UBERTO DELL'ORTO A PASTURO

Il suo Giorno di festa è una istantanea del 1885

del borgo ai piedi della Grigna 

 


La mostra allestita nelle prestigiose sale di Villa Monastero di Varenna nell’estate del 2016 ha permesso di riscoprire la “montagna” del pittore milanese Uberto Dell’Orto (1848-1895)
1, uno di quei naturalisti lombardi del secondo Ottocento che, a partire da Mosè Bianchi, abbandonarono le chiuse aule accademiche e uscirono all’aperto per studiare direttamente la natura.

Due le opere di questo artista esposte in questo percorso pittorico tra Otto e Novecento dedicato alla “montagna dipinta” nelle collezioni private lombarde: Paesaggio campestre, ascrivibile al 1890 ca., ambientato a Madesimo con il Subretta sullo sfondo, e Giorno di festa (Pasquetta) del 1885 ca., oggetto del presente articolo.

La tela, esposta nel 1885 e di proprietà nel 1921 della signora Luisa Maroni Ponti, ora di Art Studio Pedrazzini, raffigura un gruppo di contadini che in un giorno di festa, come recita il titolo, tolti gli abiti feriali, sostano, in una oziosa inattività, su un prato: a sinistra si notano tre donne accovacciate e una in piedi con un cesto in mano e due uomini seduti sull’erba, uno dei quali a gambe divaricate sfoggia le suole e il colorato panciotto dell’abito festivo; a destra altre tre donne e un uomo accovacciati. Fa da cornice alla scena un paesaggio montano che finora non era mai stato identificato con precisione. A guardarlo bene però si riconosce un luogo ben noto ai lettori de “Il Grinzone”. Il dipinto di Dell’Orto riprende, infatti, nitidamente da destra a sinistra la piana di Pasturo, la cava di Cantaliberti, la corna del Biscia, la gola del Ponte di Chiuso o Chiusa di Introbio, le rocce rosse di S. Caterina, la rocca di Baiedo e sullo sfondo tutti i monti di Introbio, dallo Zucco di Cam al Passo del Toro, alla costa di Pianca, al passo di Foppabona. Il punto di osservazione sembra essere la località pasturese “Nei Porcili” (l’attuale via Castagneti, alta); solo il campanile della chiesa di S. Eusebio non è visibile da quel luogo, e quindi volutamente inserito lì dall’artista. Di questa tela di ormai appurato soggetto pasturese esiste anche uno studio dove, rispetto all’esito finale, il gruppo umano è più numeroso e la visione prospettica meno sviluppata. “Con pennellate asciutte, tirate, il Dell’Orto” - scrive Letizia Scherini nella monografia di Monteforte dedicata a Dell’Orto - “abbozza questa umanità in un’atmosfera distante e non contaminata, remota e aristocratica pur nella sua umiltà oggettiva. Conferendo tale dignità pittorica alla popolazione alpina sembra che si rivitalizzi in una traduzione agreste un vocabolario ereditato dall’arte nobile. Ricostruendo la genesi di Giorno di festa […] si ha la sensazione di un’orchestrazione teatrale in cui ogni personaggio assume un ruolo definitivo e sovrastorico, quasi che gli eventi della vita della montagna fossero le sole fonti di verità artistiche”. Tale giudizio calza a pennello alla maggior parte delle opere dedicate da Dell’Orto al tema della montagna, dalle quali emerge sempre quell’umana partecipazione dell’artista al mondo che descrive e interpreta.



Il Giorno di festa è, in conclusione, una rara quanto suggestiva istantanea di Pasturo di fine Ottocento, firmata da un pittore di provata e assai originale esperienza che ebbe sicuramente modo di frequentare la Valsassina, in particolare Premana, come attestano gli schizzi eseguiti nel 1869, e Pasturo, immortalato nel suo Giorno di festa e già fonte di ispirazione per altri artisti prima di lui.

