Pensiero

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 29 pozzi small

   Brevissima lirica, questa, in cui tutto avviene “dentro”, nel cuore profondo del pensiero rivolto all’altro, che è nel dolore. Le parole, infatti, non sono dette, ma crescono come germogli freschi e delicati dal silenzio dell’anima, lontana eppur vicina, prossima anzi, nel senso più vero di questo superlativo: così vicina che ogni distanza è annullata e la lontananza-assenza si è trasformata – nel desiderio sofferto e sofferente – in presenza, in uno stare a fianco, in un “essere” accanto, là dove la vita duole, anche se la ferita si nasconde e solo l’assenza del sorriso la fa intuire.
   “Essere”, stare: è l’amore vero, l’amore di benevolenza e di carità, che si dona senza pretese e senza mostrarsi, proprio come il samaritano del vangelo di Luca (10, 30-37), che soccorre solamente perché l’altro è il “prossimo”, e non teme di sprecare il suo tempo e il suo denaro per uno che sta sull’altra sponda in fatto di credo religioso. È amore ai massimi livelli: quello che nel silenzio fa udire la propria voce al silenzio dell’altro, la propria frescura all’arsura dell’altro, il proprio calore al freddo dell’altro, il proprio bene al male dell’altro. Dono totalmente gratuito e libero.
   Quello dell’amore, in tutte le sue direzioni e sfaccettature, è un tema costante nella poesia di Antonia Pozzi e, con esso, il tema della maternità, visti non solo e non tanto come aspirazione alla completezza della propria vita, ad una realizzazione di sé nel modo più consono alla propria femminilità (che potrebbe contenere in sé anche una nota di egoistico interesse), ma come superamento delle pulsioni egoistiche dell’io nel dono di sé all’altro. Per questo l’amore nella Pozzi è sempre vestito di quella semplicità e di quella tenerezza che sono proprie del sentimento materno, anche quando esso, l’amore, è rivolto al “tu” unico della propria vita.
   Così in questa lirica, rapida e lenta al tempo stesso: rapida per la sua brevità, lenta per il ritmo spezzato e rattenuto dell’atto meditativo, che si snoda   in versi sospesi dalle inarcature e costituiti da frasi molto semplici o da singole parole; le quali, però, giocano un ruolo fondamentale come chiavi di lettura della poesia: essa, infatti, appare accessibile subito, alla prima lettura, ma rivela sensi più acuti a un esame più approfondito.
   Già l’uso dei verbi all’infinito, fino dall’incipit, conferisce alla lirica un ritmo lento e indefinitamente aperto nello spazio e nel tempo, poiché essi non fissano né l’uno né l’altro, non dicono né dove né quando: quindi, ovunque e sempre; e le inarcature, separando i sintagmi «lunghe ali/ d’ombra» e «pace /serale», non solo accrescono il senso della spazialità e della durata temporale, creando un ritmo lungo, tale da suggerire un' intensa sosta emotiva, ma, anche, mettono in rilievo le «lunghe ali», facendo consuonare la loro L con quella di «male» e di «serale»; sì che la ripetizione del suono fluido, tremulo, leggero, unito alla vocale aperta A, amplifica ancora di più la sensazione di indeterminatezza spazio-temporale e, al tempo stesso, suggerisce il lieve gesto di una carezza consolatrice.
   L’immagine delle «lunghe ali» stese rinvia alla qualità dell’amore: amore di madre – angelo, china a lenire il «male» , a proteggere, a custodire, a confortare. Al centro della poesia, poi, si colloca l’espressione connotativa più intensa:«essere ombra, pace»: in essa il verbo, sottolineato nel manoscritto, e il sintagma «ombra», scandito in modo netto dalla virgola, rivelano che Antonia non si accontenta di «avere lunghe ali /d’ombra», ma brama farsi ombra essa stessa, perdere quasi la propria realtà corporea per divenire solo spirito di consolazione e di pace. Solo così, forse, il “sorriso spento” potrà ritornare a illuminare il volto dell’altro.                                                                            

                                                       

                                                                                                                      Onorina Dino