IL "BELLISSIMO" ALTARE GIUDICI NELLA LETTERATURA TURISTICA
Sull’ultimo numero de “Il GRINZONE” abbiamo ricostruito la storia dell’antica mensa d’altare del S. Eusebio consacrata dal vescovo di Bobbio nel lontano 5 luglio 1628, quando in Valsassina era in corso una grave, tremenda carestia che di lì a due anni, a seguito della calata dei lanzi, sarebbe poi sfociata nella celebre peste di manzoniana memoria.
Su questo numero ci occuperemo invece del maestoso ed elegante altare maggiore in marmo che domina la sobria e ben equilibrata area presbiteriale della parrocchiale con una nota anche sulla sua “fortuna” nella letteratura turistica. L’opera in esame è una struttura in marmi rari e preziosi, dal tipico gusto settecentesco, con corpo a sviluppo orizzontale campito da specchi e baldacchino centrale a quattro colonne dai capitelli dorati; il culmine è un semicupolino slanciato con volute laterali e croce sommitale di fattura moderna; sovrapposti alle volute della cimasa due putti con pastorale e croce che reggono una mitria, attributi iconografici del Santo Vescovo Eusebio. Nel tempietto o riserva eucaristica è posta una statua a tutto tondo in terracotta modellata raffigurante il Redentore e ai lati due Angeli in adorazione. Il tabernacolo, la cui porticina in metallo sbalzato è moderna, è incorniciato da volute in marmo nero. Piccole teste d’angelo completano infine gli ornamenti dell’altare che nel suo insieme si presenta come un’opera di buon gusto, composta ed elegante, sobria e solenne ad un tempo, e priva di sovraccarico decorativo.
Eretto in sostituzione di un altare più modesto e sicuramente di legno, questo altare è una chiara testimonianza dell’evoluzione in atto, nella lunga stagione del cardinale Giuseppe Pozzobonelli (1743-1783), dall’altare tardobarocco a tempietto fino alla sua trasformazione di moderata geometrizzazione classicista. Lo stacco si consuma verso il 1760, a metà dell’episcopato e non a caso dopo la prima ondata di riforme teresiane, quando cioè l’ancora credibile tardobarocco di altari come quelli delle parrocchiali di Viganò (1747), Sormano (1749) e Bellinzago (1756), viene normalizzato nei nuovi, austeri esemplari nelle parrocchiali di Bovisio (1760), Palazzolo Milanese (1763), Valbrona (1765), per poi giungere alla definitiva rilettura, paradossalmente poco neoclassica e molto classicista, nella plebana di Cantù (1783). In questa sequenza, che giunge fino alla vigilia della svolta neoclassica subìta più che guidata dal nuovo arcivescovo Filippo Visconti (1783-1801) durante gli esordi napoleonici, l’esemplare di Pasturo rappresenta un felice punto di equilibrio e ben risponde ai cardini dell’estetica del Pozzobonelli.
A progettarlo fu nel 1777 Carlo Maria Giudici che realizzò pure le tre statue, quella del Redentore e quelle dei due Angeli in adorazione, nonché i cherubini. Nato a Viggiù (VA) nel 1723 e morto a Milano nel 1804, il Giudici “fu pittore, scultore, architetto, capo statuario del Duomo, ristoratore delle arti belle in Lombardia” (Orlandi), nonché maestro di Andrea Appiani. Considerevole fu la sua produzione scultorea e pittorica: sue opere si trovano in Duomo a Milano, ad Arcisate, a Brenno Useria (VA) e a Viggiù (VA).
Nella ricerca storica si cercano puntigliosamente riscontri o conferme nei documenti: ciò però non è sempre possibile, come nel caso dell’altare Giudici. Nei documenti dell’archivio parrocchiale di Pasturo non risultano infatti voci contabili che comprendano riferimenti a questo maestoso altare in marmo a parte una nota su un libro mastro settecentesco del S. Eusebio che riporta una cifra di lire 800 “per la fabrica dell’altare nell’anno 1777” senza alcun’altra specificazione. All’assenza di ulteriore documentazione supplisce l’Orlandi che nelle sue Memorie di Pasturo e di Bajedo in Valsassina riferisce di avere scoperto “altrove un foglietto con il titolo Spesa fatta per l’altare di marmo a Pasturo”. Del foglietto manca l’angolo inferiore destro: da ciò che rimane la spesa dell’altare ammonta a lire 5730,17.
Passiamo ora a considerare la fortuna critica di questo altare che inizia con la voce “Giudici Carlo Maria” compilata dal pasturese nonché ex sacerdote Stefano Ticozzi (1762-1836) nella sua opera più considerata, e forse di maggiore successo editoriale, il Dizionario degli architetti, scultori, pittori, intagliatori in rame ed in pietra, coniatori di medaglie, musaicisti, niellatori, intarsiatori d’ogni età e d’ogni nazione, pubblicato in quattro volumi dal 1830 al 1833. Nel secondo volume leggiamo che “altre statue fece [il Giudici] per signorili case di Milano e per chiese in diversi luoghi, tra le quali un Redentore ed alcuni Angioli che ornano il bellissimo altare di marmo della parrocchiale di Pasturo, architettato e diretto da lui.” (p. 192).
