Spigolature archivistiche

VITA QUOTIDIANA E RELIGIOSA NELLA PASTURO DI META' SEICENTO ATTRAVERSO LE POSTILLE DI PRETE MARAZZI

 

Già sulle pagine di questo periodico abbiamo avuto modo di parlare di prete Giobbe Marazzi, parroco di Pasturo dal 1640 al 1666, mettendo in evidenza il suo alto spessore culturale: uomo amante delle lettere e dell’arte (vd. “IL GRINZONE”, XV [54 – marzo 2016], pp. 12-14).
Vogliamo ora soffermarci sul suo zelo pastorale che emerge in modo sia pure bonario e spontaneo dalle postille vergate di suo pugno sul registro dei morti della parrocchia che va dal 1640 al 1666. A ciò è da aggiungersi la testimonianza di prete Gerolamo Marchioni che in un opuscolo stampato più di cento anni dopo la morte del Marazzi e intitolato “Memoria sull’erezione della cappellania del SS. Rosario di Pasturo”, definisce prete Marazzi “benigno e caritatevole”, per contrapporlo al parroco Manzoni “superbo e intrattabile”.
Ma veniamo ora alle postille del registro che ci offrono spaccati di vita quotidiana e di attenzione pastorale nella Pasturo di metà Seicento.
Prete Marazzi non si limita, innanzitutto, a registrare le generalità del defunto e il suo status sociale e religioso (se confessato e comunicato, se ha ricevuto o meno il viatico) ma aggiunge spesso e volentieri informazioni relative al decesso e a tre annotazioni che denotano la sua premurosa cura d’anime.

 



