenente alla nobile, storica casata primalunese dei Cattaneo Torriani o Della Torre, Giovanni Battista, o semplicemente Battista, fu notaio, come il padre Onofrio, e rogò ininterrottamente dal 1415 al 1454 (i suoi atti sono oggi conservati presso l’Archivio di Stato di Milano, Notarile, cart. 558).


            


Accanto ad una pluridecennale attività notarile praticò (lui o magari il suo ‘segretario’), sia pure a livello amatoriale e dilettantistico, come hobby, anche l’arte del disegno. Il suo forte erano i cavalli. Nelle sue imbreviature, cioè nel registro in cui i notai copiavano le minute degli atti da essi rogati, ci si imbatte, infatti, in schizzi ad inchiostro raffiguranti teste di cavalli [fig. 1] o cavalli a figura intera [fig. 2: da notare sopra l’animale un interessante e divertente gioco grafico tra disegni e parole, una sorta di enigmatico-pseudo “signum tabellionis” con il nome del notaio o, molto più probabilmente, del suo scrivano ‘spezzettato’; vi si legge: “Ma/the/us / et / er [con segno di abbreviatura] / de / Ul/tri/mo(n)/ti/bu/s / <de> / Bel/a/no”3], volti più o meno caricaturali [figg. 3] e stemmi, come quelli degli Andreani e degli Oltremonti [fig. 5]4.

               

                     

  


Un soldato burlone

Nei primi decenni del Seicento si susseguirono in Valsassina passaggi e stanziamenti di eserciti stranieri: spagnoli, papalini, francesi e imperiali che, con i Lanzichenecchi, portarono con sé nell’attardato autunno del 1629 la terribile peste immortalata nelle pagine de I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni. Si trattava di alloggiamenti connessi alle operazioni contro i Grigioni, alleatisi con i Francesi, che si conclusero, dopo la strage del cosiddetto “sacro macello” del 1620, con l’invasione della Valtellina e della Valchiavenna, sgombrate dalle truppe spagnole e francesi soltanto nel 1639.

In quegli anni i valsassinesi non solo si trovarono a dover pagare le consuete esose tasse, che comportavano sempre versamenti annuali per gli eserciti al soldo degli spagnoli, ma anche, come altre popolazioni locali, furono costretti ad aiutare le compagnie in transito foraggiandole e ospitandole e a versare così ulteriori tributi5Anche Pasturo non fu risparmiata da questa presenza scomoda e indiscreta6. Tra i soldati ce ne fu uno, infatti, che si divertì a scarabocchiare su un registro oggi conservato presso l’Archivio Prepositurale di Primaluna (2.2.5, Registro 1). Si tratta di un registro vicariale degli Olii Santi che va dal 1572 al 1652: in esso ciascun parroco del Vicariato dichiarava di aver ricevuto gli Olii Santi e l’acqua battesimale dal vicario foraneo di Primaluna. Ebbene, sul frontespizio sono presenti prove di scrittura, ghirigori e una nota di possesso la cui lettera iniziale maiuscola (la “q”) contiene inscritta al suo interno una curiosa, simpatica faccina stilizzata.

L’autore fu un certo soldato di nome Donato Pigonati, che era al seguito del capitano Nicolò Mazzucca7: “Questo quinterno e fatto per logli santi et aqua / batismale per la pieue di Valssassina / Io Donato Pigonati soldato dell’Ill.mo Sig.r Capitan Nicolo Mazzucca Albanes[e]” [fig. 6].

 

Un frontespizio disegnato

Da segnalare per la sua bellezza e finezza grafica è anche l’elegante frontespizio a penna del registro con i decreti relativi alla seconda visita del card. Federico Borromeo (cfr. il motto “Humilitas”) alla Pieve di Valsassina (luglio 1625) conservato presso l’Archivio Prepositurale di Primaluna (Cartella 31, sottoserie 1.6.1.1, fascicolo 4) [fig. 7]. L’opera è senz’altro di un professionista e sembra quasi il disegno preparatorio di un’incisione.

