RINA GALBANI 

 

Classe 1928 ma ancora “in gamba”, anche se proprio per una frattura al femore due anni fa è stata ricoverata in Ospedale per l’intervento e poi nella Clinica “Beato Talamoni” per la Riabilitazione: “Stavo preparandomi per andare in paese a fare la spesa, erano da poco passate le otto, quando sono caduta e non riuscivo più né a rialzarmi né a chiamare qualcuno. Pensavo di morire così, sul pavimento… Per fortuna nel pomeriggio è arrivata mia sorella Marta per cui, chiamata l’ambulanza, mi hanno accompagnato all’ospedale. Dopo due mesi di ricovero ho impiegato un po’ di tempo a ristabilirmi ma adesso sto bene. All’inizio avevo alcune piaghe da decubito che pian piano, grazie alle cure prestate dalle infermiere del Distretto, si sono rimarginate. Ne ho ancora una piccola sul tallone che fatica a chiudersi”.

I genitori, Galbani Giuseppe (classe 1897) e Ticozzi Teresa (classe 1901) si sono sposati nel 1927 e Rina è stata la primogenita di sette figli; dopo di lei sono nati Antonietta, moglie di Bergamini Giovanni, nel 1930; Marta, che ha poi sposato Aldo Carozzi, nel 1931; i due gemelli Mario e Domenico, sposatosi poi con Melesi Vittoria, nel 1934; Eugenio nel 1939 e Tarcisio nel 1943. Alla nascita dei gemelli Antonietta è stata “affidata” ai nonni materni, a Pasturo, coi quali ha vissuto dai quattro ai vent’anni. Eugenio, nel 1960, ha perso la vita in un incidente stradale: “Era in moto con suo cugino Italo e in una curva vicino alla Ditta Mauri sono finiti sotto un camion…”. Anche Mario e Domenico sono morti a pochi mesi uno dall’altro nel 1988, mentre Tarcisio, a causa di un incidente nel 1973, ha avuto una lesione permanente del nervo acustico per cui è diventato sordo: “Era sposato da pochi anni con Pigazzi Margherita, ha una figlia e un nipote Mirko al quale è molto legato”.

Poco dopo la nascita di Rina la famiglia, che abitava in centro a Baiedo, si trasferisce alla Malpensata* sulla Provinciale. “Non so perché si chiami così… E’ un edificio molto lungo che mio papà e suo fratello Pietro (il papà di Ambrogio…) hanno acquistato insieme mantenendone poi metà ciascuno con diversi spazi comuni”. I genitori erano contadini e come le altre famiglie in quel periodo avevano alcune mucche: “In realtà si passava molto più tempo alla cascina ai piani di Nava. A Pasturo scendevamo solo poco prima che nevicasse e risalivamo in primavera… I miei ricordi di bambina e di ragazza riguardano proprio i piani di Nava; allora era come un paese perché vi abitavano molte famiglie e tanti bambini. Si doveva aiutare in casa e nel lavoro per la fienagione e per l’accudimento delle bestie, ma c’era tempo anche per divertirsi…”.



Rina non ha frequentato l’asilo (“Abitavamo troppo distante, non c’era lo scuolabus… e i miei genitori non avevano tempo di accompagnarmi”) mentre ha regolarmente frequentato le elementari, la prima a Baiedo e le altre classi a Pasturo con la maestra Bambina Ticozzi: “Scendevo da Nava con gli altri scolari al mattino e risalivo al pomeriggio; a mezzogiorno andavo all’asilo dove le suore preparavano un piatto di minestra per quelli che arrivavano dai monti; nel periodo invernale l’andata e ritorno avveniva a partire dalla Malpensata. In quegli anni nevicava parecchio e ricordo che diverse volte tornando a casa ci trovavamo quasi sommersi dalla neve nel tratto dal cimitero alla Malpensata perché il vento la accumulava in strada. Ho ricordi belli di quel periodo: per qualche corsa avevamo solo la piazza e le strade ma devo dire che faccio fatica a capire i ragazzi di oggi, ma anche le loro mamme, che spesso si lamentano pur avendo tutto”.  

Finite le elementari la famiglia si era allargata e Rina in particolare, essendo la primogenita, deve aiutare la mamma a ‘curare’ i fratelli più piccoli ma anche a cucire: “C’era sempre qualcosa da fare: lavare, cucire, rammendare… Però ricordo che ero sempre contenta e mi piaceva cantare mentre facevo i mestieri o si andava a prendere l’acqua coi secchi, grandi o piccoli a seconda dell’età di noi ragazzi e bambini. Quando mi capitava di andare a trovare i nonni materni nelle baite vicino alla Ciapparelli al Pialeral, mio nonno mi faceva cantare alla sera al chiaro di luna: cantavo con così tanto entusiasmo che mi sentivano anche quelli del rifugio Pialeral, gestito allora da Giovanni Gandin”.

