SERGEI DURASOV, UNO DI NOI
Un poeta russo parla della poesia di Antonia Pozzi: una straordinaria testimonianza della capacità della vera poesia di azzerare le distanze fra gli uomini.
Estate di un anno fa. Un bel giorno gli abitanti di Pasturo vedono aggirarsi per il paese uno sconosciuto che non possono fare a meno di notare: fisico tozzo e corpulento, faccione tondo, barba fluente ed incolta, stempiato, guance rubizze. Non occorre un atteggiamento di particolare pregiudizio nei confronti degli estranei, per accostarlo ad un “barbone”. Tanto più che il nuovo venuto ha un comportamento strano: si aggira lentamente per il paese, percorrendo più e più volte strade e stradine, osservando tutto attentamente, considerando con cura ogni dettaglio gli si pari davanti. La sua permanenza in paese si prolunga per diversi giorni ed, inevitabile, inizia il passaparola: “Fate attenzione, c’è un tipo strano in paese”.
Poi lo sconosciuto viene visto in giro con il Sindaco di Pasturo, in amichevole conversazione; anzi i due sembrano legati da amicizia. Il sospetto svanisce e si viene a sapere chi è e che cosa ci fa a Pasturo: Sergei Durasov, poeta e studioso russo, sta traducendo nella sua lingua le poesie di Antonia Pozzi ed ha scelto di soggiornare in paese, osservando con attenzione ogni angolo più riposto per immedesimarsi nei luoghi da cui tanta parte della poesia di Antonia ha tratto ispirazione.
Durasov torna di nuovo a Pasturo, si mostra persona semplice, desideroso di entrare in rapporto con la gente del posto, parla un italiano un po’ stentato ma ben comprensibile, pian piano diviene una presenza familiare e stimata.
Giovedì 31 ottobre, per iniziativa del Sindaco Agostoni, si tiene in Sala Consiliare un pubblico incontro in cui il poeta russo racconta come ha conosciuto la giovane poetessa cara ai Pasturesi, e che cosa ha trovato in lei di tanto interessante da spingerlo a tradurre in russo 250 sue poesie, convincendo una piccola casa editrice di San Pietroburgo a pubblicarle.
Una quarantina i presenti, la sala consiliare è piena, Durasov si esprime in un italiano chiaramente intellegibile ma con grande fatica e palese disagio. Nel suo parlare si avverte immediatamente la sofferenza di chi comunica cose che sente decisive per la propria vita ma fatica a trovare parole adeguate; si ferma spesso e torna su quanto ha appena detto, chiede un momento di silenzio per riordinare le idee, sorride con commovente dolcezza e tende nervosamente i muscoli del viso per la fatica del parlare.
Quando ha finito, è trascorsa circa mezzora, Guido Agostoni chiede ai presenti domande e commenti. Si apre una conversazione intensa, senza un attimo di pausa, per oltre un’ora; molti degli intervenuti non nascondono l’emozione per l’imprevedibile vicinanza che hanno avvertito nell’ascoltare Durasov che parla della “nostra” Antonia; l’ospite russo prende straordinariamente sul serio ogni intervento e risponde ad ognuno con palese coinvolgimento del cuore ed anche del giudizio. Gli applausi piovono spontanei a più riprese.
Lo strano tipo che un anno fa veniva osservato con sospetto aggirarsi per Pasturo ora è uno di noi: l’imprevedibile capacità della poesia di azzerare le distanze fra gli uomini si palesa una volta ancora. Antonia è viva e presente fra noi.
Durasov ha scoperto Antonia Pozzi nella modalità più casuale: si trovava a Napoli, pochi anni fa, condottovi dalle esigenze dei suoi studi di letteratura italiana; acquista in una bancarella un testo usato di storia della letteratura italiana del Novecento, nota subito che è presente, fra gli autori citati, un’unica donna, con un ruolo del tutto marginale, quattro brevissimi testi poetici. Li legge e avverte immediatamente una profonda sintonia; si convince presto di trovarsi di fronte ad una personalità poetica straordinariamente affine alla sensibilità ed alla mentalità del popolo russo. Tutto il suo intervento, nell’incontro in sala consiliare, mira a documentare questa imprevista e profonda consonanza fra la poetessa milanese e l’animo profondo della Russia.