 


Una fortezza difantasia


Sul piatto posteriore cartonato di una “vacchetta”, cioè di un registro di forma oblunga, di fine Settecento conservata presso l’Archivio Parrocchiale di Pasturo si può ammirare, infine, lo schizzo, inedito, di una fortificazione. Si tratta di un disegno di fantasia, senza riferimenti a un sito concreto: è, infatti, una composizione di elementi spaiati nello spazio e nel tempo. Il modello di fortificazione sembra medievale ma i conti non tornano. Le due torri sono alte e strette ai lati di una porta invece di essere basse, larghe e a pianta circolare. Sulle mura poi spunta un cannone di tipo “moderno”, non una bombarda, incompatibile dunque con una fortificazione medievale. Senza un indizio almeno vago, difficile far coincidere con un sito. Càpita e bisogna rassegnarsi. [fig. 8].

             

Marco Sampietro

 

 

1 È il caso, ad esempio, delle ‘memorie’ storico-cronachistiche vergate da Samuele Cattaneo di Primaluna (1804-1880) su un libro di sua proprietà (cfr. M. Sampietro, Scrivere per conservare: la storia sui margini. Le ‘memorie’ di Samuele Cattaneo di Primaluna su un libro del 1868, in “L’Angelo della Famiglia. Bollettino Parrocchiale di Introbio”, a. 92, n. 2, aprile-giugno 2023, pp. 5-8).

2 G. Petrella, Scrivere sui libri. Breve guida al libro a stampa postillato, Salerno Editrice, Roma 2022, pp. 256-260.

3 Gli Oltremonti (anticamente Ultramonti) erano oriundi di Premana in Val Varrone e un ramo nobile si era trasferito a Bellano nella prima metà del Quattrocento. Ringrazio sentitamente Matteo Guidotti per avermi aiutato a sciogliere l’enigmatico “signum tabellionis”.

4 Schizzi già pubblicati in M. Casanova, G. Medolago, F. Oriani, M. Sampietro, Gli Statuti della Valsassina. Le norme della Comunità del 1388, Archivio Storico Pietro Pensa, Missaglia 2008, pp. 48, 60-61.

5 N. Perego, Homini de mala vita. Criminalità e giustizia a Lecco e in terra di Brianza tra Cinque e Seicento, Lecco 2001, pp. 42-50. Cfr. inoltre M. Sampietro, Il “soccorso” agli eserciti: alloggiamenti militari a Introbio nel Seicento, in “L’Angelo della Famiglia. Bollettino Parrocchiale di Introbio”, a. 88, n. 2, aprile-giugno 2019, pp. 14-16.

6 A. Orlandi, Le famiglie della Valsassina. Repertorio di brevissime illustrazioni, La Grafica, Lecco 1932, pp. 185-187. Riprenderò e approfondirò l’argomento sul prossimo numero de “Il Grinzone”.

7 Sul capitano Mazzucca in Valsassina: “Nel 1625 vi troviamo quella del conte di S. Secondo ed un corpo di cavalli albanesi del capitano Nicolò Mazzucco, il quale alloggiò ad Introbbio dal 18 ottobre al 28 giugno dell’anno seguente, in cui si ritirò per dar luogo ai cavalli napoletani di don Annibale Filangero” (G. Arrigoni, Notizie storiche della Valsassina e delle terre limitrofe dalla più remota fino alla presente età raccolte ed ordinate dall’Ingegnere Giuseppe Arrigoni, Luigi Pirola, Milano 1840, p. 270; cfr. inoltre A. Balbiani, Lasco. Il Bandito della Valsassina, Francesco Pagnoni, Milano 1871, p. 229; A. Orlandi, Le famiglie della Valsassina. Repertorio di brevissime illustrazioni, Banca della Valsassina, Cortenova 2005, p. 167; A. Dattero, La famiglia Manzoni e la Valsassina. Politica, economia e società nello Stato di Milano durante l’Antico Regime, Franco Angeli, Milano 1997, p. 11). Sul capitano Mazzucco cfr. A. Bozzo, Il Vulture ovvero brevi notizie di Barile e delle sue colonie, Vulture 1889, p. 37.


