LA CAPPELLA DI SAN FRANCESCO SAVERIO
NELLA CHIESA DELLA MADONNA DELLA CINTURA


La cappella laterale destra della chiesa della Madonna della Cintura è dedicata, come è noto, a San Francesco Saverio (1506-1552), uno dei primi compagni di Sant’Ignazio di Loyola (1491-1556), il fondatore della Compagnia di Gesù, un nuovo Ordine che fu, fin dai suoi esordi, in prima linea sia nelle missioni al popolo, sia nell’istituzione e gestione dei collegi per la formazione dei giovani e dei seminari per la preparazione del clero secolare. Il protagonista indiscusso della missione in Oriente, in particolare in Asia, fu proprio il titolare di questa cappella, San Francesco Saverio, che vi giunse nel 1542, si diresse poi a Malacca, quindi fino alle isole Molucche, raggiungendo infine il Giappone. Grazie al suo instancabile ardore di diffondere il Vangelo in Oriente che lo porterà a consumare la sua vita in meno di cinquant’anni, il gesuita missionario convertì in massa al cristianesimo le popolazioni asiatiche impartendo loro il battesimo (“In un mese ho battezzato più di diecimila persone”, scriveva ai confratelli di Roma).

Della cappella di Pasturo, non ancora citata nella relazione della Visita pastorale Visconti (1685), fanno menzione per la prima volta i documenti delle Visite pastorali Odescalchi (1722) e Pozzobonelli (1746) che inducono quindi a datare tra la fine del Seicento e il primo quarto del Settecento la costruzione di questa cappella. Restano misteriosi il promotore dell’iniziativa e il perché della scelta di dedicare, a Pasturo, una cappella a questo santo spagnolo, il cui culto in Valsassina e nei territori limitrofi risulta attestato solo nella chiesa di San Lorenzo a Cortabbio dove il missionario gesuita figura nella pala della cappella laterale sinistra dedicata a San Domenico, a Margno nella chiesa di San Bartolomeo in un dipinto primosettecentesco che lo raffigura in abito da pellegrino e missionario, con il tipico bastone nella mano e un Crocifisso nell’altra, e a Mandello del Lario nella chiesa di San Giorgio dove è conservata un’altra tela con la Morte di San Francesco Saverio (seconda metà del XVII secolo).

Mirabile esempio di arte tardobarocca, la cappella dedicata a San Francesco Saverio è delimitata da una balaustrata in marmo del primo Settecento, come pure l’altare ornato da un paliotto dipinto a tempera raffigurante nel medaglione centrale San Giacomo apostolo, al quale era anticamente dedicato l’oratorio, prima di essere intitolato alla Madonna della Cintura.

Degna senz’altro di nota è la decorazione pittorica della cappella, caratterizzata da pregevoli quadrature di tipo architettonico: due lisce colonne dal capitello corinzio dorato, simulanti un marmo rosso e grigio, e due pilastri reggono il timpano spezzato sormontato ai lati da due grandi putti.

Sulla volta a botte è affrescata al centro l’immagine di San Francesco Saverio in gloria tra angeli e nei tondi a lato si scorgono due medaglioni raffiguranti le allegorie di due Virtù Teologali: la Fede che sorregge il calice e la croce a destra e la Speranza che sorregge l’àncora a sinistra. Sulla parete di fondo, a destra dell’altare, in un simpatico trompe-l’oeil è raffigurato un chierico in procinto di servir messa.

Imponente, ma lineare nella sua composizione, l’ancona racchiude la grande pala sei-settecentesca su tela raffigurante San Francesco Saverio tra Santi. L’impianto iconografico segue lo schema tradizionale: al centro il titolare dell’altare, cofondatore dell’ordine gesuita, e ai lati due santi, tutti e tre sorretti dalle nuvole. Sullo sfondo, nel cielo, sbucano due cherubini a destra e altri due a sinistra. San Francesco Saverio è raffigurato con cotta e stola (l’abito liturgico indossato per amministrare il battesimo), con le braccia aperte e lo sguardo rivolto verso l’alto; nella mano sinistra stringe il crocifisso, simbolo della sua predicazione e della sua devozione a Cristo, mentre volge, con gesto perentorio, l’indice della mano destra.

Ai suoi piedi stanno altri due santi: a sinistra si riconosce chiaramente Sant’Ignazio di Loyola, in abito talare nero, la fronte calva e la barba mal rasata; un angelo, avvolto in panneggi dalle tinte vivaci, regge il libro della Regola con il motto “AD / MAIOREM // DEI / GLORI(A)M” (= a maggior gloria di Dio). Nonostante il forte accostamento al duetto gesuitico e la presenza del giglio, il santo a destra non va identificato con San Luigi Gonzaga (1568-1591), come è stato fatto erroneamente finora. Il volto è assolutamente differente dalla iconografia tradizionale del novizio gesuita: più macilento ed emaciato San Luigi, aitante e quasi efebico il santo della tela di Pasturo. Anche la “tenuta” non è gesuitica: l’abito infatti che indossa di colore marrone con il mantello bianco è nettamente in contrasto con quello degli altri due e coincide con l’abito carmelitano. Il santo raffigurato appartiene dunque all’ordine carmelitano e potrebbe essere identificato con Sant’Alberto di Trapani (+ a Messina nel 1307), come confermerebbe anche l’angelo che tiene in mano il giglio, che è la caratteristica abituale di questo santo, venerato in particolare per la sua purezza. Ad ogni modo, si tratta, beninteso, di un’ipotesi in quanto il giglio è un attributo piuttosto generico. Certo, Sant’Alberto è un santo tanto distante nel tempo e nello spazio dagli altri due; non è altrimenti attestata la sua venerazione locale in Valsassina; non pare neanche legato al culto della Madonna della Cintura. Un motivo comunque ci sarà anche se ora ci sfugge … alle volte bastava che il donatore si chiamasse Alberto o che il donatore fosse siciliano dove la devozione per questo santo era ed è ancora viva. Non sarà fuori luogo qui ricordare che nell’arco di tempo che va dal Cinquecento fino ai primi anni dell’Ottocento Pasturo fu interessato da una vasta corrente migratoria che portò i suoi abitanti al Sud, soprattutto in Sicilia, come sta a dimostrare un dono degli emigranti pasturesi in Palermo. Si tratta di un turibolo d’argento, di rito romano, con navicella, di stile gotico, con l’iscrizione “HOC TVRIBVLVM / ET NAVETAM FECIT / COMVNIS PAROCHIE / PASTVRIO HABITA(n)S IN / RENGO A SCICILIE 1577”, oggi conservato nel Tesoro della parrocchia.

Questo è quanto si è riusciti a ricostruire su questa cappella e sulla sua pala di cui non si sa “né data, né firma, né alcun’altra notizia”, come ebbe a scrivere Andrea Orlandi, salvo nuove scoperte archivistiche.

Se è vero che la grande storia cresce sui campi della piccola storia, è altrettanto vero che la piccola storia si nutre di fili d’erba, forse poco significativi presi uno a uno, ma insieme creano senz’altro buoni e ubertosi pascoli.

                                                                                                        Marco Sampietro

IL GRINZONE n.41