Confidare

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La vita di Antonia Pozzi scorre su binari che si affiancano all’infinito come parallele nello spazio che non s’incontrano mai: gioia e dolore, speranza e delusione, sogno e realtà, contemplazione e riflessione, amore e morte, fiducia e disincanto.

Confidare è una poesia dove solo una è la linea su cui Antonia si muove: quella della fiducia, che comprende in sé tutto il positivo dei binari già detti: la gioia, la speranza, il sogno, la contemplazione, l’amore. Il disincanto non tarderà molto a venire, di esso traboccheranno le poesie successive e ciò che rimane del suo Diario del 1935, ma ora è il tempo del canto spiegato, a piena voce.

   «Ho tanta fede in te» scrive Antonia all’inizio della poesia, e scrivere «fede» piuttosto che “fiducia” è estremamente significativo: il termine «fede» implica, infatti, un credere profondo, senza il minimo dubbio, il minimo sospetto, il minimo tentennamento; implica la professione di un totale abbandono, di una pienezza d’amore che si consegna, credendo, a un altro amore creduto altrettanto vero e profondo, senza punti interrogativi, senza congiunzioni dubitative.

   Tale è la fiducia verso questo tu, che si chiama Remo Cantoni, che Antonia dichiara di poter «aspettare» una sua risposta «per secoli di oscurità» e, quindi, alla cieca e senza porre domande, sicura che la voce di lui un giorno si farà viva e farà uscire lei dall’oscurità, le darà vita e luce e musica di parole d’amore. Questa «fede», che Antonia dichiara, è intensa e vera come quella del contadino arabo che, dopo aver seminato l’orzo, riposa in un’attesa tranquilla, sicuro che Dio lo farà germogliare e maturare. Ed ecco che tra le due dichiarazioni di fede della prima e terza strofa appare, come per magia, il ritratto di Remo, il secondo amore di Antonia, dopo quello per Antonio Maria Cervi, che l’ha fatta gioire e più ancora terribilmente patire. Remo appare, nella seconda strofa, come una sorta di divinità, un sole che ha la forza di far «fiorire i gerani e la zàgara selvaggia» nelle «cave di pietra, delle prigioni leggendarie».

   Cava di pietra e prigione è il cuore di Antonia in questo tempo; deserto, dove lei, «arabo avvolto nel barracano bianco», attende di essere liberata e di fiorire a nuova vita, cui allude la zàgara, simbolo di amore sponsale, di quell’amore che Antonia vorrebbe vivere accanto a Remo. Di questo amore Antonia ha fatto già dono a Remo nella poesia Bellezza, in cui ogni strofa si apre con le parole: «Ti do me stessa», seguite da tutte le immagini di bellezza che hanno colmato il suo cuore in molte occasioni esaltanti della sua vita: «Ti do me stessa, / le mie notti insonni, / i lunghi sorsi / di cielo e stelle – bevuti sulle montagne […]; il sole vergine dei miei mattini / su favolose rive […]; i meriggi / sul ciglio delle cascate, / i tramonti […] fra tronchi di cipressi animati / di nidi». Tutte queste bellezze si condensano nell’ultima strofa a costituire se stessa, la sua persona, che si dona intera, ma con nel cuore il «tremito» per l’accoglienza che potrà avere il suo dono nel cuore dell’altro: «E tu accogli la mia meraviglia / di creatura, / il mio tremito di stelo / vivo nel cerchio, / degli orizzonti, / piegato al vento / limpido – della bellezza».

 

                                               Suor Onorina Dino


IL GRINZONE n.80