IL GRINZONE n.83



 

 

Briciole di storia pasturese terza parte

 



 

BRICIOLE DI STORIA PASTURESE  

dagli archivi parrocchiali valsassinesi (III parte)

 

Ancora una storia di forèst nella Pasturo del Seicento. I protagonisti sono, stavolta, fonditori di campane provenienti nientemeno che dalla Lorena, una regione della Francia1 che, con il Bassigny e il comune di Breuvannes nella Haute-Marne, fu, tra Cinque e Seicento, la culla o, se preferite, la fucina dei più rinomati e ricercati fonditori di campane di tutta la Francia e non solo. I Garnier, i Priquay, i Bonavilla e tanti altri ancora girarono, infatti, in lungo e in largo tutta l’Europa, dall’Italia alla Svizzera, dall’Austria alla Germania e all’Olanda, fermandosi dove e finché c’era lavoro2. Erano dunque gli stessi fonditori e non certo i committenti a muoversi perché la fusione di una campana avveniva, o meglio, doveva avvenire se non sul posto in mancanza dell’apposito fosso e del suo forno, comunque in una località abbastanza vicina, come espressamente richiesto dai committenti che potevano così controllare de visu l’operazione e verificare la quantità e la qualità della lega, soprattutto nel caso ricorrente di rifusione e di reimpiego del metallo.

Nel loro girovagare campanari lorenesi fecero tappa anche in Valsassina, per la precisione a Pasturo prima, e a Taceno poi, dove, anche se le loro campane oggi non scandiscono più la vita della comunità perché rifuse nel corso dei secoli, restano, a documentarle, le carte d’archivio. Dimenticate nel buio per secoli, rivedono ora la luce e ci raccontano piccole grandi storie del nostro passato che dormivano nell’inchiostro sbiadito intinto in poveri calamai da mani che spesso avevano più familiarità con il rastrello e il forcone che con la penna d’oca.

 

Fonditori lorenesi di campane a Pasturo e a Taceno

 

Pasturo, primi decenni del Seicento. Nel corso dei lavori al campanile della chiesa parrocchiale di S. Eusebio si ruppe accidentalmente una delle due campane, per la precisione quella maggiore o “grossa”, che suonava almeno dal 1569, come risulta dalla relazione del visitatore regionario di quell’anno3. Bisogna sapere che, ieri come oggi, quando si rompeva una campana, non la si poteva riparare: andava rifusa, punto e basta. Un’operazione, questa, che necessitava di una manodopera altamente specializzata. Fu così che nel 1614 arrivarono a Pasturo nientemeno che due fonditori lorenesi di campane, come risulta da questa nota di spesa trascritta e commentata da Andrea Orlandi4:

 

“Ai 17 Gennaio 1614 «fatto mercato con doi campanari francesi del ducato di Lorena a gettar la nostra campana grossa rotta di rubbi incirca 71 a soldi 30 il rubbo et lire 12 sopra tutto di sua faticha: il resto poniamo noi tutto et è spesa lire 1193.16».

E per dimostrare che le campane allora non usciva dalle fonderie di Milano, di Bergamo, di Varese, o d’altrove, ma si gettavano in luogo, da campanari ambulanti, riferisco le spese occorse:

 

Ai campanari                                                                Lire   122.10

Metallo compreso                                                                  805

Carbone pesi 28                                                                     28

Muratori, manovali e braccianti per la fossa e il fornello             70.6

Creta, olio, sabbia, cera, sego                                                 28.2

Mattoni 2200 e trasporto                                                         80

Ferramenti e battaglio                                                             21

Spese minori                                                                          38.18

                                                                                          ________

 

                                                                                         1193.16

 

Nell’anno seguente 1615 il Comune di Pasturo aveva ancora debito di lire 400 imperiali, causa metallo fornitogli per detta campana da Ambrogio Auregio Mercati5 di Bellagio”.


