LA COLLANA DI CORALLO: UN AMULETO PER DIFENDERE I NEONATI
Oltre la Parrocchiale, in Via per Bajedo al numero civico 89, campeggia sul portale d’ingresso all’antica casa dei Bergamini della Chiesa (detta localmente “la ca’ di Cipèta”), un affresco cinquecentesco di ascendenza tardoluinesca raffigurante al centro una Madonna che trattiene con la destra il piccolo Gesù, seduto sulle sue ginocchia, e ai lati i due santi tradizionalmente invocati contro le epidemie di peste: a sinistra S. Rocco, raffigurato in abiti da pellegrino con la consueta piaga sulla gamba, e a destra S. Sebastiano, legato ad un albero e colpito da frecce. Una doppia cornice a motivi floreali in tricromia (rosso, giallo, verde) racchiude il tutto. Sui fianchi stanno due angeli musicanti: quello di sinistra, con abito blu scuro e ali rosse, suona una viola da gamba, quello di destra, completamente ignudo, pizzica uno strumento musicale che dal ricciolo che lo caratterizza sembrerebbe una piccola arpa. Sopra le teste dei due angeli stanno a mo’ di fumetto due cartigli con iscrizione che, nonostante la difficoltà di lettura date le precarie condizioni in cui versa l’affresco, permettono comunque di stabilire con sufficiente certezza il nome dell’autore e del committente nonché la probabile data di esecuzione. A realizzarlo fu Francesco Cironi, un “depentore” (pittore), oriundo di S. Mamete di Valsolda, che si stabilì a Pasturo intorno al 1583, dove si sposò con Pedrina Ticozzi del ramo Notari, e che per la chiesa di S. Calimero nel 1597 dipinse un’immagine di S. Francesco di Paola voluta l’anno prima da Battista Merlo. A far dipingere l’affresco con la Madonna tra i SS. Rocco e Sebastiano fu nel 1576 o, più probabilmente, nel 1587 Giovanni Maria, appartenente alla storica famiglia locale dei Bergamini della Chiesa.
Ciò che dal punto di vista iconografico colpisce di questo affresco di casa Bergamini è la presentazione del Bambino Gesù: ignudo con al collo una collana di corallo.
Non si tratta dell’unico esempio valsassinese. Altre immagini votive, infatti, presentano il Bambino Gesù con qualche pendaglio o con dei monili di corallo, immagini che voglio passare qui di seguito in rapida rassegna seguendo, per quanto possibile, un ordine cronologico.
Incominciamo da Barcone: nella chiesa di S. Maria delle Grazie, all’inizio della navata a sinistra c’è un affresco (datato agli anni tra il XV ed il XVI secolo) della Vergine col Bambino attorno al quale nel 1634 fu realizzata una cornice barocca in stucco: la Madonna, rappresentata con gli attributi iconografici dell’Immacolata, tiene tra le braccia il Bambino Gesù che, coperto da una fascia semitrasparente, ha al collo una caratteristica collanina a doppia fila di palline di corallo con pendente rametto biforcuto. A Vendrogno, in Via Roma, in un cortile interno, è possibile osservare una “Madonna del latte” (fine XV secolo): il Bambino Gesù, ignudo, porta al collo una graziosa collanina, che ha come pendaglio un rametto di corallo. Molto interessante è poi l’affresco di una Madonna col Bambino che si può ammirare sulla parete di fondo del presbiterio dell’oratorio di S. Rocco a Narro: il Bambino è ornato da una collana con pendaglio di corallo e da braccialetti di corallo su entrambi i polsi; sullo sfondo è incisa la data 1585 e, considerate le affinità stilistiche con l’affresco cinquecentesco di Pasturo, è stato proposto il nome del Cironi. A Cortenova, nell’oratorio di S. Fermo, la Madonna dell’elaborata ancona lignea tardocinquecentesca tiene in braccio il Bambino Gesù con il corallo-amuleto al collo, come pure un mascherone-cherubino dell’ancona. E per finire, a Mornìco, frazione di Vendrogno, in Via Narro al numero civico 34, sulla facciata di una casa è posto un affresco (XVII secolo) raffigurante la Madonna del Rosario tra i SS. Pietro e Carlo: anche in questo caso, il Bambino Gesù è ornato da una collana con pendaglio di corallo e da braccialetti di corallo su entrambi i polsi.
Nello scorrere le immagini sin qui proposte, ci siamo ripetutamente imbattuti nella collana di corallo, una costante iconografica di carattere simbolico che necessita ora di un approfondimento.
Si tratta innanzitutto di una consuetudine, riscontrabile nelle pitture cinquecentesche, ripresa dalla tradizione popolare, fatta propria, anche dalla cultura e pittura colta. Cito, a titolo di esempio, Piero della Francesca nella Sacra Conversazione di Brera, Raffaello nella Sacra Famiglia con l’agnello del Prado, il Mantegna nella Madonna della Vittoria al Louvre, il Foppa nella Madonna del libro. Tali collane o braccialetti non hanno soltanto un valore ornamentale, ma sono appesi sulla persona del Bambino a titolo protettivo. Sono degli amuleti, cioè oggetti ai quali veniva riconosciuta una potenza magica di tipo appunto protettivo, propiziatorio, in particolare la capacità di “stornare il malocchio”. Mentre il corallo bianco rientra tra le cosiddette “pietre lattaie” e poteva essere portato dalle madri per difendere il latte materno da fatture di donne rivali, il corallo ha la specifica capacità di difendere il neonato da ogni male. Era infatti consuetudine far indossare ai neonati dei pendenti formati da rametti di corallo e somministrare come medicinale la polvere da essi ricavata per la prevenzione e la cura delle crisi epilettiche, degli incubi e dei dolori della dentizione. Illuminante è, a questo proposito, la spiegazione che ne fornisce Chiara Frugoni nel suo recente libro sull’iconografia medievale dal titolo “La voce delle immagini”: “Nel Medioevo il rosso rametto era ritenuto utilissimo, oltre che per difendersi dai temporali e dai fulmini, per fugare tutte le malattie che così pericolosamente minavano la salute infantile. Ne era sicuro il predicatore domenicano Giordano da Pisa quando, all’inizio del Trecento, commentava in una predica la risurrezione della fanciulla operata da Cristo con il tocco della mano. E però vedete delle pietre preziose, acciocch’elle aoperino vertude, sì le porta l’uomo sopra; perocchè non aoperebbono se non toccando. Vedete altresì che si mette l’anello in dito altri; e a’ fanciulli si pongono i coralli al collo acciocché aoperino in loro l’altre vertude; perocché sanza alcun toccamento non farebbe pro”.
Marco Sampietro
IL GRINZONE n.34