Preoccupato com’è per la salvezza dell’anima dei suoi parrocchiani, prete Marazzi ci tiene a precisare ogni volta se il morituro ha ricevuto o meno il viatico ricorrendo all’espressione latina “habuit omnia sacramenta” (ricevette tutti i sacramenti). Ma ciò non è sempre stato possibile per i motivi più disparati. Ecco qualche esempio. Il 17 ottobre 1641 muore Domenica moglie di Giovanni Ticozzelli “quale ho confessato per forza e dato l’olio santo ma non si è voluta comunicare perché haveva paura di morire”. Il 4 maggio 1642 muore Eusebio Marchioni “il quale ha hauto l’olio santo dicendo che si sarebbe poi confessato” ma non si sa poi se l’abbia fatto. Il 19 febbraio 1645 muore “Helisabetta moglie di Ambrosio Bergamino confessata e comunicata in Chiesa dodeci giorni fà e poi l’hanno lasciata morir senza avisar altro”. Il 19 dicembre 1649 passa a miglior vita Caterina moglie di Domenico Prandi “confessata ma non si è potuta comunicar per haver un cattarro che non poteva ingiotire, l’ho confessata io otto giorni sono in chiesa ma non si è potuta comunicar, e poi alli 18 la confessò il Signor curato di Barsio in mia assenza essendo andato a confessar le Reverende Monache di Castello”. Nell’aprile 1650 prete Marazzi è a Milano al Concilio Provinciale e non può quindi celebrare l’ufficio da morto dei suoi parrocchiani morti in quel torno di tempo. A fine anno, il 25 dicembre, muore Ambrogio figlio di Calimero Voltolino: era un soldato, prete Marazzi lo confessò a letto ma non lo comunicò, cioè non gli fece fare la comunione “impedito dalla tosse ma dopo la messa di mezza note li corsi, li domandai se voleva reconciliarsi, disse di no, e mentre mandai a pigliar l’olio santo alla mia presenza il sudetto spirò”. E per finire, il 28 febbraio 1654 muore Antonio Orlandi: “lo confessai e poi alle cinque hore di notte li diedi l’olio santo essendo già fuori de sentimenti e così non l’ho potuto comunicare”.
A volte il mancato ricevimento del viatico era dovuto a forze maggiori, come, per esempio, a morti improvvise. Nel 1644 muore Pietro Pedrolo “di morte subitanea”, cioè improvvisa, forse di infarto. Il 20 aprile 1652 vengono celebrate le esequie di Dionisio Dioniso “morto di morte subitanea al fiumicello di Baiedo andando a Pra S. Pietro. Huomo da bene”. Il 24 maggio 1652 muore Simone di Simone Ticozzi “d’doi anni precipitato d’una scala”.
Prete Marazzi registra inoltre anche casi di morte violenta o di parrocchiani scomparsi e ritrovati morti dopo mesi, se non addirittura anni. Il 17 dicembre 1651 muore Francesco Cimpanelli “al quale essendoli stato tirato un archibugiata sopra i monti d’Acquate stete un pezzo al Hospitale d’Acquate dopo fu portato nella Chiesa di S. Jacomo dove subito io lo confessai, feci comunicare dal cappellano e stete in detta chiesa da doi mesi fino alla fine essendo esso sempre stato alieno da sacramenti, essendo più di tre mesi che non ero stato fori di casa di notte Iddio mi mandò al Cantello a confessar le Reverende Monache acciò io non vi fosse mentre morisse e così morse [morì] senza sacramenti”. Il 19 marzo 1649 viene celebrato il funerale di Battista figlio di Francesco Pomalli, “il quale è mancato sin del mese di luglio 1648 ne si è trovato morto se non nel mese di marzo 1649 sopra Barsio in quei sassi”. Il 13 febbraio 1650 fu “trovato morto nel monte di Pasturo da suo figliolo” Francesco Merlo. E ancora. Il 28 giugno 1654 Giovanni Marchioni “quale essendo mezzo amalato andò sopra il monte detto Monteno a lavorare, li venne un accidente e poi disse che li passava ma da lì a un pochetto cascò in terra morto senza pur poter dir parola”. Curioso è il caso di un membro della nobile famiglia gravedonese dei Canova detti Magatti morto il 12 maggio 1652 dopo aver trascorso una vita da eremita sui monti di Pasturo dando qualche segno di squilibrio mentale: “Signor Francesco Canova detto Magatto da Gravedona trovato morto alli 8 detto sopra il Monte di Pasturo quale io domenica passata lo viddi in chiesa divotamente con l’offitio in mano quale lo recitava et come intesi era fuori di sé che pattiva nel cervello ma era tutta matteria di devotione, si confessava spesso, voleva andar frate, faceva elemosine come poi mi fu scritto da Gravedona e si è sepelito con num. 11 di commissione de suoi Signori parenti”.
Prete Marazzi annota anche lo stato miserevole in cui versava la sua comunità parrocchiale quando non solo la nascita che rappresentava una bocca in più da sfamare ma anche la morte potevano diventare degli ostacoli economici insormontabili. È il caso di Angela, moglie del fu Battista Pomalli che, morta il 21 aprile 1642, fu “sepelita per amor di Dio et misso anco la cera per niente per esser suo figliolo tanto povero”.
Dalle postille di prete Marazzi emerge anche un altro dato importante per gli studi demografici: l’alto tasso di mortalità infantile e di morte per parto. Qualche esempio: Giovanna Caterina figlia di Clada Tedesco fraino (cioè “minatore”) di 3 giorni (22 agosto 1645); Domenico Bergamini di 15 giorni (12 marzo 1652); Antonia di Francesco Costadoni di 9 giorni (11 aprile 1652); Giovanna Lucia Orlandi di mesi 3 (24 agosto 1652); Giovanna Cimpanelli d’un anno (31 agosto 1652); Biagio figlio di mastro Bartolomeo Colombo di 15 giorni (1 settembre 1652).
A morire non erano solo i bambini appena nati ma anche le loro mamme nel darli alla luce: Giovanna di Rocco morta di parto il 13 ottobre 1663; Angela Merlo moglie di Ambrogio Costadoni morta il 24 agosto 1665; Caterina Canova moglie di mastro Cristoforo Colombo morta l’11 febbraio 1666.
Prete Marazzi infine registra anche i decessi di alcuni suoi parrocchiani che si trovavano a lavorare fuori paese, ad esempio a Venezia e a Roma, a dimostrazione della vasta corrente migratoria che interessò il paese ai piedi della Grigna dal Cinquecento all’Ottocento. A Venezia (“Venetia”) morirono mastro Pietro Pedrolo (16 settembre 1649), Simone Merlo figlio di Raffaele (13 maggio 1650), i fratelli Antonio e Carlo Arrigoni (4 settembre 1652), Ambrogio Colombo (18 febbraio 1652), “Gioseffo Arrigoni detto Ciapeto (o ciapero) morto in Venetia alli 21 luglio; si è cantata la messa et sonato” (agosto 1663). A Roma morirono il 13 ottobre 1649 Calimero Anesetti “essendo stato amazato alla storta” (la “Storta” è una zona di Roma nell’Agro Romano a nord-ovest della capitale, una antica stazione di posta lungo il tragitto della Via Francigena) e l’11 giugno 1651 Battista Bastianelli.

Leggendo queste postille si tocca con mano lo strato più profondo di una storia fatta di quotidiano. Un quotidiano che nasconde l’azione di Dio, misteriosamente mischiata a quella degli uomini, significata e donata in quei sacramenti frettolosamente annotati a margine.

 

                                                                                         Marco Sampietro


IL GRINZONE n. 56