Brughiera

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È giornata di caccia nella Brughiera di Somma Lombardo il 28 aprile 1937, quando Antonia Pozzi compone questa poesia. Roberto, suo padre, e i suoi amici dell'alta borghesia milanese si sono dati convegno. Le fotografie, scattate da Antonia e raccolte in un album, immortalano gli eleganti cavalieri e qualche, altrettanto elegante, rara cavallerizza, ritti sui loro cavalli, in mezzo a tanti cani, bellissimi nelle loro livree a chiazze chiare e scure, e le scenografie che uomini e animali compongono avviandosi per la brughiera, in fila o a grandi ellissi, a seconda del suolo più o meno libero da alberi e arbusti. Anche Antonia è in tenuta da cavallerizza, monta il suo Viadur, dalla macchia bianca in mezzo alla fronte, oppure, con un gesto di dolcezza ineguagliabile e un mite sorriso, standogli accanto, gli accarezza il muso o forse gli porge del cibo. Queste scene dovevano ripetersi ogni volta che il padre invitava la figlia alla caccia, perché Antonia non vi prendeva parte e, se l'amica Lucia Bozzi non aveva altri impegni, la invitava: scusa eccellente per starsene tranquilla in disparte. Ora è sola, sola col suo cavallo, scomparsi ormai nel fitto della brughiera gli allegri agitati cacciatori.

 

È in questo suo starsene in disparte, in un angolo silenzioso, che nasce la poesia Brughiera.

Ci saremmo aspettati, forse, un testo descrittivo della particolare natura del luogo, ma la poesia prende il via e si sviluppa intorno a un piccolo evento: tra i colori suscitati dalla primavera - l'azzurro delle pervinche, il rosa trasparente dei fiori di ciliegio appena sbocciati, il giallo della ginestra che incomincia ad occhieggiare in mezzo agli altri arbusti -   spicca il verde-azzurro di un ramarro. In disparte anch'esso, anch'esso solo. Due solitudini s'incontrano qui: quella del ramarro, cercata per evitare i pericoli fin troppo evidenti all'udito e alla vista, oltre che per scaldarsi al tiepido sole d'aprile; l'altra, di Antonia, cercata all'esterno per vivere con più consapevolezza la solitudine interiore: quella del cuore, in cui si celano pensieri affollatisi nel tempo ̶ poco più di un mese   ̶ trascorso a Berlino e a Praga, da dove è da poco rientrata. L'impegno degli studi e le visite alle città, di cui nelle lettere ai genitori decanta grandezza e bellezza, e qualche intermezzo di svaghi, non le hanno impedito di intuire l'approssimarsi della tragedia: la guerra ̶ che lei non vedrà   ̶ ma che travolgerà il mondo da lì a poco. La solitudine, allora, è una condizione necessaria per respirare il profumo della libertà a contatto con una natura che ha vestito ormai l'abito delicatamente colorato della primavera.

Ed ecco il ramarro: unico essere vivente accanto a lei, con il quale stabilisce subito un confronto diretto da cui scaturisce una somiglianza: «Tu sei come il ramarro … / che del proprio rumore si spaura»: timidezza del ramarro e timidezza sua; paura del ramarro e dolore suo, lungo quanto la sua vita dopo il breve tempo dell'infanzia:

«Chi mi parla non sa / che io ho vissuto un'altra vita ̶ / come chi dica / una fiaba o una parabola santa ...// O velo tu della mia giovinezza, mia veste chiara, verità svanita...» (La vita sognata,1933); «…ora nessuno si china / alla sponda / della mia culla obliata ̶ // Anima ̶ / e tu sei entrata / sulla strada del morire» (Inizio della morte,1933); «… si confonda con la pioggia del cielo / il mio pianto: / bagni il tuo crescere / senza essere scorto ̶ » (Voto, 1933).

   Dov'è ora Antonio Maria Cervi?

   E Remo Cantoni, dov'è?

