Notte e alba sulla montagna
«Sabato notte, con una luna che inondava tutta la valle, sono salita sulla Grigna ed ero lassù prima dell’alba, sola sulla vetta, sotto il sorriso gelido delle ultime stelle […] E mentre ero lì, immobile, sull’erba madida di guazza, rosata dal primissimo sole, e non mi giungeva altro suono che quello delle campane, sospinto verso l’alto, a ondate, pensavo alle nostre sere di Breil, alla voce del tuo strumento che parlava lentamente coi lumi dei pastori sulla montagna, con le stelle che si levavano dal nevaio e si coricavano tra le rocce […]».
Così scriveva Antonia, nell’agosto 1933, all’amica Elvira Gandini, con la quale aveva trascorso una vacanza a Breil nel mese di luglio. Dai ricordi di quelle giornate e dall’ascensione alla Grigna fiorisce, con il candore e la freschezza di una stella alpina, la poesia Notte e alba sulla montagna, datata 1° ottobre 1933.
La poesia sembra un idillio, tanto è lieve e pura la descrizione, ma dentro l’idillio si cela l’anima della poetessa, attenta a cogliere la voce delle cose, ma anche a trasfondere in esse, nel loro essere e nel loro apparire, pensieri e sentimenti, sensazioni e riflessioni, senza renderli espliciti, in una sorta di simbolismo che tocca al lettore decifrare.
La lirica si svolge, si potrebbe dire, come un climax continuo, dall’inizio alla fine; un climax che corre su due linee parallele in verticale: quella dell’ascesa e quella della luce; l’« ascesa » inizia al «chiarore lunare», si snoda «per i prati / vestiti di seta bianca», fra gli «alberi, / draghi neri/ con occhi di luce», per giungere là dove «una stella s’invola», dove «al primo rossore» del sole che sorge, « le voci delle campane», fatte «nuove» dal nuovo giorno, «salgono/ gregge in cerca del sole».
L’ascensione è, dunque, un cammino dalla notte al giorno, dal buio alla luce, seguendo il movimento degli astri, e non solo di quelli minori, le stelle, ma anche di quelli che presiedono alla vita dell’uomo: la luna, il sole; intanto, un piccolo arco di vita dell’uomo e dell’universo è stato disegnato e vissuto, trascorso, come l’alba: «muti sull’orma spenta/ ricadono i battenti celesti/ dell’alba». E forse quel «muti» vuol dire tutto lo stupore e tutto lo sgomento che assale l’anima di fronte all’«orma spenta» delle stelle, al vuoto lasciato dal loro morire, su cui i «battenti celesti dell’alba» si richiudono con stupita desolazione, tradita, oltre che dall’aggettivo, anche dal verbo «ricadono»: è un sentimento di angoscia o di smarrimento di fronte all’intuizione dell’infinito? E’ una finestra aperta sulla morte? E’ l’affiorare alla coscienza di un muro che si alza, di un cancello che si chiude, proprio là dove più luminosa s’era affacciata la speranza? E’ un momento, un istante solo, ma basta a trafiggere l’incantesimo della visione, a spezzare l’idillio.
Ma ecco l’aurora e la vita riprende dolcemente il suo ritmo: le «sigillate pupille » sul volto «della montagna dormente», che ha «le più fini erbe» per capelli e «trecce di ghiaia», alla carezza del primo sole che incendia la vetta, sono percorse da un «tremito» che le scioglie dalle nebbie – sonno della notte e le fa riaprire a nuova vita, mentre le «guance» dei monti lontani si animano e «si volgono/ nel risveglio, al primo rossore».
Si assiste, nel cammino di ascensione, a una metamorfosi del paesaggio, a un trasmutare di immagini che diviene genesi, nuova creazione: la Grigna e i monti circostanti assumono sembianze umane e, di queste, le parti più rappresentative – volto, guance, pupille, capelli – con un gioco di analogie, tanto più sorprendenti, quanto più sfuggono a una prima lettura, per la forza quasi naturale con cui trasfigurano la realtà di pietra delle montagne in realtà di carne, la loro realtà statica in realtà dinamica; sicché si ha l’impressione che, mano a mano che i passi dello scalatore conquistano l’alto, tutto il paesaggio si muova con lui, come per una sorta di lievitazione, nella stessa direzione.
E l’ascesa continua, insieme alle «voci delle campane», che, ormai non più cose ma anch’esse animate – gregge –, « salgono in cerca del sole», ritmando, con il loro procedere «a groppa a groppa», il passo dello scalatore, silenzioso sulla neve, e i battiti del suo cuore che “s’illumina d’immenso”
Onorina Dino