IL TRENO DELLA RIUNIFICAZIONE
Parlare di Vietnam sollecita, nell’immaginario collettivo, immagini e pensieri differenti: per i nati dopo gli anni settanta Vietnam evoca la guerra di Rambo, Platoon, Full Metal Jacket, oppure le risaie pettinate e i siti patrimonio dell’Unesco quali la Baja Si Ha Long con le migliaia di isolette che nascono dal mare o il delta del Mecong con infiniti rami solcati da piccole imbarcazioni che scivolano, leggere e silenziose, tra i meandri del delta.
Per la mia generazione, invece, Vietnam è indissolubilmente legato alla guerra: golfo del Tonchino, fiume rosso, 17° parallelo o delta del Mecong richiamano subito alla memoria un conflitto che coinvolse tutti i popoli a livello mondiale.
Viaggiare in Vietnam vuol dire anche rivivere o ricercare luoghi di forti emozioni o ricordi indelebili. Turismo e storia si intrecciano, e se il fascino dei luoghi turistici emoziona e attrae, ugualmente si resta sbalorditi nel vedere città e vecchi quartieri immobili nel tempo, con la vita che si consuma sulle strade, sui marciapiedi, dove si cucina, si mangia, si vende, ci si siede, si parla, si vive... Qualcuno dorme, altri aspettano, altri ancora trasportano a spalla, bilanciando i pesi, i carichi più differenti, altri mercanteggiano per qualche frutto. Sciami di motorini si spostano in tutte le vie, tendenzialmente orientati sulla destra ma lo spazio si amplia o si restringe in rapporto al flusso. Attraversare le strade diventa una sfida: un passo avanti, uno sguardo al motorino, chi davanti, chi dietro, entri nel gorgo, sfidi le ondate e fissi i piloti! Loro ti guardano, se avanzi o indietreggi, ti schivano, ti superano, frenano a pochi centimetri e tu ti arrabbi! Ma loro ti guardano, sorridono straniti, aspettano il tuo passo per poi ripartire, così ogni volta, così ogni sfida per attraversare una via. Una frenesia assoluta, dove le bici sono state soppiantate dalle moto, dove ognuno gioca con gli spazi per intrufolarsi e passare oltre, ma non per “fregare”, per battere gli altri, solamente per andare.
Ma l’animo è gentile, rilassato e calmo, e nessuno litiga, ognuno passa e ti lascia il posto, nessuno si arrabbia o impreca, nessuno si sente superato o cerca di superarti. Semplicemente è un moto continuo, un moto liquido, che riempie tutti gli spazi.
Per noi!? un’ansia continua e una lotta!
Nel nostro ricordo però, al di là dei percorsi più battuti, è rimasto il viaggio in treno: 1756 Km in 35 ore continuative.
Partiamo da Hanoi diretti a Ho Chi Min (Saigon per gli abitanti). E subito dimentichiamo depliant turistici dove il treno appare come la Freccia Rossa con tanto di vagone ristorante; nulla di tutto questo, Il treno non è dei più moderni e soprattutto nessuna carrozza ristorante. Non abbiamo rifornimenti, ma confidiamo nella sorte. La costruzione della linea Hanoi-Saigon iniziò durante la colonizzazione francese e fu completata nel 1936. Era allora la Transindocina. Durante la guerra venne spesso sabotata e bombardata e solamente tra il 1975 e il 1976, a seguito della riunificazione del Vietnam, venne ripristinata e inaugurata col nome di “Reunification Express”; nel 1989 è stata rinominata “Doi Moi” (Rinnovamento).
Il treno è come un vicino, un parente, un amico di famiglia
Quando la città è ormai lontana appare il Vietnam dei campi di riso: un tappeto verdeggiante di differenti tonalità, campi ben delimitati e coltivati con precisione, tra i sentieri, contadini che si dirigono nei campi, donne dai cappelli conici chine sul riso con i piedi immersi nell’acqua. E' freddo ad Hanoi e fa freddo anche lungo il percorso. Le immagini “turistiche” delle risaie ridenti, delle ragazze con lunghe tuniche colorate contrastano con la realtà che ci appare: gambe immerse nell’acqua, contadini che arano il campo con il vomere trascinato dalla bufala e che a stento restano in piedi. Un effetto fotografico impagabile, ma anche una dura realtà di sussistenza che si snoda lungo il percorso.che ad ogni passaggio entra nelle case, le sfiora, si affaccia alle cucine, saluta donne indaffarate e bimbi sorridenti, attraversa i mercati, percorre lento i suoi primi chilometri e discretamente esce e si allontana da Hanoi, una città giovane, come tutto il Vietnam, con più del 50% della popolazione al di sotto dei 25 anni.
