ENZO PATUZZI, da Pola... a Pasturo
Quando nel 2014 hanno visto il suo nome nella lista dei candidati al Consiglio Comunale, diversi Pasturesi si sono chiesti chi fosse. Per la verità alcuni lo conoscevano già, lo vedevano tutte le mattine andare a prendere il giornale senza però sapere quasi nulla di più… Come GRINZONE abbiamo pensato di intervistarlo. E in tempo di “Coronavirus”… l’intervista avviene via mail e con scambi dal balcone e in strada…
La prima domanda riguarda proprio il suo arrivo a Pasturo verso la fine degli anni sessanta.
“Il condominio Stella Alpina aveva pochi mesi di vita. Mi occupavo allora di celle frigorifere e, grazie ad un lavoro che mi era stato affidato alla Mauri formaggi, ho incontrato Millo Merlo. Gli parlai anche di Pasturo quale luogo simpatico per passare i fine settimana e Millo mi suggerì di rivolgermi a Fausto Agostoni. La conclusione fu che i genitori di mia moglie ci regalarono l'appartamento che oggi occupiamo stabilmente. All’inizio si veniva nei fine settimana e durante le vacanze, a Natale e a Pasqua. Poi gradualmente siamo diventati Pasturesi di adozione avendo intessuto tante belle conoscenze e frequentazioni. Ora siamo due anziani sposi, sereni in un luogo sereno. I nostri figli, con le famiglie, vengono spesso a respirare l'aria della Valsassina e hanno intenzione di farlo ancora per molto”.
Una serenità che Enzo ha respirato fin da piccolo nella sua famiglia, pur in mezzo a traversie che ancora ricorda con sofferenza e che ha raccontato in un opuscolo “UN UOMO NIENTE MALE” dedicato al papà Guido. Quest’ultimo era nato a Pola dove suo padre, originario di Riva del Garda, si era trasferito e dirigeva una sartoria specializzata in divise militari per gli ufficiali austriaci.
Guido (1901 – 1977), maestro elementare a Lussinpiccolo (oggi Malj Losini) ma anche concertista di violino e maestro della Banda locale, aveva sposato Margherita, pure insegnante elementare. Enzo è il terzogenito e nasce nel 1937. Prima di lui erano nati Sergio e Clara.
Dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale, Pola è uno dei porti “bersaglio” dei bombardamenti da parte dell’aviazione americana. “Ricordo la Pasqua del ’42, a mezzogiorno, gnocchi di patate al sugo fumanti in tavola. Segno della croce e forchetta in mano. Suona l’allarme. Di corsa nel rifugio che era poco lontano, ciascuno con una valigia contenente la dotazione di sussistenza per qualche giorno… La terra trema di brutto, è saltata anche la luce… Si deve attendere il cessato allarme fino alle 15. Al rientro l’intonaco del soffitto è crollato sulla tavola. Sotto: gnocchi, piatti, tovaglioli e auguri di Pasqua”.
Alla famiglia di Guido viene proposto di trasferirsi in un luogo più sicuro: su una nave scortata dai tedeschi, sempre con la paura di essere bombardati, si spostano dapprima a Trieste e poi attraverso un viaggio avventuroso giungono a Lumezzane (Brescia), ospiti di alcuni cugini. Enzo, cinque anni, ricorda il freddo, in particolare quando, anche lì, sentendo il sopraggiungere di PIPPO (l’aereo nemico che passando di notte sganciava le sue micidiali bombe soprattutto sulle città ma a volte anche nei paesi) si usciva fuori nella campagna e ci si accucciava vicino a qualche cespuglio.
A Lumezzane Guido e Margherita riescono ad insegnare e possono così contribuire al sostentamento della famiglia.
Al termine della guerra tornano a Pola. Ricorda Enzo: “Si partì sul cassone di un camioncino e si viaggiò tutta la notte e io dormii come al solito. Mi svegliò mio fratello Sergio per farmi vedere il castello di Miramare. Brividi di freddo e di emozione, li sento ancora oggi…”.
