DALLE CASSETTE DEI FORMAGGI ALLA STORIA LOCALE
“Prima di questo maledetto problema avevo molte cose da raccontare e diverse storie che anch’io avevo sentito, ma…” così esordisce Renato quando gli propongo un’intervista per IL GRINZONE.
Ma, nonostante l’ictus che lo ha colpito nel 2017, Castelletti Renato, classe 1940, riesce a raccontare e a raccontarsi ed è interessante conversare con lui.
La famiglia Castelletti proveniva dalla Brianza. Sul libro “Le famiglie della Valsassina” di Andrea Orlandi, alla voce “Castelletti” si legge: “Abili fabbricatori di carri. Da Crevenna verso il 1850”. Infatti anche il papà di Renato, Castelletti Antonio, come pure il nonno, faceva il falegname e costruiva soprattutto carri, sia per il trasporto di fieno o di materiale che di persone, ed era molto apprezzato: “Ricordo che l’avvocato Pozzi, quando io ero ancora una bambino, aveva visto un calesse a due posti e lo voleva acquistare perché gli piaceva ma non voleva riconoscere a mio papà il giusto prezzo…”.
Antonio (nato nel 1904) faceva parte di una famiglia molto numerosa (erano otto figli, tre maschi e cinque femmine) ed aveva sposato nel 1932 Bergamini Zita da cui ebbe cinque figli: Giancarlo nel 1935, Maddalena (1936), Valentino (1938), Renato (1940) e Alfonso (1943). “Purtroppo due fratelli, Giancarlo e Valentino, sono già morti mentre Lena vive a Roma e Alfonso fa il meccanico qui a Pasturo”.
Da piccoli abitavano in via Manzoni, appena prima della Chiesa, “nella corte dove abitava anche la famiglia Cimpanelli (sagrestani per generazioni). Noi avevamo solo due stanze ed eravamo in sette per cui a dormire noi più grandi (Giancarlo, Valentino ed io) andavamo dai nonni, dove abitava l’Angelina (l’infermiera). Il lavoro veniva svolto sostanzialmente nel cortile anche se c’era un piccolo locale che fungeva da laboratorio”.
Nello stesso cortile davanti alla casa passava un canaletto (“un rogét”) che per la verità raccoglieva il liquame di una piccola stalla: “C’era sempre un profumo… ed anche i topi spesso e volentieri… Capitava che qualche volta l’acqua, assieme al liquame, arrivasse anche sotto casa nostra, fra la casa parrocchiale e l’asilo, ed allora don Cima chiamava mio papà: ‘Antonio, ma non vedi cosa arriva giù’?”.
L’asilo e la scuola erano vicini e Renato ricorda che quello è stato un periodo “in cui c’era una gran miseria; per noi era una festa se riuscivamo ad avere qualche castagna in tasca, altro che brioches…”. Ricorda bene le maestre, dalla Licia alla Tenca, dalla Valsecchi (tabachina) alla maestra Bambina: “Mi volevano tutte bene ma ricordo anche le bacchettate sulle mani come pure quando mi mandavano alla lavagna a segnare i nomi di quelli che parlavano…”.
Nel 1951 Agostoni Peppino propone al papà di Renato di acquistare un terreno in Viale Trieste dove costruisce una nuova casa, con annesso laboratorio di falegnameria, e dove, nel maggio del 1952, tutta la famiglia si deve trasferire. Ma lo stesso giorno in cui doveva avvenire il trasferimento, Antonio ha un infarto per cui la mamma Zita si trova ad affrontare tutto (trasferimento, debiti, lavoro ecc.) con cinque figli che devono, a loro volta, mettersi a lavorare e lavorare sodo. In quel periodo iniziano a costruire le cassette di legno per i formaggi richieste dalla ditta Mauri, cui si aggiunge subito dopo anche la Cademartori e di seguito altre aziende casearie: Acquistapace, Buzzoni, Ganassa, Doniselli…
Poco prima di morire, il papà aveva acquistato una macchina per la stampa delle etichette: “Era andato a Milano assieme al panettiere, signor Rossi Severo, con la Topolino di quest’ultimo, e alla sera mamma Zita ed Elvia, la moglie del Rossi, non vedendoli arrivare erano molto preoccupate…”. Le cassette invece si facevano a mano e lavoravano Giancarlo e Valentino ma anche Renato, appena finita la scuola, si unisce nel lavoro. Solo negli anni sessanta acquistano una macchina per produrre le cassette con la possibilità di farle con diverse dimensioni, a seconda del prodotto che dovevano contenere, caprini o taleggi o altri tipi di formaggio, e a seconda dell’uso, per stagionatura, trasporto o vendita. Sono stati gli anni di maggior lavoro fino ai primi anni settanta. Infatti, con l’arrivo del polistirolo, il lavoro dei Castelletti è calato drasticamente. Nella falegnameria, oltre ai fratelli, lavoravano anche alcune donne (Orlandi Mariuccia, De Martini Giovanna, Ticozzi Elda...) che hanno dovuto lasciare a casa a seguito della decisione, sofferta ma inevitabile, di chiudere la Ditta nel 1973.