81 sampietro 2Purtroppo le carte d’archivio tacciono i nomi dei due fonditori lorenesi operosi a Pasturo nel 1614. Conosciamo invece nome e cognome del fonditore lorenese che vent’anni dopo fuse la campana della chiesa parrocchiale di S. Maria Assunta a Taceno6. Siamo nel 1634. Nel corso dei lavori al campanile si ruppe, come a Pasturo, la campana mezzana e pertanto “fù rebutata”7 da mastro Giovanni Priquay di Lorena8, che la rifuse con la campana della chiesa di S. Antonio di Vezio in Monte Varenna. Le spese sia del campanile che della campana furono sostenute grazie ai legati fatti al tempo della peste di manzoniana memoria e con il contributo dei tacenesi che prestarono gratuitamente il loro lavoro di manodopera nei giorni festivi. Tutte queste notizie si ricavano dalle Memorie di don Giacomo Antonio Cameroni di Comasira, curato di Taceno dal 1630 al 1635. Si riportano qui di seguito soltanto le annotazioni relative alla rifusione della campana9.

Adi 14 8bre 1634 sud(detto) fù rebutata la campana mezzana, che era rutta in occas(ion)e del fabricare il campanile p(er) opera di m(ast)ro Giovanni Priquay di Lorena, quale in d(ett)a n(ost)ra chiesa, cioè avanti la porta fù fatta con un’altra de S. Ant(oni)o de Vetio monte Var(enna) essendo la n(ost)ra di pesi n° 18 et quella da Vezzo pesi n° 6 et mezo, avanzò metallo pesi n° 4, che fù riposto in casa di un sindico il Fiorino a effeto di acrescere la campana picola alla proportione. Avanzò anche un peso di arame.

Le spese si fecero nella fabrica del campanile et campana, non furono fatte dal comune, ma de legati fatti nel tempo di peste 1630, et de elemosine della chiesa. È vero che gl’habitanti della Parochia ogni festa si affaticavano a preparare la m(ate)ria de sassi, legname et altre cose, nelle maggiori fatiche se gli davano le spese10 di quello dalla chiesa, sebene molti anche voleano la mercede. [Segue l’elenco dei legati di £ 2700]. Et altri che hanno lasciato piccoli capitali alle Schole che saranno tutti al compimento de £ 2000 imperiali. Il restante delle spese della fabrica del campanile, et della nova sacristia che sono il numero de £ 3500 sono de elemosine. 

Che fine ha fatto la campana del 1634? La campana lorenese fu sostituita nel 1703 da due campane fuse dal comasco Nicola Comolli tuttora esistenti11.

Questa è la storia delle due campane francesi della Valsassina. Queste note pasturesi e tacenesi sono storicamente importanti perché attestano la presenza di fonditori lorenesi in Valsassina già dal 1614.

 

Sono stati così aggiunti due tasselli in più al mosaico della storia delle campane che ebbero un tempo una funzione importante per la comunità (da indicatori del controllo della Chiesa sul tempo a strumenti di segnalazione profana, funzionale ai bisogni economici più che a quelli dello spirito), diventando negli ultimi due secoli elemento ricorrente di poesia nostalgica (chiaro segno di desuetudine), per ridursi poi a oggetto di reclami per il disturbo che arrecano a taluni.

 

 

Marco Sampietro


 

1 Oggi dipartimento di Meurtheet-Moselle, con città come Nancy e Luneville.

2 G. Scaramellini, Fonditori lorenesi in Valtellina e Valchiavenna, in “Bollettino della Società Storica Valtellinese”, n. 42, a. 1989, pp. 87-98; Id., Le campane francesi di Albosaggia, in “Alpes Agia”, a. 2, marzo-aprile 1994, pp. 46-47; Id., Ancora sui fonditori lorenesi di campane in Valtellina e Valchiavenna, in “Bollettino della Società Storica Valtellinese”, n. 51, a. 1998, pp. 135-140; Id., La campana francese di Teregua, in La chiesa della Santissima Trinità di Teregua in Valfurva. Storia, arte, devozione, restauro, Associazione Teregua, Tip. Bettini, Sondrio 2011, pp. 121-127; Id., Fonditori lorenesi in Valtellina e Valchiavenna, http://campanevaltellina.it/fonditori/lorenesi.php.

