PATAGONIA: SPAZI INFINITI


Guardo dal finestrino e sorrido pensando a mia suocera che, saputo del mio viaggio in Patagonia, mi ha chiesto se andavo in pullman… Proprio il pullman, quando abbiamo chiesto ad un peones se passasse di lì quello per il CHALTEN, la nostra meta, lui, senza alzare lo sguardo, ci ha risposto di sì. “A che ora?” chiediamo. “Passa, passa” ci risponde. Come a dire che poteva passare dopo cinque minuti, cinque ore o cinque giorni… Il vivere in Patagonia è anche questo: i peones sono fatti così, da sempre abituati a non dare nulla per scontato, da sempre abituati ad avere qualcosa solo se strappato a vive mani dalla terra: il cibo, il denaro o … il pullman che forse passa oggi, o domani o chissà, tanto la vita è lunga.

 


Saper aspettare è un grande dono; laggiù è necessità.

Aspettare che il vento si plachi per poter uscire dalla tenda e rimettersi in viaggio...

o aspettare che il vento si alzi per spazzare le nubi del CERRO TORRE e poterlo finalmente vedere.

 

Per noi, abituati come siamo a “misurare” la vita, il lavoro, i trasferimenti al centesimo di secondo, l’attesa appare snervante; per loro no, loro vivono misurandosi solo con gli spazi infiniti che li ospitano. Gli spazi … tu puoi camminare come da Genova a Sondrio senza trovare una casa o una persona; solo pianure e montagne, laghi e ghiacciai; quando ti sembra di essere arrivato, ecco un’altra valle da attraversare e allora … ti devi adeguare. Ti fermi, monti la tenda e bivacchi. Qui se il pullman delle sette è in ritardo, diventi blu dalla rabbia; in Patagonia no. Se hai fame mangi, quando hai sonno dormi, quando sei stanco ti fermi, non hai obblighi o schemi da seguire: in una parola ti senti libero in mezzo alla natura libera.

 

Purtroppo però anche in Patagonia ci si sta avvicinando alla vita moderna ed ai suoi “simboli”; uno degli ultimi giorni, mi trovavo al cospetto del Perito Moreno, un ghiacciaio che nel suo avanzare divide un lago in due, un lago che poi tracima con un gran frastuono: di fronte a questo colosso rimani intimorito, un fronte di 4 Km. alto oltre 60 metri che avanza millimetro dopo millimetro ma che inesorabilmente poi crolla pezzo dopo pezzo con un sordo rumore.

Stavo guardando, anzi stavo “sentendo” il ghiacciaio quando è sopraggiunto alle mie spalle un bip bip, uno squillo di cellulare. Mi sono girato, ho rimesso al collo la macchina fotografica, ho salutato il giapponesino tecnologico e sono rientrato al… puntuale pullman.  

                                              

                                                                                               Dario Pensa


IL GRINZONE n.10