IRAN, COLTO E GENTILE


Fu curiosità, interesse per la storia antica, desiderio di conoscere luoghi e persone di culture diverse che ci spinse ad effettuare un viaggio di dieci giorni in Iran. Non avevamo certo la presunzione di conoscere o capire stili di vita tanto differenti, ma di vedere e curiosare un poco sì, e anche di visitare luoghi la cui storia ha attraversato gli studi di tutti gli italiani. L’antica Persia. Per non restare troppo alla finestra, non scegliemmo un viaggio organizzato ma partimmo in solitaria, dormendo presso famiglie e attraversando il paese con i mezzi pubblici.

Fare il visto fu di estrema facilità, così come prenotare l’aereo e incontrare la prima famiglia.

Certo, sull’aereo, fu sconcertante vedere il veloce cambiamento di tutte le donne: occidentali alla partenza ma improvvisamente trasformate all’atterraggio, con foulard e abiti più castigati, pronte per uscire dall’aeroporto. Fu interessante anche vedere come, alla frontiera aeroportuale, in coda per i cittadini stranieri eravamo solo in cinque, noi due e tre ragazzi italiani. L’aereo era completamente iraniano.

A Teheran fu facile incontrare l’ospite che ci avrebbe aperto la sua casa; la gentilezza sua e di sua moglie fu ammirevole, frutta fresca e piatti pronti ci accolsero e ci fecero sentire serenamente in famiglia

Passeggiando nelle città nei giorni successivi, ci accorgemmo del caos infernale, del traffico assurdo e irregolare, dell’approssimazione nell’osservanza delle regole, dei tentativi di accorciare le traiettorie utilizzando tutti gli spazi possibili compresi i marciapiedi. Attraversare la strada infatti è un’impresa assurda, mentre risulta assai facile utilizzare i mezzi pubblici, principalmente il metrò, ampio, pulito, senza pause o attese prolungate, vissuto e abitato da molti iraniani.

 

         


Visitare la città, girare per stra
da, visitare i palazzi è l’esercizio quotidiano del turista, ed esercitarlo in Iran è cosa piacevole (a parte il traffico) come in ogni paese. La gentilezza è il tratto davvero distintivo delle persone, l’aiuto è sicuro e preciso, l’interesse e l’attenzione per lo straniero è reale: pur in una grande e sconosciuta metropoli e senza una guida del luogo, ci si sente protetti e al sicuro. Anche a girovagare di notte fra i locali non senti alcun disagio, forse perché desti la curiosità e l’interesse dei più che ti fermano, ti salutano, vogliono sentire chi sei e da dove vieni.

Con un aereo interno abbiamo raggiunto il sud: Shiraz. Lasciati dal taxista in una strada sconosciuta e periferica, alla ricerca di una casa e di un indirizzo sconosciuto, ci avvicinò un Iraniano: “Have you a problem?” Spiegammo chi eravamo, da dove arrivavamo e perché ci aggiravamo in quella via semideserta assolatissima e periferica. Era venerdì, festa per i musulmani, ma ci invitò in una casa, chiamò un amico che conosceva l’inglese, lesse gli indirizzi in lingua Parsi, aprì il suo ufficio, accese il computer, ci offrì da bere, scoprì il numero telefonico che avremmo dovuto avere, chiamò, ci invitò sulla sua auto e ci accompagnò a destinazione. Il tutto? Per un sorriso, una foto assieme e la sua mail a cui scrivemmo appena tornati in Italia.

In Shiraz abbiamo alloggiato presso una famiglia povera, che ci ospitò su tappeti persiani, affascinante immagine ma non del tutto comoda. Mangiammo con loro - ci fu offerto del loro cibo - e conversammo con un inglese non sempre di immediata comprensione. A Shiraz minareti colorati e immensi ti circondano e invadono gli occhi; Persepoli ti accoglie con la maestosità della grande città che fu di Ciro, di Serse e di Dario, ricordi storici, gli unici che abbiamo della grande Persia, dell’Iran. Di questa grande civiltà le nostre conoscenze si limitavano a ciò e, data la nostra età, anche alle notizie dei rotocalchi che negli anni ’60 e ’70 riempirono l’immaginario italiano con le storie dell’ultimo Scià di Persia, Reza Pahlavi, e della principessa Soraya nonché di Farah Diba. Il resto è storia recente.

La nostra limitatezza, la nostra ignoranza sulla storia dei popoli, fu in questa casa povera, con mobili improvvisati e limitati allo stretto necessario, armadi intravisti con vestiti accumulati qui e là, messa alla prova dalla conoscenza, da parte di chi ci ospitava, di tutti gli autori italiani, da Dante a Petrarca a Machiavelli, per non parlare dei pittori e degli artisti. Una famiglia povera nei vestiti e nell’arredamento, ma con quattro figli, di cui tre laureati, figlia compresa, e l’ultimo, universitario in agraria, dotati di computer di ultima generazione con collegamento satellitare.

