Stelle cadenti
Leggendo questa lirica, si potrebbe subito dire che essa è animata da quel “ vento/ limpido della bellezza” di cui Antonia parla nella lirica intitolata, appunto, Bellezza. Se c’era un fascino che Antonia avvertiva immediatamente, e fino quasi a subirlo inconsapevolmente, era proprio il fascino della bellezza: che poi essa fosse incarnata da cose grandi o piccole, da opere d’arte, da brani musicali, da volti di bimbi o di vecchi, da grandi paesaggi o da piccoli particolari, non importa , anzi, importa molto, perché proprio dal fascino delle cose piccole, invisibili o insignificanti agli occhi comuni, si misura il senso e il peso che la bellezza aveva per la poetessa.
Qui, soggetto e oggetto di contemplazione della bellezza è ancora una volta il cielo, e il cielo stellato, in una notte d’estate, a Breil presumibilmente, anche se la poesia reca la data del 21 ottobre. Spesso, infatti, accadeva ad Antonia di non riuscire a tradurre in versi le proprie esperienze se non dopo qualche tempo, quando ormai esse si erano come sostanziate e al tempo stesso illimpidite nel riposo della coscienza, che così fortemente le aveva avvertite e vissute. Scrive infatti all’amica Elvira, con la quale aveva trascorso un periodo di vacanza su quelle montagne, l’8 agosto dello stesso anno: “Avrei voluto poterti mandare qualche cosa di mio, per te, ma è strano: in questi giorni non mi nascono nell’anima che note e accordi di temi lontanissimi, smarrirti. E delle cose di Breil, ancora niente. Eppure…“un jour viendra”.
E l’ottobre ecco che si popola di poesie nate lì, sotto quel cielo.
È un cielo di cui non si parla, ma c’è, ed è tutto in fermento, animato da un succedersi di immagini istoriate come su un arazzo, che, a seconda del punto di osservazione in cui ci si trova, offre un particolare che da un’altra posizione non si vede, e si cerca il punto preciso da cui si possa goderne la visione in pienezza. Così, in questa poesia, ci è dato di afferrare con lo sguardo, ma più con lo sguardo dell’anima, l’intensa vita che si dipana nel cielo, sopra il capo di Antonia; e sopra il nostro.
Vita astrale, certamente, ma di astri che diventano stormi luminosi di rondini in fuga improvvisa per la vastità senza confini, come per uno scoppio impetuoso di gioia, mentre la luna, quasi immobile, contemplando, pare chiedersi dove mai corrano con tanta fretta quelle piccole sorelle, se il tempo lassù è senza tempo; e, anche se il sole, tornando, con la sua luce incomparabile le renderà invisibili, anch’esse torneranno immancabilmente, eternamente, a splendere. E il vento, nella sua veste birichina di bambino, immenso, perché ovunque si può intrufolare ad inventare giochi celesti, avrà sempre le sue luci da scagliare lontano, in gara con se stesso, con le sue invisibili braccia. E sorgeranno, dai suoi tiri bizzarri e felici, “zampilli di aeree fontane”, fuochi d’artificio non mossi da mani d’uomo, le cui scintille sono piume leggere o “fiori di mandorlo”, che la notte sparge a infiorare “celesti sponsali”, a lenire, con le loro danze e i loro canti, la “pena degli uomini”. La bellezza diviene, dunque, salvezza: i “ lunghi sorsi / di cielo e stelle – bevuti/ sulle montagne” (Bellezza), da Antonia, si sono trasfigurati in bellezza di parole e di immagini.
Onorina Dino