Durasov dice tante cose, evidenziando profonda conoscenza e intensa sintonia con la nostra poetessa, ma tutte ruotano attorno ad un unico focus: la concezione sacrale delle cose. Nella poesia di Antonia, come nella tradizione russa, ogni cosa si presenta di fronte all’uomo con una propria consistenza, capace di entrare in relazione con l’uomo che sa guardare, di suscitare sentimenti, di generare pensieri, di allargare lo sguardo e la consapevolezza del soggetto. Siamo agli antipodi della mentalità positivista e pragmatica dominante oggi in occidente, disposta a considerare una cosa solo in quanto possibile strumento della propria azione ed oggetto quindi di manipolazione. L’uomo occidentale del ventesimo secolo si pone nella realtà come signore e padrone che tutto piega ai propri progetti; ciò che è fuori di lui, o entra nel perimetro del suo ego oppure non esiste. Tutta la poesia di Antonia Pozzi, effettivamente, consiste invece in un continuo dialogo con le cose, grandi o minute che siano, e tutto è occasione per allargare l’orizzonte del cuore e della mente.
E’ evidente come Durasov parli di sacralità delle cose in termini assolutamente laici, nessuna concessione alla dimensione magica o visionaria, nessun trasporto mistico, niente a che vedere col panteismo salottiero della cultura new age.
Il momento di più intensa sintonia fra l’oratore ed il pubblico arriva in chiusura d’incontro, quando l’ultimo intervento domanda come abbia introdotto la raccolta poetica in lingua russa, cioè come abbia proposto al lettore russo le poesie di Antonia Pozzi.
Durasov si mostra subito in difficoltà di fronte a questa domanda, esita, quasi si vergogna, non vorrebbe rispondere. Poi parte in quarta e traduce alla lettera un lungo brano della sua introduzione. Queste, in sintesi, le sue parole: ”Sono rimasto molto impressionato dalla frequenza con cui, da alcuni anni a questa parte, i giornali del mio paese danno notizia di suicidi di giovani, o addirittura di bambini; più ancora mi ha sconvolto constatare che la cronaca dà ampio spazio a fatti di questo genere, ma nessuno azzarda tentativi di spiegazione del fenomeno e tanto meno propone rimedi. Evidentemente l’intellettuale russo dei nostri tempi si trova completamente spiazzato di fronte alla perdita del senso del vivere, al punto di evitare addirittura di parlarne, rifiutando di lasciarsi interrogare dai fatti. Io sono convinto che la conoscenza della poesia di Antonia Pozzi fornisca una via di riscossa, indichi cioè uno sguardo sull’esistenza capace di riconoscere il positivo del vivere, anche in momenti di gravissimo disagio personale. Non sono un ingenuo, non credo certo che la mia traduzione, tra l’altro diffusa in un numero molto limitato di copie, da una casa editrice marginale, possa fornire un argine significativo al fenomeno dei suicidi fra i giovani. Sono però convinto che possa indicare una strada, riportando alla luce un elemento sostanziale della tradizione russa: la compassione per l’uomo, la compassione di fronte alla sofferenza, al buio del vivere, alla negatività invasiva che spegne il desiderio di vivere”.
Si può discutere questa funzione di sostegno all’esistenza attribuito alla poesia, ma bisogna riconoscere che tutti i grandi della letteratura russa scrivono certi di dare voce al proprio popolo, di portare alla luce gli elementi migliori della coscienza nazionale, fedeli al compito educativo connaturato alla poesia.
Dopo quasi due ore l’incontro ha termine, Durasov scambia quattro chiacchiere con alcuni dei presenti, riceve una telefonata dal padre, in Russia, accetta di sedersi qualche minuto ad un tavolino del bar, accanto al sindaco, in compagnia di pochi amici, beve un calice di vino rosso, secondo la più classica consuetudine della valle, e si avvia presto a coricarsi, come sano costume di ogni pasturese.
Sergei, il russo, uno di noi.
Franco Viganò
IL GRINZONE n.45