Il treno unisce città e paesi, attraversa periferie, dove le case espongono il volto più povero: vecchie case coloniche, capanni improvvisati, lamiere sui tetti, case non finite e che forse non si termineranno mai, un’urbanistica improvvisata con acqua, acquitrini, pozze, canali ovunque… Il Vietnam, visto dal treno, è un grande paesaggio di differenti gradazioni di colore e tonalità ma anche un paese non ancora costruito o non terminato.
Il viaggio si fa interessante: la carrozza ristorante non esiste ma, ad ogni fermata, donne, bimbi e uomini salgono sul treno ad offrire differenti prodotti del posto. Thè, minestre calde, dolci e frutti non mancano, anche qualche birra viene offerta a noi turisti. Una calda minestra, i nuddles con differenti verdure o carni o soia o altro che non saprei descrivere, ci vengono in soccorso e, dopo l’ordine, il piatto appare immediatamente, con brodo fumante e bacchettine appropriate. E' quindi indispensabile imparare a mangiare con le bacchettine, perchè le posate sono di difficile recupero.
La cosa ci è apparsa simpatica così, alla stazione successiva, ci siamo concessi un thè caldo. Anche in questo caso, dopo l’ordine, un attimo di assenza e subito il thè si presenta bollente nel bicchiere di plastica con bustina e zucchero. Abbiamo modo però di osservarne la preparazione: come in un vecchio film con Nino Manfredi, Cafè Express, le donne che offrono la bevanda calda recuperano l’acqua dal serbatoio del treno, immergono la bustina e il the è pronto.
Colazione pranzo e cena: siamo alla mercè dei divertiti e allegri venditori che, ad ogni fermata, ci offrono i loro prodotti. E noi, divertiti altrettanto, assaggiamo e mangiamo un po’ di tutto, constatando che la cucina vietnamita è ricca e gustosa.
Si attraversa il 17° parallelo, il confine tra nord e sud con i resti del conflitto…
Pian piano i campi di riso lasciano lo spazio a coltivazioni di palma da cui si ricava lo zucchero.
Dopo 13-14 ore si arriva a Hue, la vecchia capitale imperiale, memoria storica e culturale del paese.
Si riparte per Saigon e il paesaggio cambia ancora. Dopo un percorso tormentato ed esplosivo per l’alternanza di foresta e risacche di mare con allevamenti di gamberetti, rocce a strapiombo e immensi litorali di sabbia, si giunge in una vasta pianura coltivata a mango e a pitaya detto frutto del drago, un frutto superbo e meraviglioso dal sapore pastoso e poco invitante.
Naturalmente, in queste soste e pause di treno, mentre al nord la minestra era accompagnata da abbondante riso, qui ci vengono offerti gamberetti, frutti del drago e mango.
Il viaggio in treno è molto popolare, economico e sicuro e soprattutto si immerge in una umanità e uno spaccato del Vietnam non pubblicizzato nelle locandine o venduto come attrazione. Non farà parte dei siti dell’Unesco, ma certamente è un “bagno” di umanità serena e leggera, almeno nelle apparenze. I sorrisi non mancano, saluti cordiali e scambi di battute fan parte del corredo, e il cibo ci unisce ai compagni di viaggio anche se temporanei e di breve tratta.
Il percorso sta per finire e, mentre il treno entra in città e passiamo il fiume, da un altoparlante, silenzioso e ignoto fino allora, si sprigiona un inno alla città di Ho Chi Min, unica parola che riconosciamo. Peccato che la città, tutta, voglia e continui a volersi chiamare Saigon...
Torniamo a fare i turisti. Una visita al Mecong, fiume inserito nella lista dei dieci fiumi più inquinati al mondo, una visita al museo della guerra, un tuffo nella metropoli per scoprire che esistono aree ancora da bonificare dopo il conflitto degli anni ‘70. Intanto, fuori dai centri storici delle grandi città invase da motorette e sotto una fitta ragnatela di fili elettrici, le metropoli si allargano, con ampi e moderni edifici, apparentemente ad un ritmo che ci sovrasta per la quantità di opere attive.
Ci colpisce una scritta su un muro, tradotta in lingua francese
“L’uomo non tesse la ragnatela della vita,
di cui è soltanto un filo.
Qualunque cosa faccia alla ragnatela,
la fa a se stesso.”
Fra i ricordi del Vietnam, il viaggio in treno rimane quello più nitido: viaggiatori temporanei con propri fardelli e domande, colloqui improvvisati, cibi in comune e scambi di vivande, sonni, silenzi, saluti e odori restano nel vissuto più di ogni bellezza naturale, più di ogni sito protetto o patrimonio dell’umanità.
Pope
IL GRINZONE n.63