Voce di donna

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59 pozzi


Antonia Pozzi dà voce a una donna che ha visto partire il marito per la guerra (forse la guerra di Spagna) e ne assume lo spirito, il cuore, e li interpreta con immagini forti e al tempo stesso domestiche.

La poesia si apre in modo insolito con il pronome della prima persona singolare, che suona come un grido possente e strozzato al tempo stesso, e una frase brevissima, che forma tutto il primo verso, a dire la forza del dramma che si consuma nel cuore della sposa del soldato e la sua determinazione a voler essere tale per tutta la vita, perché per questo è nata, di questo ha coscienza e desiderio. Tutto il verso si tende, nelle sue dieci sillabe, a comporre un messaggio d’amore indirizzato allo sposo, che possa udirlo non solo con l’orecchio, ma soprattutto con il cuore. E come non sentire il peso delle “lunghe stagioni”, dell’attesa che sembra destinata a non finire mai; e la violenza del predicato “divelgon”, come lo sposo fosse una giovane pianta sradicata dal suo suolo per essere trascinata altrove, con le radici esposte al vento di fuoco della guerra. Semplici ma intensi i gesti d’amore compiuti dalla sposa per lo sposo nell’intima solitudine della sua casa: “aduno bragi, / sopra il tuo letto ho disteso un vessillo”; per lui custodisce le braci sotto la cenere, per mantenerle vive e pronte a diventare fiamma, perché lo sposo, tornando, possa scaldarsi e perché lei gli possa preparare un cibo che lo ristori; stende una bandiera sopra il suo letto, che sia segno quotidiano della presenza di lui e memoria della sua lontananza. E se l’amato è un albero divelto, lontano e sempre esposto al pericolo e al rischio della vita, lei, l’amante, diviene un “corpo autunnale, un bosco tagliato”, che non ha alcuna parvenza di vita e chissà se rivivrà al ritorno della primavera, se, pure, ci sarà un ritorno.

La seconda parte della poesia - dopo i primi tre versi che dicono tutta l’ansia, la paura, l’angoscia e il fuoco d’amore che infiamma il cuore della sposa, condensato nell’immagine delle “salvie rosse”, che sbocciano da esso come da un giardino d’estate - si sviluppa con i toni e le invocazioni di una preghiera, e con le immagini dell’acqua e della lana, simboli della vita e dell’amore che la sposa desidera donare allo sposo. Infine la preghiera si conclude con la complessa bellissima immagine della siepe “scarna” che protegge l’orto. L’attributo, insolito per una siepe e aspro nei suoni, dice la fragilità della sposa, la sua povertà: essa è soltanto una donna, (come nel titolo della poesia) e non può fare grandi cose per lui; ma dice anche la sua forza, la sua tenacia, la sua fedeltà, icasticamente espressa nel predicato verbale “sta muta a fiorire”. Dove lo “stare” suggerisce la volontà ferma e decisa di aspettare che le “lunghe stagioni” della separazione finiscano, che “l’orto” prepari una nuova fioritura, mentre nel buio delle notti corrono “convogli di zingare stelle”, a richiamare al cuore della sposa il volto dello sposo-soldato, portatole via da un convoglio e, come le stelle-zingare, sempre errante, per andare là dove le battaglie lo chiamano.

La preghiera, questa preghiera, che chiude la poesia, è una nuova promessa d’amore, un nuovo giuramento di fedeltà. Questo, Antonia Pozzi, ha saputo leggere nella “voce” di una donna, ma di una donna che ama.

 

                                                                  Suor Onorina Dino


IL GRINZONE n.59