SONO POSITIVA...
Sono chiusa in camera, mi sono isolata e ogni cinque minuti apro le email… mi hanno detto che invieranno l'esito del tampone, ansia tanta. Sono passati tre giorni da quando il 14 marzo l'ho fatto. Ho febbre elevata, dolori articolari, un fastidio terribile agli occhi, non sento né odori né sapori e ho una tosse fastidiosissima. Ho paura perché già 4 mie colleghe sono risultate positive, sono un'infermiera e lavoro in ospedale a Lecco.
Domenica, ore 11, il medico della medicina del lavoro mi comunica che sono positiva. Per un attimo cerco di realizzare questo positivo cosa voglia dire poi entro nel panico, mi sembra che il respiro sia ancora più corto, mi faccio una serie di film mentali.
Dall'altra parte della parete ci sono mio marito e i miei figli; mi chiedo: “Ma come faccio ad isolarmi completamente come mi ha detto il medico e a non avere contatti per niente? Come faccio adesso a dirgli l'esito del tampone?”.
Faccio fatica ad alzarmi, cerco di chiamare mio marito...
I giorni passano, i dolori continuano, sento la preoccupazione di mio marito e dei miei figli anche perché la febbre continua a salire, ogni 4 - 5 ore assumo del paracetamolo, io stessa ho paura di andare in crisi respiratoria e di dover chiamare un'ambulanza magari nel momento in cui mio marito è al lavoro (è anche lui infermiere, deve continuare a prestare servizio).
Nei giorni successivi mi capita di avere il respiro corto, a volte è l'ansia che me lo crea, ho a disposizione il saturimetro, riesco a tenere controllata l'ossigenazione del sangue.
Passano le settimane, le mie condizioni si stabilizzano, riesco ad evitare l'ospedale. Io sempre in camera da letto, i miei figli in casa, li sento dietro la porta... mio marito continua a lavorare. Per fortuna ho una serie di amici che mi sostengono con messaggi e qualcuno anche cucinando un piatto per me e i miei figli…
Finalmente il termometro scende, quella maledetta linea, il 4 maggio il tampone è negativo, la prima cosa che ho fatto è stato abbracciare i miei figli.
Mi rimangono un po' di esami da fare, non è uguale a prima, ma niente di irrisolvibile. Ho ripreso a lavorare, certo con un po' di timore perché ancora non si conosce bene questo virus.
I pensieri angoscianti sono lì in camera nascosti, chiusi stretti, per il momento sepolti insieme alla grande rabbia. Perché ammalarsi e contagiarsi a vicenda per venti centesimi di mascherina al giorno che non avevamo a disposizione?
Ersilia Gusmeroli
infermiera Centro Psico-Sociale,
Dipartimento Salute Mentale
IL GRINZONE n.71