A questa voce attingeranno acriticamente in epoca successiva tutti gli studiosi che si occuperanno di questo altare infarcendola di grossolani errori come Filippo De Boni che, nella sua Biografia degli artisti (1840), parla addirittura della “cattedrale di Pasturo”! (p. 434).
Nella letteratura turistica la prima menzione del “bellissimo” altare Giudici la troviamo nella seconda edizione di Una corsa per la Valsassina di Giuseppe Arrigoni pubblicata nel 1854, prima vera guida turistica dedicata alla Valle. Riportiamo integralmente il passo riguardante Pasturo: “Alla sinistra della Pioverna giace il popoloso Pasturo, supposta patria di Agnese nei Promessi Sposi e patria reale di Stefano Ticozzi, uomo che alla vastità delle cognizioni ed al finissimo gusto nelle arti belle univa molte doti del cuore. E’ un villaggio che per l’allegra situazione invita a ricrearvisi. Nella chiesa parrocchiale il bellissimo altare maggiore, la statua del Redentore e gli Angioli che l’adornano sono opere di Carlo Maria Giudici. I vasti pascoli alpini provveduti da oltre 400 cascine o baite, come qui le chiamano, somministrano abbondante foraggio e grosse bergamine, da cui si ricavano rinomati stracchini. Nelle vicinanze trovansi arene di cristalli, buone argille talvolta a pire, miniere di ferro spatico ed ocracco, di piombo e d’argento ora abbandonate” (p. 14). Quattro anni dopo, nel 1858, Cesare Cantù nella sua Grande illustrazione del Lombardo-Veneto, scriveva: “Nella parrocchiale di Pasturo le statue dell’altar maggiore onorano Carlo Maria Giudici” (p. 987). E ancora riportano la stessa e identica notizia Giuseppe Fumagalli (Guida di Lecco sue valli e suoi laghi, 1881, p. 165), Giansevero Uberti (Guida generale ai grandi laghi subalpini di Como, di Lugano, Maggiore, d’Orta, d’Iseo e di Garda con gite ai laghi minori, alla Valsassina, al Canton Ticino, alla Brianza, al Varesotto e indicazioni di escursioni alpine, 1890, p. 43) ed Edmondo Brusoni (Guida itinerario-alpina-descrittiva di Lecco, 1903, p. 60). Anche in una guida di carattere escursionistico, come la Guida Illustrata della Valsassina di Fermo Magni, volta a celebrare più le bellezze naturalistiche che artistiche della valle, viene menzionato l’altare Giudici e giudicato una vera e propria attrattiva turistica: “Lodatissimo è l’altare maggiore colla statua del Redentore e cogli angeli che l’adornano, opere di Carlo Maria Giudici” (1904, p. 73); “Lodato è l’Altare Maggiore colla statua del Redentore e con gli Angeli che l’adornano, opere di Carlo Maria Giudici” (1926, p. 103). Gli farà eco Ariberto Villani nella Guida illustrata turistica descrittiva di Lecco e paesi finitimi della Brianza, del Pian d’Erba, dell'Alto Lario, della Vallassina, della Valsassina, della Valtellina fino al Bitto, della Valle S. Martino fino al Brembo, 1928: “Elegante l’altare maggiore; il “Redentore” e gli Angioli che lo completano sono dovuti a Carlo Maria Giudici” (p. 206).
Anche il Crippa, nel suo Uomini e paesi della verde Valsassina, 1976, dopo aver ricordato che la nuova mensa rivolta al popolo (ditta Carlo Comana, 1970) fu consacrata il 22 novembre 1972 da mons. Ferdinando Maggioni, scrive: “Sul vecchio altare, tutt’ora conservato, troneggia la statua del Redentore con due angeli, opera di Carlo Maria Giudici” (p. 123).
L’altare è altresì presente nelle guide storico-artistiche come nelle Guide del Territorio di Lecco a cura di Simonetta Coppa (Lario Orientale, 1993, p. 120), in quelle editate dal Touring Club Italiano e in studi e articoli di storia valsassinese (Marchente-Colturani 1986 e Borghi 1999).
Da questa carrellata, inevitabilmente lacunosa, di guide turistiche che in qualche modo si sono occupate dell’altare Giudici risulta evidente la rilevanza artistica di quest’opera a cui magari non facciamo o non abbiamo mai fatto caso, per abitudine e assuefazione. Speriamo che dopo queste note riusciamo a guardare con occhi nuovi i segni di una storia che è la nostra anche se fatta di aspetti minori, ma non per questo meno intimi e meno preziosi.
Marco Sampietro
IL GRINZONE n.41