Da Teheran, ospiti in una famiglia medio borghese, a Shiraz presso una famiglia povera, fino a Hesfahan, presso una famiglia le cui origini e la cui casa facevano intravedere una grandezza passata e una nobiltà non persa ma sopita. Accolti con sorrisi e grande gentilezza, una colazione assolutamente grandiosa e una disponibilità totale.

Ovunque, in Iran, la gentilezza e l’ospitalità è qualcosa di palpabile, di visibile, qualcosa che trovi nelle risposte che ricevi, negli aiuti che ti forniscono, nei sorrisi, nei bimbi che ti offrono i loro prodotti ma che non ti assillano, negli autobus, nei ragazzotti che ti fermano al buio nella notte e ti chiedono per favore se fai una foto con loro.

Hesfahan, un bene dell’umanità, protetta dall’Unesco, una piazza che ti lascia sorpreso, un sogno da mille e una notte che in qualche modo riesci ad intravvedere, tappeti persiani in seta che ti abbagliano da ogni lato, e ancora la piazza Naqsh-e jahàn che non smetteresti di guardare. Di giorno, nei suoi mercati e commerci infiniti, di notte con le famiglie che la invadono e la popolano con i loro tappeti per incontrarsi, sedersi, mangiare e condividere le serate.

Hesfahan, con i ponti storici popolati da ragazzi e ragazze con l’immancabile smartphone di ultima generazione, che giocano, messaggiano, schiamazzano come in tutto il mondo, e sotto i ponti, sotto le arcate che attraversano tutto il percorso pedonabile, frotte di uomini adulti che si incontrano, che cantano assieme, che discutono. E frotte di donne vestite di nero, con il capo coperto dal velo (hijab), indaffarate a preparare tutto l’occorrente per il pic-nic da consumarsi nel parco immenso e grandissimo, verde e curato che accompagna il fiume per circa 10 chilometri. E, sempre in Hesfahan, improvvisamente le campane ti fanno sussultare e allora, al di là dai ponti storici, ecco un meraviglioso quartiere cristiano. È un quartiere Armeno, elegante e molto europeo, con i bar, i ristoranti, le piccole piazze e le viuzze strette. Improvvisamente si è in un altro mondo. Dove anche la politica e la religione sono dimostrazione di interessi e non di princìpi: siccome gli Armeni sono invisi ai Turchi, l’Iran, una repubblica Islamica, per manifestare la sua ostilità ai Turchi, pure islamici, accoglie gli Armeni, benchè Cristiani.

Anche qui, l’animo cortese e discreto dei Persiani, come amano definirsi, si manifesta in ogni angolo e di fronte alle nostre incertezze nel procedere, un uomo rallenta, si ferma al semaforo, aspetta che ci avviciniamo e poi, have you a problem? Sì certo, chiediamo un’informazione e ci accompagna, contento di essere utile e di servirci. Poi ci saluta e scompare. Il sorriso di chi incontri è sempre aperto, forse perché straniero, forse per la gran voglia che hanno di cambiare, di uscire da quel regime di cui quotidianamente sentiamo parlare.

In effetti non possiamo non vedere con stupore e tristezza le donne con il chador, da capo a piedi tutto nero, e le giovani, pur con comportamenti gioviali e interessi comuni a tutte le ragazze del mondo, con l’hijab, un velo che nasconde i capelli, e con braccia, gambe e piedi nascosti da abiti appropriati. E così le turiste è bene che si coprano almeno con l’hijab. Fu una madre che ci parlò delle frustate che potrebbero subire le ragazze senza velo, e dei rischi di multe altissime anche solo per avere la parabola sul tetto. Le parabole sui tetti ci sono, basta che nessuno lo dica e nessuno se ne faccia vanto.

Certo l’angoscia assale nel vedere le grate sul magnifico ed efficiente metrò di Teheran, grate che separano le ultime carrozze, quelle riservate alle donne o anche nel constatare che sugli gli autobus i maschi sono rigorosamente separati dalle femmine: davanti i primi, in fondo le altre. Allora si sente il regime. Se ne avverte la presenza anche quando gli autobus vengono fermati per i controlli effettuati da soldatini giovani ma in divisa, e col potere di farlo. O ancora quando vengono controllati e oscurati i siti internet che potrebbero esprimere dissenso verso il regime.

Che peccato, un popolo stupendo, desideroso di aprirsi al mondo, che per assurdo sogna gli Stati Uniti più che l’Europa, un popolo colto che sopporta a malincuore un regime opprimente. “Voi, 70 anni fa, avete dovuto sottomettervi al fascismo, a noi succede questo ora, e chissà fin quando…” ci disse Amir, un insegnante con la conoscenza perfetta della lingua inglese e tedesca, e ben attrezzato con l’Italiano.

Ma un viaggio l’Iran lo merita. Abbiamo conosciuto un popolo accogliente, istruito e fiero della propria cultura, attualmente purtroppo oppresso da un regime militare intollerante.

 

                                                                                   Pope Valsecchi


IL GRINZONE n.58