D’altra parte Pasturo venne raffigurata sin dal Seicento da Luigi Reali, artista girovago, molto attivo in Valsassina negli anni tra il 1643 e il 1660. A Pasturo, dove risedette, lasciò diverse opere tra cui la bella pala dell’Immacolata Concezione tra i SS. Monica, Carlo, Antonio da Padova e Agnese nell’oratorio di S. Giacomo o della Madonna della Cintura: sullo sfondo una fotografia ante litteram dei due antichi nuclei del borgo pasturese, anche se furono soprattutto i paesaggisti dell’Otto-cento a lasciarci le testimonianze figurative più significative ed interessanti. Nell’estate del 1875 e del 1876 transitarono da Pasturo e vi trascorsero qualche mese due noti e valenti pittori lecchesi, Giovanni Bertarelli e il suo allievo Carlo Pizzi (1842-1908). “Nell’estate 1876” - annota il Pizzi nei suoi Cenni autobiografici - “tornai in Valsassina a Pasturo, coll’amico Bertarelli e sua Signora, ove ci trattenemmo qualche mese studiando dal vero” (p. 29). Durante l’estate “verista” del 1876 il Bertarelli dipinse, nel solco del verismo naturalista, un anomalo squarcio di strada e cascinali in Valsassina, un ponticello di legno nei dintorni di Pasturo e delle contadine sul sentiero del bosco dove “meglio si avverte il contatto con il Pizzi, almeno nello schianto delle luci, se non nel riverbero impressionale del fatto di natura” (Angelo Borghi).

Nel Novecento merita di essere menzionato Pietro Comolli (Milano, 1902-1977), poeta e pittore con una grande passione per la montagna e in particolare per le montagne della Valsassina, in primis la Grigna, più volte immortalate sulle sue tele.

Ma non solo artisti. Tra Otto e Novecento Pasturo è stato fonte di ispirazione anche per scrittori di fama internazionale come lo scapigliato sardo Salvatore Farina (1846-1918) che vi ambientò il suo racconto Fra le corde di un contrabasso pubblicato nel 1882 e ristampato da questo periodico nel 2010, o per poeti come Antonia Pozzi (1912-1938) che gli dedicò versi e prose.

Marco Sampietro


1 Figlio di Giuseppe e di Rosalinda Gavazzi, Uberto nacque a Milano il 6 gennaio 1848. Rimasto orfano, fu allevato dagli zii materni che lo mandarono a studiare nel Collegio “Longhi” a Tremezzo sul Lago di Como. Si iscrisse poi all’Università di Pavia, che lasciò per quella di Bologna, dove si laureò in ingegneria nel 1871. Non esercitò mai tale professione ma preferì dedicarsi alla pittura, entrando dapprima nello studio del paesaggista Giovan Battista Lelli per imparare la tecnica pittorica, diventando poi allievo di Eleuterio Pagliano da cui apprese la ritrattistica. Nel frattempo frequentò la scuola serale di nudo presso l’accademia di Brera e quella di costume presso la Famiglia artistica. Nel 1880 aprì uno suo studio in via Agnello e qui lavorò alacremente, dedicandosi soprattutto al paesaggio e al ritratto (specie di familiari), facendo lunghi viaggi in località marine e montane per trovare nuovi spunti e per mettere a fuoco le sue impressioni, confrontandole con la realtà. Tra il 1881 e il 1882 si recò perfino in Egitto, contagiato dall’orientalismo, tanto in voga in Europa per l’apertura del Canale di Suez e per la rappresentazione dell’Aida di Verdi, nonché attirato dall’idea di studiare un ambiente esotico pieno di luci e colori insolitamente vivi e squillanti. Fra i suoi numerosi paesaggi, i migliori sono quelli lacustri, nei quali riuscì a infondere sensazioni ed emozioni che risalivano alla sua infanzia. Ma anche le marine (Capri, Riviera ligure, ecc.) e i soggetti montani (Gignese, Maloia, Mottarone, Madesimo ecc.) sono degni di nota. Tra il 1880 e il 1890 partecipò con numerosi dipinti alle mostre di Brera e a quelle della Permanente. Ammalatosi, appena quarantasettenne, morì a Milano il 29 novembre 1895.

 

 

IL GRINZONE n. 62