Suo padre Guido, che era terziario francescano, al momento della partenza aveva “affidato” la casa alla Madonna, collocando un’immagine della Vergine nell’appartamento perché la proteggesse. In effetti l’appartamento era rimasto indenne, nonostante i 18 mesi di bombardamenti sulla città…
La guerra era finita ma la situazione a Pola non era per nulla tranquilla: “Cominciava a farsi strada l’idea della cessione di Istria e Dalmazia, quale bottino di guerra, alla Jugoslavia, incredibilmente inserita fra i Vincitori”. Il clima era pesante soprattutto per coloro che si sentivano fin nel profondo italiani. Il padre di Enzo, che aveva ripreso con entusiasmo anche la direzione della Banda Musicale, viene messo sotto protezione della polizia militare degli Alleati perché è ormai nel mirino dei Titini1… C’erano le foibe, come si ammetterà molti anni dopo, e c’erano continui attentati, fino a quello del 18 agosto 1946: “Il giorno del battesimo di mia sorella Nora, che era nata da pochi mesi, l’acqua battesimale si impolverò per i calcinacci caduti dal soffitto della Chiesa a seguito dello scoppio dell’attentato di Vargarola, poco distante da lì”.
Quella domenica in spiaggia c’erano molti bagnanti ma anche, nascosti sotto la sabbia, residui bellici… L’esplosione fu tremenda, più di cento le vittime, una vera e propria strage, forse la più cruenta per l’Italia.
Enzo ricorda che quello del ’46 fu l’ultimo Natale trascorso a Pola: “Mio papà mi portò alla Messa di mezzanotte; lui fece anche la comunione. Allora occorreva essere completamente digiuni dalla mezzanotte del giorno prima! Io non lo ero e papà, con un sorriso, capì perché non la feci ma non mi rimproverò”.
Nonostante le preghiere e le proteste della popolazione, la decisione delle nazioni vincitrici fu la cessione dell’Istria e della Dalmazia alla Jugoslavia, per cui 350.000 italiani furono costretti a fuggire con quello che riuscirono a portare con sé.
Papà Guido volle organizzare un ultimo concerto: “Una serata di luna splendente sopra l’Arena, con i riflessi sul mare del porto, e tutta la gente in piedi sulle scalinate…”.
Come ricordi quel viaggio?
“Il mio è il ricordo di un bimbo di 9 anni. L’essenziale per tirare avanti imballato in casse di legno inchiodate a colpi di martello di cui avverto ancora il rimbombo. Le valigione pesanti portate da babbo, mamma, dal fratello e dalla sorella diciassettenne; la sorellina di neanche un anno che… era da trasportare. Sulla nave che lasciava il porto eravamo un po' stretti, mi ricordo l'Arena che si allontanava e una donna vestita di nero che piangendo buttava qualcosa in mare. Seppi poi che era la chiave di casa sua…”.
Con la motonave “Toscana”, stracolma di esuli, giungono a Trieste e da qui a Riva del Garda dove vivevano alcuni parenti. “Trovammo un primo alloggio presso una vedova con figli che ci offrì metà casa, poi trovammo un appartamentino in affitto con gabinetto, lavandino in pietra in cucina e stufa a legna per cucinare e per… scaldarsi”.
omincia con una vita quasi normale: i genitori riprendono l’insegnamento in alcuni paesi vicini, il fratello Sergio frequenta l’Università a Trieste, Clara aiuta in casa in particolare per accudire la sorellina Nora, mentre Enzo va a scuola anche se non ha una gran voglia di studiare, e neppure di suonare il violino come avrebbe desiderato il papà.
Diplomatosi Geometra a Rovereto nel 1957, Enzo, dopo una prima attività a Riva del Garda, nel 1959 si trasferisce a Milano dove trova lavoro presso un’industria mineraria-edile.
Nel 1962 sposa Armanna, che aveva conosciuto a Riva del Garda. Successivamente nascono Francesca nel ’63 e Paolo nel ’65, che fin da piccoli iniziano a frequentare Pasturo. Passano gli anni e la famiglia si amplia con l’arrivo dei nipoti, Federico e Susanna, figli di Paolo.