La domenica si scendeva da Nava per la Messa e il tragitto era anche occasione di incontri e di amicizie. Rina conosce Orlandi Giancarlo proprio di domenica; cominciano a frequentarsi e nell’aprile del 1950 decidono di sposarsi: lei aveva 21 anni e Giancarlo 23. Inizialmente vanno ad abitare nella casa della famiglia di Giancarlo e nel 1953 si trasferiscono tutti in Via Nisella in una nuova casa costruita insieme. Giancarlo, dopo alcuni lavoretti saltuari in particolare come autista, inizia a lavorare in proprio: ritira dagli altri contadini i taleggi freschi che - dopo la stagionatura - rivende ai vari negozi. “Avrebbe voluto fare l’autista ed aveva presentato domanda alla SAL ma non lo chiamavano mai. Quando poi gli hanno proposto l’assunzione, nel 1957, aveva già iniziato la sua attività e dovette rinunciare”. Anche Rina collabora attivamente col marito nell’azienda che gradualmente si amplia: “Tre volte alla settimana andava a ritirare i taleggi anche nella bassa milanese dove diversi pasturesi - come i Platti (Martinài), i Pigazzi (Belàn) e i Ticozzi (Bòtoi) che prima facevano la transumanza e scendevano solo d’inverno - si erano trasferiti”.

L’Azienda prende sempre più piede e i Taleggi e le Robioline della Rocca - di Orlandi Giancarlo - sono sempre più richiesti ed apprezzati (“Anche a Don Tullio piacevano molto e spesso mandava anche dei suoi conoscenti ad acquistarli”) per cui Giancarlo e Rina decidono di costruire in Via Celestino Ferrario una loro casa con adeguate celle di stagionatura; vi si trasferiscono per il Natale del 1967. In quel periodo vi lavorano a tempo pieno Rina e Giancarlo, ma anche suo papà Eugenio, che lavorava alla Cademartori, dà loro una mano importante. “Ricordo che i primi tempi è stata veramente dura; si lavorava molto per riuscire a sopravvivere e le Banche erano restie a concedere prestiti. Negli anni però l’attività è decollata evidenziando anche la necessità di qualche collaboratore. Ad esempio Renzo Doniselli ci dava una mano sia in cella che per la consegna dei prodotti nei negozi”.

Purtroppo le cose si sono complicate, dopo oltre vent’anni, quando Giancarlo ha cominciato a manifestare qualche problema di salute: “Aveva avuto un intervento per i calcoli già nel 1976 ma poi si sono evidenziati i problemi più seri di carattere respiratorio”. Nonostante gli aiuti per portare avanti l’azienda, che a quel punto andava veramente bene, considerato anche che purtroppo non avevano avuto figli, hanno cominciato a pensare di cedere l’attività e nel 1982 concludono la vendita a Invernizzi Antonio, titolare dell’attuale Ditta “Invernizzi e Rota”.

Nel periodo successivo Rina segue Giancarlo che alterna momenti abbastanza tranquilli con ricoveri sempre più frequenti: “Nei primi anni usciva regolarmente per trovarsi con gli amici o per la partita a carte mentre nell’ultimo periodo, nonostante le mie insistenze, non si sentiva più tranquillo e preferiva stare in casa”.

Giancarlo muore nel 2002, quando le sue difficoltà respiratorie si erano fatte più severe.

Rina si mantiene attiva e continua, fra l’altro, il suo servizio presso la Chiesa di Baiedo: “Me l’aveva chiesto don Tullio ed avevo accettato volentieri. Pulire la Chiesa, preparare per la Messa, lavare e stirare gli arredi dell’altare e quanto serviva per le celebrazioni; per tutto il periodo di presenza a Baiedo di don Cesare la Chiesa e l’altare erano sempre in ordine. L’ho sempre fatto volentieri e col cuore. Purtroppo due anni fa, per problemi di salute, ho dovuto smettere”.

Rina, con discrezione, si è sempre interessata alla Parrocchia e soprattutto alla Scuola Materna: “Ho sempre voluto bene ai bambini fin da quando accudivo i miei fratelli; per questo mi impegno tutti gli anni a fare la mia parte, sostenendo economicamente le opere parrocchiali e l’asilo. E' importante contribuire a partire dai fiori per la Chiesa fino alle altre esigenze in base alle proprie possibilità. A volte lo dico anche ad altri che penso potrebbero offrire un contributo, ma non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire…”.

Rina vive da sola anche se le due sorelle, Antonietta e Marta, e soprattutto i nipoti e alcuni pronipoti, si alternano nell’andarla a trovare e nell’aiutarla se deve recarsi da qualche parte. “Cerco comunque, quando posso, di essere autonoma; se la distanza non è eccessiva riesco anche ad andare da sola aiutandomi col mio bastone per sentirmi più sicura”.

                                                                                  

                                                                                                 Guido

 

* Nel libro “Memorie Storiche di Pasturo e Baiedo” Andea Orlandi scrive: “Prato piano. A mezz. confina con le Gère. A occidente della strada provinciale. La cascina dicevasi Cà dj sbirr, perché vi stettero i birri della Comunità Generale della Valsassina”.

 

IL GRINZONE n. 69