SEMPRE VIVO A PASTURO IL CULTO DI SAN CALIMERO
Sui monti che da Pasturo, in Valsassina, salgono alla Grigna Settentrionale, c’è una chiesetta dedicata a S. Calimero. Essa è costruita sul territorio del già Comune di Baiedo, a m.1495 s/m, con un dislivello di m.854 dall’abitato urbano di Pasturo. Antichissima è la data della sua fondazione: 1343, se vogliamo prestare fede al rogito di Pietro Fasolo, Cancelliere della Curia. La designazione del posto, secondo una leggenda locale, venne indicata dalle rondini. Esse col becco trasportarono i minuscoli grani di calce, dal mucchio già approntato per la costruzione, su un ripiano superiore. La volontà di Dio si era così manifestata, contro la volontà degli uomini, attraverso un breve frullo d’ali.
Più interessante, a nostro parere, è però il lato della leggenda che riguarda la vita romita di S. Calimero, a ridosso del gran massiccio della Grigna. Dai punti strategici, dove la vista può spaziare lontano, si alzano vigili i tetti delle chiesine montane. Erano sette i fratelli e le sorelle che appartenevano alla famiglia dei Santi Eremiti. Abitavano lontano l’uno dall’altro nel misterioso fervore della loro solitudine, tutta ripiena della contemplazione di Dio.
Si nominavano: Zefiro sul Legnoncino, Ulderico sul monte Muggio, Eulalia a Gravedona, Eufrasia a Dongo, Grato a Bellano, Defendente a Varenna, Calimero a Pasturo.
Nulla rompeva il susseguirsi delle albe rosate e dei tramonti di fuoco nelle stagioni che scivolavano via negli anni e negli eventi. Soltanto un gran fuoco accendevano sulle soglie delle loro capanne, quando una minaccia di male incombeva sul alcuno di loro. Il compagno più vicino, che solo vedeva il richiamo della luce viva e improvvisa, accorreva a prestare aiuto; spesso era per assistere un ammalato grave o per raccoglierne l’ultimo respiro. Di qui forse è nata l’usanza, che vive tuttora, di accendere grandi fuochi sulla montagna (detti “falò”) la sera della vigilia della festa di un Santo Patrono.
Unendo tra loro i diversi punti da cui ogni Eremita poteva solo comunicare con l’altro, posto nello spazio a lui più vicino, e partendo precisamente da S. Calimero, sito sulle propaggini della Grigna, tocchiamo in direzione nord con linea quasi retta il monte Muggio (1745), il Legnoncino (m. 1714), e Gravedona al di là del lago. Con un mutamento di direzione a sud, è ora la volta di Dongo e, sull’altra sponda, di Bellano e di Varenna.
In realtà San Calimero, nato da nobile famiglia, fu fedele collaboratore del vescovo di Milano S. Castriziano, alla cui morte fu eletto dal popolo a sucedergli. L’episcopato di S. Calimero si pone nel periodo che va dal 270 al 280. La tradizione lo vuole martire, in quanto gettato da alcuni pagani in un pozzo dove trovò la morte. S. Calimero è sepolto nella basilica a lui dedcata a Milano. Nel VIII secolo, nella cripta della basilica, le sue reliquie furono ritrovate in un pozzo, ancora oggi esistente, immerse nell’acqua. Un tempo in occasione della festa del santo, l’acqua del pozzo veniva distribuita ai malati.
Le pratiche di pietà, le novene, i tridui, le processioni al Santo affinché Egli conceda l’acqua piovana assumono per Pasturo una grande importanza. Infatti l’economia del paese é interamente fondata sui prati tenuti a pascolo; una ragione ancor maggiore che lo fosse in un tempo in cui nessuna industrializzazione, nessun impiego capitalistico di danaro aveva turbato la semplice pace della vallata.
La devozione dei Pasturesi per S.Calimero è dunque antichissima. Vi si saliva in processione il giorno della festa, che ricorre nel rito ambrosiano il 31 luglio, invitati dal richiamo di una campanella che ricordava ai valligiani l’obbligo devoto. Lassù sulla montagna, mancando le campane, il richiamo veniva dal capo mandriano del pascolo di Prabello. Al Parroco officiante veniva poi offerta la panna dai malghesi; dono che veniva ricambiato dal Parroco con vino e salsicciotto.
L’usanza della processione si tramutò col tempo e degenerò in una gioiosa spontanea corsa alla Sagra Montana lassù. In una cronaca del Parroco don Riccardo Cima, e precisamente del 1949, si legge: “Il giorno 31 luglio, festa di San Calimero ai Monti si svolge, come negli anni precedenti, la Sagra del Santo... La festa non porta però alcuna spiritualità, ma è festa di dissipazione e di distrazione; e per conto mio saggio e prudente é il Decreto di S.E. il Cardinal Ferrari, il quale raccomanda si faccia nel giorno che capita e non si trasferisca mai in domenica per evitare tanti disordini verificatesi anche prima che io fossi Parroco d Pasturo”.
In processione si sale ora solo nei casi di grave siccità, alternando preghiere e cantici liturgici. Molto é mutato nelle linee esteriori, da quando si saliva in processione guidata dalla Confraternita del S.S. Sacramento in divisa, seguita dal Sacerdote e dal popolo. Il priore della Confraternita interrompeva a tratti prestabiliti l’avvicendarsi dei canti e delle preghiere e l’ansare del cammino per una sosta indispensabile pronunciando, nel dialetto locale, le tradizionali parole: “Chilò se possa!” (qui si riposa), deponendo contemporaneamente a terra e facendo deporre agli altri le Sacre Insegne.
