IL BEL PAESE

Da Dante a Galbani attraverso Stoppani

  

Il 2021 è l’anno di Dante: ricorrono infatti i settecento anni dalla morte del Sommo Poeta, avvenuta a Ravenna nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321. Il suo capolavoro, com’è noto, è la Commedia che verrà poi chiamata Divina nell’edizione stampata a Venezia nel 1555 dall’editore Gabriele Giolito e curata da Ludovico Dolce riprendendo un aggettivo usato da Giovanni Boccaccio proprio per la Commedia. Oltre ad essere fortemente attuale ed immortale, la Commedia dantesca ha avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo non solo della letteratura ma anche della stessa lingua italiana. Contrariamente all’uso dell’epoca, Dante compone, infatti, il suo grandioso poema non in latino, la lingua delle persone colte, ma nel cosiddetto “volgare”, la lingua parlata dal “volgo”, cioè dal popolo, e quindi in “italiano” (che per Dante era il tosco-fiorentino). La grande ricchezza del vocabolario dantesco, fatto di arcaismi, voci plebee (talvolta oscene), latinismi, grecismi, arabismi, regionalismi e forestierismi, nonché neologismi, vive tuttora nella nostra lingua e fa di Dante “il padre della lingua italiana”. Tra le voci e le locuzioni coniate da Dante c’è anche l’espressione Bel Paese, che spesso usiamo per indicare l’Italia, talvolta anche con ironia, quando la associamo alla notizia di qualcosa di brutto (lo scempio del paesaggio e simili, per esempio). Ebbene questa espressione l’ha usata per primo Dante insieme con parole di sdegno nel canto XXXIII dell’Inferno. Siamo nella 2a divisione del 9° cerchio, nell’Antenòra, fra i traditori della patria. Dante, rievocando la terribile fine che l’arcivescovo di Pisa, Ruggieri degli Ubaldini, inflisse al conte Ugolino della Gherardesca, imprigionato nella torre detta della Muda, dove venne lasciato morir di fame insieme con due figli e due nipoti (Anselmuccio, Gaddo, Uguiccione e Nino detto il Brigata), si scaglia contro la città, che ritiene corresponsabile di questo orrore, e si augura che le isole Capraia e Gorgona, che sono davanti alla foce dell’Arno, si spostino verso lo sbocco del fiume provocando un’alluvione così da uccidere tutta la popolazione pisana.


Ecco i versi che ci interessano:

Ahi Pisa, vituperio de le genti
del bel paese là dove ’l sì suona,
poi che i vicini a te punir son lenti,
muovasi la Capraia e la Gorgona,
e faccian siepe ad Arno in su la foce,
sì ch’elli annieghi in te ogne persone!

(Inf., XXXIII, vv. 79-84)

Così si possono parafrasare:

“Guai a te, Pisa, vergogna delle genti che abitano il bel paese dove la lingua usa come affermazione il sì (l’Italia), dato che i tuoi vicini fiorentini e lucchesi si muovono con lentezza a punirti di tanto misfatto, si muovano l’isola della Capraia e l’isola della Gorgona che si trovano davanti alla foce dell’Arno e formino una diga sulla foce stessa, sicché le acque del fiume sommergano e anneghino tutti i suoi abitanti”.

 

L’espressione dantesca ha poi goduto di una certa fortuna. È stata ripresa da Petrarca in un sonetto nel quale l’Italia è descritta per l’appunto come “… il bel paese / ch’Appennin parte (cioè “divide in due versanti”), e ‘l mar circonda et l’Alpe” (146, vv. 13-14).

