Cencio

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76 Pozzi


L’8 aprile 1929, giorno in cui risulta datata questa poesia, Antonia è appena rientrata a Milano. Infatti il padre, l’avvocato Roberto, aveva organizzato un viaggio per la famiglia, sfruttando com’era solito fare, il tempo delle vacanze pasquali perché la figlia non perdesse giorni di scuola e lui di lavoro. In automobile, si suppone, autista il padre. Meta del viaggio: Napoli, ma solo per due giorni e, in più, come ponte di transito per altri lidi. Antonia infatti, ha già visitato questa città nell’aprile dell’anno precedente, durante un altro viaggio “pasqualino” con la zia Ida, e ne aveva riportato un’impressione più che positiva, entusiasta, come aveva scritto alla Nena, l’amatissima nonna Maria: «…che bella, Napoli! Macché sporcizia, macché luridume! La stanno facendo diventare la più pulita, la più elegante, la più ricca città d’Italia!». Da Napoli il viaggio si diramerà verso Sorrento, dove la sosta sarà più lunga, e poi verso Amalfi, Ravello, Pesto, Salerno; e poi di nuovo Napoli e imbarco per Genova, sulla nave Ausonia, presente tra le fotografie che Antonia ci ha lasciato. Forse è il primo viaggio via mare di Antonia, che il 3 aprile confida, ancora alla nonna, da Sorrento, il turbinio del suo cuore: «Pensa che emozione!». Si scopre così che il mare, con la sua immensità, sulla quale le stelle dal cielo rispecchiano il loro brillio quasi per vedersi scintillare e danzare al ritmo delle onde: il mare – ecco – è la prima fonte di ispirazione poetica per la giovanissima Antonia. Le sue prime tre poesie – Spazzolate di vento, Crepuscolo, Mascherata di peschi – infatti, sono scritte a Sorrento. E Cencio? Cencio nasce – sulla carta – a Milano, ma è già viva nella mente di Antonia al mare: nel mare di Napoli, prima ancora delle tre poesie nominate, essa ha già trovato forma e colori, come possiamo leggere in una lettera alla grande amica Lucia, scritta da Sorrento, il 30 marzo: «…un momento solo di silenzio ricordo, tra i balzi inquieti del vento: a Mergellina, presso il parapetto del lungomare, dinnanzi al golfo che si sbiancava nelle brume scialbe, sotto un cielo pieno di ditate rosa […]. Ora ho dinnanzi a me una settimana di contemplazione: qui tutto è bello di una bellezza che fa persino male; dinnanzi a cui non senti che il tormento di non saperti estasiare abbastanza»; e nella lettera alla nonna, del 3 aprile, sempre da Sorrento, le “ditate rosa” diventano «lunghe carezze rosa», perché nelle carezze c’è tutta la tenerezza del suo affetto per la Nena, ma anche tutta la tenerezza della nonna per lei.

Antonia ha scolpito nei suoi pensieri tutta quella bellezza: essa le ha scavato l’anima, l’ha fatta sentire piccola, inutile, come «lo straccetto cinerino» che «si butta via a calci», in cui si identifica.

Ma forse, al fondo di una visione di sé così riduttiva e insignificante, anzi fallimentare e distruttiva di sé c’è la coscienza avvertita di un vuoto interiore e di una solitudine spirituale incolmabili già ora, a diciassette anni: «Non sono né triste né lieta: sono un forma di sensazioni indefinite. Stasera, dinnazi alla prima stella, stavo per farmi, istintivamente, il segno della croce…», scrive ancora a Lucia. Le manca Dio, le manca il suo professore di latino e greco dell’anno precedente, Antonio M. Cervi, che pure ha rivisto a Napoli e che l’ha accompagnata a visitare Pompei. Di lui Antonia scrive alla Nena: «[…] ho pescato il professor Cervi[…]. Per me è stato un rivivere le ore indimenticabili che passavamo l’anno scorso a scuola, cioè tornare a quella felicità inconscia, e quindi immeritata, che ormai ho imparato a non rimpiangere più. Ormai so che alla felicità vera non si arriva che attraverso le lacrime e che la lontananza non è che una vicinanza più salda e più nostra, quando le anime si avvicinano fraternamente in nome della luce che bisogna cercare». Forse in questa occasione Antonia gli avrà rivelato o, almeno, cercato di fargli capire, quanto amore si agitava nel suo cuore per lui e si sarà sentita rispondere: “Mia buona sorellina”, come Cervi le scriverà in seguito, prima che anche lui si lasci coinvolgere dall’amore per lei? Solo così si può intendere, allora, lo “straccetto cinerino che si butta via a calci” perché non serve a nessuno, non ha alcun valore per l’altro; perciò la sua «anima s’appiattisce / tra passato e presente / come un’avvinazzata corolla di papavero / a ricordo d’un idillio di viaggio / fra le pagine di una guida turistica», come scriverà nella poesia Copiatura, del primo settembre dello stesso anno.


                                           

                                                                                  Suor Onorina Dino



IL GRINZONE n.76