Enzo lavora per ben 42 anni negli Uffici Tecnici e commerciali di diverse Ditte, passando dalle fonderie di ghisa porcellanata ai materiali per edilizia e agli isolanti in lana di vetro e in polistirene estruso, fino al raggiungimento della pensione dieci anni fa.
Enzo e la sua famiglia quindi conoscono e frequentano Pasturo da oltre cinquant’anni…
“In effetti lo conosco fin dai tempi in cui si andava a sciare con i bambini sia nei prati di Via dei Castagneti che in quelli in fondo a via Carreri. D'estate poi si facevano pic-nic nei boschi di Cornisella e pranzi a Brunino, dove ricordo l'Oreste, il mago della polenta...
Il territorio non è cambiato molto, l'età media della popolazione invece è aumentata (come nel resto dell’Italia). Ci sono molte vedove e molti anziani che sono rimasti i soli custodi delle vecchie case con l'impegno e la cura tipica dei montanari allevatori e agricoltori. Le case nuove, costruite soprattutto come case/vacanza, sono poco frequentate.
A causa dell'età, non ho contatti con i giovani di Pasturo e ne conosco pochi. Conosco invece una decina di scolari delle elementari e delle medie perché affianco la signora Carla in Biblioteca in una specie di doposcuola.
Concludo ricordando che è vero che più che il ‘dove’ conta il ‘come’ e per noi Pasturo offre un piacevole ‘dove’ per vivere il ‘come’ nei modi più vicini ai nostri desideri”.
A Pasturo non c’è il mare e neppure il lago… E allora Enzo, appassionato di barca a vela, torna spesso, in particolare nella stagione estiva, sul lago di Garda o in Istria.
Tuttavia la vicenda che più ha segnato la vita di Enzo è stata certamente quella legata alla storia dei Giuliani e Dalmati2, che dovettero abbandonare la loro terra nel 1947 oltre a subire, anche negli anni successivi, da profughi, altre situazioni dolorose e sgradevoli.
Dal 2004, quando con la legge n. 92 fu istituita la Giornata del Ricordo, Enzo ritiene doveroso esplicitare e testimoniare, anche sulla stampa, la sua esperienza.
Così scriveva, fra l’altro, il 10 febbraio di quest’anno: “… Anche il viaggio di trasferimento si svolse in mezzo ad ostacoli e ostilità. Valga l'esempio del treno merci carico di profughi stipati in vagoni bestiame chiusi dall'esterno, che durante le soste tecniche in stazioni ferroviarie, rimasero chiusi sotto il sole estivo e il latte offerto dalla Croce Rossa per i bambini fu rovesciato sui binari.
L’accoglienza poi fu diversa da quella che oggi invochiamo in tanti per altri profughi. Le centinaia di migliaia di italiani provenienti da quelle terre cedute come danni di guerra a nome di tutta l'Italia e che solo a loro venivano sottratte, cercarono rifugio da parenti, conoscenti, amici. Altri dovettero accamparsi in luoghi adattati in qualche modo, per esempio le famose “casermette” di Torino, stanzoni militari suddivisi in... stanze da coperte appese al soffitto, mentre altri si sparpagliarono per il mondo: Australia, Canada, Argentina, Rhodesia, Sudafrica, Stati Uniti…
Di tutto ciò per 70 anni si perse la memoria.
Anche dopo la legge del 2004 ci sono state difficoltà ad essere riconosciuti italiani sui documenti anagrafici necessari alla vita da cittadino. Io stesso sono riuscito solo nell’agosto 2019 ad ottenere l'Attestazione Prefettizia per la qualifica di Profugo..."
Guido
1 Erano chiamati “Titini” i sostenitori di Tito, che in quel periodo fecero di tutto per “eliminare” gli italiani che abitavano in Istria.
2 Dopo la seconda guerra mondiale, una parte della Venezia Giulia (in particolare l’Istria) e la Dalmazia furono cedute alla Jugoslavia.
IL GRINZONE n.71