Se nulla conosciamo del primitivo culto del Santo qualcosa ci è pero noto del culto, di non molto posteriore, del 1500. Infatti un istrumento datato 1595 ci informa di un legato del tutto particolare: un certo Giacomo Battista Merlo di Pasturo prescrisse agli eredi Pietro e Giovanni Antonio suoi fratelli di far dipingere nella chiesa di S. Calimero l’effige di S. Francesco di Paola: "Post eius decessum eius heredes pingere faciant in Ecclesia S. Calimeri imaginem S.Francisci da Paola cum effigie ipsus.testatoris genibus flexis”.
Possiamo quindi dedurre che a quei tempi la Chiesa fosse molto frequentata perché un paesano volesse essere ricordato lassù. Il pittore sempre secondo lo studio esauriente dell’Orlandi, pare essere un certo Cironi o Ceroni di S. Mammete in Valsolda , marito di una Pedrina Ticozzi da Pasturo; e la conferma di tutto questo ci è data dalla scoperta nel 1938, di una piastrina antistante l’altare maggiore di cui riportiamo il testo: “Franciscus Ceronus de Valsolde S. Mamet pinxit ano 1597 agosto adì 14 laus deo”.L’affresco venne poi distrutto dal tempo, ignorato qual era a causa della sovrapposizione di un altro quadro, probabilmente anche quello del Reali. Unica testimonianza è una piastrina con l’autenticazione del pittore e della data.
La chiesa fu oggetto di amorevoli cure attraverso gli anni perché le intemperie non guastassero irrimediabilmente ai Pasturesi la testimonianza della loro fede. Dal diario del Parroco di Pasturo si legge una cronaca, di quanto fu da Lui fatto a maggior gloria del Santo nel culto e nelle opere.
E’ l’anno 1939: “Per il 31 agosto 1938 fu ultimato l’altare nella chiesetta di S. Calimero ai Monti, di cui vige gran devozione nei montanari, specialmente nei momenti di gran siccità. Mentre tutto il pavimento venne completamente rifatto nel 1937, l’altare venne collocato nel 1938. Rimarrebbe ora l’opera del pittore per riordinare l’esterno e l’interno. La spesa incontrata per l’opera muraria, l’altare, riordino, pavimentazione ed opera del falegname, si aggira su Lire 5.000”.
Se la chiesina di S. Calimero guarda dall’alto i Pasturesi fedeli al suo culto e protegge con la sua ombra religiosa i prati digradanti e le mandrie che pascolano nelle lunghe giornate estive, altre due cappelline attestano, intorno al paese, la devozione che i montanari hanno sempre avuto per il loro Santo Protettore. Tra l’abitato di Pasturo e di Baiedo, sulla strada che unisce i due paesi, si può vedere, sebbene molto rovinato dal tempo, su una Cappelle che segnava una volta il confine tra i due Comuni, un affresco di S. Calimero a lato di un dipinto raffigurante La Madonna con San Carlo che cura gli appestati.
Sulla riva sinistra del fiume Pioverna, su una mulattiera che congiunge il ponte di Chiuso con Barzio, salendo dolcemente la montagna all’ombra dei boschi si trova un’altra Cappelletta o Tabernacolo, costruita nel 1875. L’affresco, in ottime condizione, ricorda a sinistra della Madonna della Cintura, S. Calimero e a destra S. Antonio Abate. Dal basso guarda lassù, all’altra chiesa montana di cui si scorge il tetto, e pare abbracci nello slancio devoto l’ampia conca verde che le si apre davanti.
Nelle famiglie pasturesi si ripeteva spessissimo di famiglia in famiglia il nome di Calimero (“Calumer” nel dialetto locale). Qualche Calimero si distinse del tempo per ingegno naturale e lasciò traccia durevole di sé. Ricordiamo solo Calimero Cimpanelli, detto “Maestro Calimeri”, figlio di Domenico, nato a Pasturo nel 1760 e morto nel 1824. Legnaiolo intelligente fece l’incastellatura delle campane fuse nell’anno 1791. Intagliò nel legno il grande Crocifisso che domina dall’alto la navata centrale della Chiesa Parrocchiale. Un Calimero Platti, nel 1681 fece affrescare sulla volta del presbiterio nella chiesa della Madonna della Cintura, il medaglione raffigurante l’Adorazione dei Magi. Un altro Calimero affrescò la volta barocca della chiesa della Cintura.
Il nome di Calimero è andato molto in disuso tra i Pasturesi. Ma il culto del Santo è rimasto nel cuore dei valligiani con lo stesso nostalgico richiamo delle loro montagne che li accompagna ovunque essi vadano. E se i vecchi guardano ora la chiesina lassù con l’occhio stanco e il ricordo e la preghiera nel cuore, i giovani sentono l’invito alla preghiera che è l’eredità spirituale di quelli che li hanno preceduti e nel nome di S. Calimero congiungono le mani devotamente invocando dall’alto la benedizione per le loro fatiche.
Nei giorni dell’ira, dell’odio e dello sconforto la chiesetta solitaria vide sfilare dinnanzi schiere di dispersi, di gente senza nome e senza patria che fuggivano l’oppressore. E’ nel luglio del 1944 che questa gente disperata e sola assisteva alla Messa in onore del Santo e chiedeva a lui in umile preghiera il dono incommensurabile della libertà che si voleva a noi tutti negare, quella libertà che non deve essere arbitrio, ma forse sapore, essenza di vita, focolare di amore.
Don Giovanni Ticozzi *
* Riprendiamo questo articolo di don Giovanni Ticozzi, riproposto da Margherita Ticozzi e Cusi Francesca sul Giornale di Lecco nel 1961.
IL GRINZONE n.15