Ma il Bel Paese è anche il petrarchistico titolo di un’opera di divulgazione scientifica compilata nel 1876 dal naturalista e geologo lecchese, nonché fervente patriota, l’abate Antonio Stoppani (1824 – 1891). Il Bel Paese – il cui titolo completo suona: Il Bel Paese. Conversazioni sulle bellezze naturali, la geologia e la geografia fisica d’Italia – che descriveva l’Italia e le sue bellezze da un punto di vista sia geografico che naturalistico, ebbe una grandissima fortuna nel clima postrisorgimentale. Sull’onda di questo rilancio, nel 1906 un produttore di formaggi lombardi, Egidio Galbani (1858-1950), ballabiese di nascita ma da famiglia oriunda di Baiedo, diede furbamente lo stesso nome a un tipico formaggio a pasta molle da tavola, che sull’etichetta delle confezioni recava il ritratto dello scienziato lecchese insieme con il profilo geografico del “Bel Paese”, l’Italia, con in bella evidenza, tra le altre, le località più importanti per la storia dell’azienda casearia: da Ballabio, a Maggianico, a Melzo, alle varie sedi di stabilimento. Quella di Galbani fu un’intelligente operazione di carattere pubblicitario che assegnò al “Bel Paese” il primo posto tra i formaggi nazionali e internazionali tanto da essere nominato “Roi des fromages”1.

In questo anno dantesco ci pare calzi a pennello la storia curiosa di questa espressione che, coniata da Dante, fu fatta conoscere al mondo intero da un formaggio ideato da una famiglia di bergamini oriunda di Baiedo.

 

Marco Sampietro


Altre curiosità dantesche ‘nostrane’

 Tra i personaggi storici citati da Dante nel suo poema se ne possono individuare almeno due le cui vicende sono collegate a Lecco e al suo territorio1.

 - Rubaconte da Mandello (1170/1180-1238), di nobile famiglia legata al borgo di Mandello, fu podestà di Firenze dal 1236 al 1238. Fu artefice, tra l’altro, della costruzione di un ponte sull’Arno che da lui prese il nome (poi chiamato alle Grazie), citato da Dante (Purg. XII, 102). Rubaconte viene ricordato come uomo giusto e imparziale, autore di importanti iniziative nella Firenze dell’epoca. Franco Sacchetti lo presenta come giudice “salomonico” nella novella CXCVI del suo Trecentonovelle.

 

- Guido di Montfort (1243-1288), figlio di Simone duca di Leicester, nel 1271 trafisse con un colpo di spada il cuore del cugino Enrico di Cornovaglia per vendicare il padre. Il delitto avvenne sull’altar maggiore di una chiesa di Viterbo durante l’elevazione (in grembo a Dio). Per questo Dante lo pone all’Inferno tra gli omicidi (Inf. XII, 118-120). Il delitto ebbe enorme risonanza internazionale. Scomunicato dal papa, Guido fu rinchiuso prima in Toscana e poi, nel 1274, nel Castello di Lecco dove ricevette l’assoluzione dalle censure ecclesiastiche, venendo liberato nel 1278. Fu quindi un illustre prigioniero del Castello di Lecco.

 

È oggi invece negata dagli storici la leggenda secondo cui Dante, durante il suo esilio, sarebbe stato ospitato a Udine dal patriarca di Aquileia Pagano della Torre, della nobile famiglia originaria della Valsassina, che, dopo aver perso la signoria di Milano (1277), si era ritirata in terra friulana.

 

Un’ultima curiosità: nel 1911 uscì un film in bianco e nero di Francesco Bertolini, Adolfo Padovan e Giuseppe de Liguoro dal titolo La Divina Commedia. Inferno. Fu proiettato per la prima volta il 10 marzo 1911 presso il Regio Teatro Mercadante di Napoli e successivamente il 22, 23 e 24 aprile a Lecco, al Teatro della Società. Perché proprio a Lecco? Perché gli esterni furono girati interamente nel Lecchese: al Melgone, alla riva di Parè, ai Piani dei Resinelli e al canalone Porta sulla Grignetta. Dante e Virgilio furono interpretati da Salvatore Papa e Arturo Pirovano, entrambi provetti alpinisti e quindi a loro agio nell’impervio canalone Porta.

                                                                                                                                                                                                  

———————————————————————————-

1 Borghi, Lecco e la sua storia. Dalle origini al dominio visconteo, vol. I, Oggiono-Lecco 2019, p. 251; Id., Dante Alighieri ed alcuni episodi legati al territorio lecchese, “Archivi di Lecco e della Provincia”, XLIV, 2021, 1, pp. 135-146.


 

  IL GRINZONE n.75