L'allodola
Quando Antonia Pozzi sceglie dieci dei suoi componimenti poetici per farne dono ad Antonio M. Cervi come pegno di memoria “per sempre” del loro amore, stroncato proprio quando si era fatto più intenso e più vero, colloca questa poesia al secondo posto, nella minutissima antologia scritta con le sue mani in una altrettanto minutissima grafia, perché i testi potessero essere contenuti nel breve spazio di foglietti non più grandi di dieci per dodici centimetri. Antonia, infatti, non dispone le poesie secondo la successione temporale di composizione, ma secondo il dolente decrescere di una felicità vissuta con tutta se stessa fino al tragico finale della separazione definitiva, imposta da suo padre Roberto. Separazione che Antonia sigla nella piccola raccolta con la poesia Voto, al decimo e ultimo posto e con l’eroico appassionato coraggio di parole che potevano scaturire soltanto da un cuore che veramente ama ed è pronto perciò al sacrificio:«si confonda con la pioggia del cielo / il mio pianto: / bagni il tuo crescere / senza essere scorto». Dalla prima poesia, La vita sognata, all’ultima Antonia ripercorre il suo cammino di sogno, di fiamma, di speranza dolcissima e di amarissima fine.
L’allodola è una poesia in cui ritorna in tutta la sua densità e intensità la «fiaba del tempo d’amore», cantata e pianta nella poesia La gioia ; del tempo vissuto veramente come una fiaba o «una parabola santa» come scrive in La vita sognata. Dominano, in essa serenità e gioia, luce e pace
moltiplicate all’infinito come suggeriscono «l’immenso / cielo d’estate» e le «sconfinate distese di grano»; immagini che fanno avvertire in tutta la sua forza la spinta interiore di Antonia ad uscire da sé per confondersi con l’azzurro infinito del cielo mattutino e con il profumo dorato del grano che ondeggia sulle pianure a perdita d’occhio. Tanto è incontenibile l’amore vissuto e la gioia che da esso le derivava che ella rimane sospesa, come l’allodola cui si paragona, in un volo verticale tra cielo e terra mentre effonde il suo canto per l’amato, che non può più vederla, per se stessa che non può più vedere l’amato.
Sembrerebbe, L’allodola, la poesia della pienezza del cuore, della pienezza della vita. Tutte le immagini che si dipanano, fin dall’inizio, nel nitore del ricordo, compongono un ritratto di Antonia e di Antonio M. Cervi in piena armonia con se stessi, tra loro e con la natura, col tempo presente e col tempo a venire: «sorridevamo al domani / come bimbi tranquilli»; «le nostre mani / congiunte / componevano / una tenace / conchiglia / che custodiva / la pace»: come si può aprire, infatti, una conchiglia e separarne le valve quando è ancora piena di vita se non con la violenza? Ma la tempesta che già scuoteva la loro vita non le incuteva paura, perché c’era lui, Antonello, a placarla, come «un santo… che cammina sul lago». E, senza che Antonia lo dia molto a vedere, ci rimanda, anzi rimanda se stessa, per incoraggiarsi forse, a due episodi narrati dai Vangeli: quello di Gesù che cammina sulle acque e l’altro di Gesù che placa la tempesta sul lago di Tiberiade Scopriamo, ancora una volta, quando meno ce l’aspettiamo, che Antonia conosceva i Vangeli.
Antonia chiama “vana” la tempesta che si è abbattuta su di lei e su Antonello, perché ha piena fiducia che il loro amore vincerà – come gli apostoli avevano avuto piena fiducia che Gesù li avrebbe salvati – e che durerà per sempre, anche nella lontananza più lontana, anche nell’assenza dei reciproci volti, dei reciproci sguardi. Così gli aveva scritto il 2 aprile 1932, nel pieno della bufera: «Bisogna che noi ci amiamo sempre più in alto, là dove il soffrire si scioglie in luminosa gioia:la nostra vita deve essere veramente un’ascesa»; e il 22 maggio dello stesso anno:«[Nello], santità della mia vita: nemmeno uno, nemmeno uno dei nostri sogni deve vacillare dinnanzi ai tuoi occhi, impallidire. Tutti chiari e fermi come giornate di sole, sicuri. Perché io sono la tua sposa e tu il mio sposo dolcissimo…».
Nella poesia L’allodola è rimasta tutta la profondità di questo amore. Ma al fondo del canto dell’allodola, che è anche il canto di Antonia, quanto dolore trema e si dibatte, nascosto, impercettibile quasi, se non si è più che attenti a coglierlo nei verbi della poesia, tutti al passato, e nei versi, soprattutto quelli che seguono i primi quattro che sono ancora sufficientemente piani, frantumati da singhiozzi che nessuno sente, ma che un lettore sensibile può percepire con l’orecchio e specialmente con il cuore.
suor Onorina Dino
IL GRINZONE n.74