3 “Il campanile è in frontispicio dell’altare maggiore, fatto a Torre con due campane” (A. Orlandi, Memorie di Pasturo e Bajedo in Valsassina, Amministrazione Comunale di Pasturo, Pasturo 1995, p. 109).

4 Orlandi, Memorie di Pasturo e Bajedo in Valsassina cit., pp. 217-218.

5 Sono riuscito a rintracciare in Archivio Parrocchiale solo l’atto notarile rogato il 22 gennaio 1615 da Placido Arrigoni di Barzio con cui la comunità di Pasturo si dichiarava debitrice di Lire 400 imperiali verso Ambrogio Aureggio mercante (e non Mercati) di Bellagio per metallo avutone da rifare e gittare la campana maggiore della chiesa parrocchiale (Archivio Parrocchiale Pasturo, Instrumenti spettanti alla Fabbrica della Chiesa, 1615, gennaio 22).

6 M. Sampietro, Mastro Giovanni Priquay: un fonditore lorenese di campane a Taceno nel 1634, in “Archivi di Lecco e della Provincia”, a. XLV, giugno 2022, pp. 93-96.

7 Il verbo rebutare, composto da re- (nuovamente) + butare, è una forma arcaica del verbo ributtare, usato qui nell’accezione di ‘fare un nuovo getto’, quindi ‘rifondere’, ‘colare di nuovo in stampo il metallo fuso o la malta’, sinonimo quindi del verbo gettare, nel senso di ‘versare in apposite forme metallo fuso, materiale cementizio, gesso, per ricavarne opere di getto: gettare una statua’. Questa accezione è attestata per la prima volta in una cronaca cinquecentesca, la Cronica milanese di Gianmarco Burigozzo merzaro dal 1500 al 1544, pubblicata dalla Libreria Ferrario di Milano nel 1851: “Siando li Franzesi serrati in Castello, fezeno gran violenza a Milano; rupperno el campanil del Broveto [= cioè Broletto, residenza del Municipio], et rupperno la campana grossa del Domo; la qual campana fu refatta a di 10 Zugno, ma non la venne bene, perché el metallo scorse dalla forma, et non se ne fece niente. A di 9 Settembre fu rebutata [= gittata o fusa di nuovo], et venne bellissima” (p. 10).

8 L’Orlandi lesse “Laorca” anziché “Lorena”: “L’anno 1634 mastro Priney di Laorca si recò a Taceno, con incarico di rebutare la campana mezzana, di quattro pesi, rotta nel fabbricare il campanile; e fornire una campana per la chiesa di Sant’Antonio di Vezio nel Montevarenna. Le operazioni furon eseguite alla porta della chiesa di Taceno” (A. Orlandi, Campane in Valsassina, La Grafica, Lecco 1943, p. 5).

9 Archivio Parrocchiale Taceno, Registro 7. Note già trascritte da A. Orlandi, Taceno e la sua parrocchia in Valsassina, Scuola Tipografica dell’Orfanotrofio, Lecco 1930, pp. 53-54 e da E. Cazzani, Lanzichenecchi e peste manzoniana in Valsassina, Monti, Saronno 1975, pp. 65-66.

10 “Dare la spesa, fare la spesa, nel gergo valsassinese vuol dire dare il vitto” (A. Orlandi, Taceno e la sua parrocchia cit., p. 53).

11 Le chiese della Valsassina. Guida storico-artistica, a cura di F. Oriani e M. Sampietro, Banca della Valsassina, Cattaneo Paolo Grafiche, Cremeno 2014, p. 246 (con bibliografia precedente).  

 

 

IL GRINZONE n.81