Echi
Una poesia che parla di un tempo d’estate scritta in gennaio, non solo mese d’inverno ma, di solito, anche il più freddo. Dunque una poesia che nasce dal ricordo di un’estate o di tante estati consuete trascorse a Pasturo, come fa pensare il fatto che Antonia parli di «pascoli alti», quelli che si possono trovare sulle montagne che si alzano alle spalle o intorno a Pasturo, forse sulla Grigna.
Ricordo: non a caso forse la poesia si intitola Echi; non solo gli echi sentiti da Antonia sui monti, ma anche e soprattutto quelli che le sono rimasti nel cuore, di certe giornate piene di sole e di vento, di voci umane e di voci della natura, di colori: i colori dell’erba e dei fiori, i colori delle trecce delle falciatrici e i colori del cielo.
La poesia si regge sui colori e sulla musica: quella, naturalissima, della voce umana, cui si accompagna, mescolandosi o facendo da sottofondo, la voce, anch’essa naturalissima, dei fiori. Sono proprio i fiori che parlano, ripetendo in un lieve sussurro le «parole segrete», scritte «su l’erba» dal vento – e non le falciatrici; infatti, Antonia sente soltanto gli «echi» dei loro canti, non parole. Si direbbe che è di scena una grande corale, che diffonde intorno la soavità e la dolcezza di una preghiera o di un canto gregoriano; dove il ritmo, lento, è dato dall’ondeggiare dell’erba, che il vento accarezza e non abbatte, lasciandole silenziosamente le sue «parole segrete»; dai fiori, che le «rimormorano» soltanto, custodendo, così, il segreto del vento. E si comprende meglio perché Antonia parli di echi: l’eco non dice parole, non ripete pensieri o frasi; rimanda, invece, un suono finale, disteso e sospeso nell’aria, che incanta l’orecchio, ma soprattutto il cuore, per il senso di mistero che da esso promana. E se raccogliamo, come un mazzetto di fiori, le parole di fondo di questa poesia, proviamo un senso di sconfinamento e di pacificazione, di separazione dal mondo: non per disprezzo o per indifferenza, ma per il trascendimento a cui la realtà esterna ha condotto lo spirito di Antonia.
Questo trascendimento generano gli «echi» dei canti; le trecce delle falciatrici, che «splendono / nel cielo» e non sulla terra, tra il fieno; i pascoli, che sono «alti» e rimandano al cielo; «l’erba» e le «lievi corolle» di fiori, che addolciscono la terra; senza dimenticare i «lontani orizzonti» dai quali viene il vento e le «parole segrete» che esso scrive e non rivela.
Quanto silenzio avrà custodito Antonia dentro di sé, per accogliere il miracolo di tanta bellezza e sentire così intensamente il mistero della vita intorno a sé? Quanto è stato grande il suo sconfinamento, per poter scrivere, nel gelido mese di gennaio, una poesia in cui tutto è luce, suono e silenzio, limite e infinito al tempo stesso?
Onorina Dino
IL GRINZONE n.47