Giancarlo continua per conto proprio a fare il falegname per piccoli interventi: sistemazione di una porta o di una finestra, qualche mobile casalingo ecc; Valentino inizia a lavorare presso un’Impresa Edile; Alfonso, dopo altri lavori, apre un’officina meccanica e Renato decide di attivare una Ditta individuale continuando a fare casse per la stagionatura e la salatura, perché i caseifici per tali funzioni preferivano ancora il legno. La sorella Lena nel frattempo era andata a Roma da una zia per aiutare nel negozio di macelleria e salumeria.
Alcuni anni prima Renato ed Alfonso avevano deciso di costruire una loro casa, sempre sul Viale Trieste, attigua alla precedente. Non avevano ancora iniziato a fare le fondamenta quando è arrivata la “cartolina” per il servizio di leva: Renato viene arruolato nel novembre 1963 come autiere a Trapani da dove viene trasferito a Treviso fino al gennaio 1965. Dopo il militare, assieme al fratello, riprende i lavori per la costruzione della casa che viene terminata nel 1968.
Nel 1969, Renato si sposa con Colombo Marisa. Hanno tre figlie: Roberta, Manuela e Pamela.
Ma tornando al lavoro come è andata la nuova Ditta? “Devo ringraziare la Ditta Mauri che mi ordinava con continuità le casse per la stagionatura dei taleggi. Di tanto in tanto arrivavano ordini anche da altre Ditte casearie, sia pure per quantitativi minori, e così ho proseguito fino all’inizio degli anni duemila quando sono andato in pensione con ben 47 anni di contributi”.
Ma Renato Castelletti è conosciuto a Pasturo, e non solo, come cultore della storia locale e collezionista di cose antiche, in particolare attrezzi ed utensili riferiti ai mestieri delle passate generazioni. Non a caso ha fatto anche delle mostre dal titolo significativo: “Gh’era ‘na völta”. E con lo stesso titolo ha pubblicato, nel 2006 con “Immagine Valsassina”, un bel libro sottotitolato: “20 anni di ricerche fotografiche in un territorio”.
Attualmente nella sua abitazione, al posto del laboratorio di falegnameria, ha attivato un piccolo museo dove si possono ammirare sia fotografie sia soprattutto quanto in questi anni ha raccolto: dal set di barbiere agli attrezzi agricoli utilizzati fino al secolo scorso, dalle divise dei soldati della prima guerra mondiale alla ricostruzione di un’osteria tipica dei nostri paesi fino ad una serie di vecchie macchine da cucire. Significativo un servizio dedicato a Renato e al suo “museo” dalla TV Unica di Lecco, con una interessante intervista della direttrice Katia Sala.
Ma da dove viene questa passione per la storia locale e per le cose antiche? “Mi è sempre piaciuta la storia e così ho cominciato ad interessarmi del mio paese e a raccogliere testimonianze ed oggetti. Capitava spesso, la domenica, che alcuni anziani del paese si trovassero all’osteria per un calice di vino in compagnia. In particolare ce n’erano tre che mi avevano preso in simpatia e che mi raccontavano diverse storie di fatti da loro vissuti o addirittura anche da loro sentiti raccontare: Simone Galbani, che aveva gestito anche la Cooperativa di Consumo, di cui poi era diventato Presidente; Orlandi Martino, papà dei due idraulici, e Bergamini Giovanni (“vermisol”). Era quasi un appuntamento fisso della domenica pomeriggio e c’erano sempre notizie ed aneddoti interessanti…”.
Questa sua passione ha portato diverse volte Renato sia ad accompagnare alcune classi di alunni in giro per il paese per illustrare la storia di alcuni edifici o delle varie fontane così come nelle aule scolastiche, chiamato dalle insegnanti, a raccontare ai bambini qualche particolarità del nostro paese o anche qualche leggenda: “Ricordo che anche a noi, quand’eravamo piccoli, raccontavano molte storie di folletti e diavoli, soprattutto mio zio Osvaldo, e io avevo una gran paura. Una sera ero proprio convinto di aver visto il diavolo ed ho tremato dalla paura tutta la notte…”.
Le sue zie Sandra e Lucia erano amiche d’infanzia della poetessa Pozzi e così anche Renato ha iniziato ad interessarsene, soprattutto per quanto riguardava la sua famiglia e i legami con Pasturo.
Nel raccontare, e ricordare, Renato si lamenta per non essere più in grado di fare quello che gli è sempre piaciuto, a causa della patologia che l’ha colpito. In realtà, e glielo dico più volte, è in grado di ricordare e di raccontare e di questo lo ringrazio.
Guido
IL GRINZONE n. 68