«… il tuo sorriso mi cadeva in volto, / dall'alto, / da fresche fontane» (La rampa,1935); «Alle soglie d'autunno... // scopri l'onda del tempo / e la tua resa / segreta…» (La vita,1935); «…il ricordo del tuo viso / come mi nascerà / nel vuoto…» (Convegno, 1935).

Soltanto i «ciliegi appena in fiore», così delicati e trasparenti da non fare neppure ombra, e i «tenui profili di colline», quasi siepe alla vasta brughiera, creano come un velo di protezione al ramarro spaurito dalla vita che si chiama Antonia.

   Fin qui, la prima strofa.

   La seconda strofa è tutta per il «ramarro verde e azzurro», che trova improvvisamente «enormi ali» per scattare, in un balzo di paura e di salvezza, al rombo di un aereo che passa proprio sopra la sua zolla d'erba e di frasche, rubandogli, con la sua ombra, il calore del sole. Anch'esso veloce come un aereo - «acciaio splendido» - ora ride, forse perché, superato l'istante della prova e conquistata un'altra zolla di terra tranquilla, osserva la paura di altri esseri più grandi e più potenti di lui: «l'ombroso imbizzarrirsi dei cavalli» e il «pavido balzare delle lepri», doppiamente spaventate, queste, dal rombo dell'aereo e dalla furia dei cavalli. E, improvvisamente, insieme con le lepri fuggitive spuntano altri fiori, i narcisi, ad aggiungere nuovi colori alla brughiera. E forse anche Antonia deve avere abbozzato un sorriso dinanzi a quella scena di vita così movimentata e libera.

La breve pausa divertita non l'ha però distolta dalla sua solitudine interiore, né ha cancellato i suoi ricordi o ha placato il suo desiderio di coniugare la propria vita con quella di un'altra persona: esso pare ridursi soltanto a un sogno, tante volte sognato e altrettante volte svanito: anche ora, in questo 1937, in cui un'amicizia nuova, fresca e intensa, fuori dai binari del suo ambiente borghese, le ha già afferrato il cuore e lo ha illuso d'amore.

Ed ecco fiori di pesco e di glicine a completare la variopinta primavera d'aprile: essi parlano d'amore, ma sembrano suggerirle, malinconicamente, che forse sta camminando verso una nuova grande illusione, perché le «carezze» si sono perse nell'aria e sono approdate tra le «dita dei peschi» che, però, non possono accarezzare; e gli «sguardi d'amore» non si sono incontrati, anzi si sono impigliati nelle «glicini sui ponti», grappoli profumati, di lacrime.

«… nella voce e nello sguardo / hai acqua, / tu profonda frescura… » (Periferia in aprile,1937);

«E a noi / forse sovviene di un istante, quando / qualche cosa si perse / ad un crocicchio: / che non sappiamo. / Sì che vuote / ora - e disgiunte / senza amore ci pendono le mani» (Fine di una domenica, 1937); «...un albero / solo ho compagno nella tenebra piovosa…» (Nebbia, 1937)

Anche Dino, per cui annodava il suo «grembiule rosso», dove sarà ora? E domani?

Un'ultima immagine chiude la poesia, quella del fiume: straordinaria nella sua complessità e nella sua fresca leggerezza tanto che pare voglia fare sparire d'un tratto tutti i pensieri che hanno attraversato il cuore e la mente di Antonia durante la sosta nella brughiera. Il fiume scorre rapido ma «senza creste» così che le sue acque sembrano trasportare attraverso la brughiera, riflettendole, le montagne dalle quali discendono; e appena fuori dal bosco «trova lieve il vento»: esso dà ali all'umidore, che sale dal fiume, intriso del profumo della brughiera, e lo sospinge sempre più in alto, fino a farlo incontrare con «le fresche nuvole d'aprile». Ed è in questo incontro tra cielo e terra che si nasconde e al tempo stesso si rivela il tenue filo di speranza che tiene ancora in vita i sogni di Antonia.

                                              

                                                                      Suor Onorina Dino


IL GRINZONE n.78