Neve
Cerchiamo di dare una cornice a questa poesia per poter entrare nella sua atmosfera temporale (quando?), geografica (dove?) e spirituale (perché?): le tre domande ci aiutano a comprendere le parole uscite dal cuore della poetessa e, quindi, il senso della poesia. Incominciamo dalla parte più evidente della cornice, quella più esterna, ossia quella geografica e cronologica, oltre che meteorologica: quando Antonia scrive Neve si trova a Pavia dall’amatissima Nena, dopo essere quasi fuggita da Milano, come scrive ad Antonio Maria Cervi, l’amato dell’ anima sua, in una lettera datata 11-13 febbraio 1932: «Vedi, Mimmino: ieri, dopo quell’ora terribile, ho deciso di venire qui, sola, dalla mia nonna[…] È caduta tanta neve, tanta neve e non accenna ancora a cessare […] Io mi sento tanto vicina a lei che è quasi giunta in fondo al cammino e con l’anima vecchia e serena adoro in lei l’immagine bianca della morte».
Il 1932 è un anno tra i più terribili nella vita di Antonia, quando l’opposizione del padre al suo amore per Antonello si è fatta feroce e questi, per nascondere la triste e tremenda verità alla sua amata, trova delle giustificazioni che lei non capisce e che perciò reputa insensate, alla sua volontà di troncare ogni rapporto e di andarsene via per sempre. Disperazione, dunque, è l’atmosfera interiore in cui Antonia si sente sprofondare.
La parola che apre la poesia «turbini» suona come un’esplosione della tempesta improvvisa che ha assalito l’autrice e rende visibili al nostro occhio, che legge, e sensibili al nostro orecchio, che ascolta, tutta la violenza e il conseguente scombussolamento che hanno investito il cuore di Antonia: esso si sente come trafiggere da quella T così dura, resa lugubre dalla U che l ‘accompagna e sferzante dalle consonanti RB che vibrano, rincorrendosi, come il ronzare molesto di un moscone prigioniero; una sensazione di vertigine si affianca allo stravolgimento del bianco soffice manto nevoso che ha ricoperto i tetti di Pavia durante la notte. Così bella e rasserenante la neve quando giace tranquilla e soffice, diffondendo luce e candore, sentimenti di purezza e di libertà, di leggerezza dell’anima; qui, invece, il bianco mantello è travolto e stravolto dal vento in un vortice che lo sbriciola e lo spappola in mille invisibili gocce destinate a disperdersi e a morire. Così è lo spirito di Antonia: frantumato dall’angoscia e dal dolore, non vede alcuna via d’uscita, alcuna direzione da seguire, alcuna speranza cui appigliarsi per reggere, per non crollare nel vortice della disperazione e dell’annientamento. A questo incipit così forte segue un’altra parola altrettanto violenta, il predicato «strappa», che regge l’incipit e che viene ripetuto alla fine della prima parte del testo, come a rafforzare la furia distruttiva di tutta la scena e viene ripreso al futuro «strapperà» nella parte conclusiva. E poi, sempre nella prima parte, il suono esplosivo e tagliente dei «tetti» e quello esplosivo e vibrante di «altra mano» e «altra neve» che, pure scendendo «più quieta», è anch’essa però soggetta alla violenza di una mano «arcana» che la «strappa dal cielo». L’aggettivo «arcana» non è casuale, ma assume un significato concreto: come già detto, la poetessa non capisce le motivazioni addotte da Antonello per volere rompere per sempre il patto d’amore con lei; esse sono avvolte nella nebbia del mistero, le sembrano scuse prive di fondamento, o, almeno, fondate sul sospetto: «Ascolta: che cosa ti ha spaventato così, dimmi? Che cosa ha potuto farti dire la cosa orrenda?... Farti desiderare di non tornare più!!! Che cosa, fuori di te? Che cosa, dentro di te? […]Mai come ieri, sul punto di perderti, ho sentito che tutte le radici del mio vivere sono in te e che se tu vai via, la mia vita se ne va con te», gli scrive ancora nella lettera già citata. La ripetizione, all’inizio della seconda parte della poesia, di «turbini di neve» è resa più drammatica dall’aggettivo «fredda», riferito alla neve che ora non è spazzata via dai tetti ma piomba «sull’anima»: il freddo esterno diventa freddo interiore, gelo del cuore, che non vuole rassegnarsi alla perdita dell’amato, alla perdita dell’amore, come dicono le iterazioni concitate e angosciate «tu non vuoi capire, / tu vuoi sognare / triste anima /povera anima» e l’avverbio di tempo «ancora», isolato in un unico verso quasi a voler fermare il tempo, a voler impedire il compiersi della tragedia. La concitazione della seconda parte del testo poetico fa avvertire il tremito di Antonia, il terrore che il suo sogno venga veramente disperso «in pochi fiocchi nevosi»: e sarà, il suo sogno, soltanto La vita sognata, quella che, nel 1933, raccoglierà in dieci bellissime poesie e regalerà al suo Antonello, per sempre.
Suor Onorina Dino
IL GRINZONE n. 61