RICORDO SOPRATTUTTO LA FAME...


In uno di quei pomeriggi belli ma freddi, che hanno caratterizzato la recente stagione invernale, incontro Costadoni Ernesto, classe 1917, nella sua casa a Baiedo, disponibile a raccontare e condividere con i lettori del Grinzone alcuni ricordi. 


Quest’anno si ricordano i 150 anni dell’Unità d’Italia. Cosa pensi che si possa comunicare ai giovani ?

Come fanno i giovani a capire quello che noi abbiamo passato e sofferto? Mi sembra che facciano fatica a crederci… Qualche volta sembra che pensino che noi siamo stati anche un po’ stupidi a sopportare quello che abbiamo sopportato e ad accettare quanto capitato all’Italia in tutto quel periodo. Forse era meglio se non abolivano la leva obbligatoria… Comunque io auguro loro di star bene, di non conoscere la guerra, di apprezzare la pace.

 

Vediamo la carta d’identità…

Sono nato a Pasturo il 25 novembre 1917, ero il secondogenito, mia sorella Claudina era maggiore di tre anni. Purtroppo mio padre è morto quando avevo appena 6 anni, per cui già a 7 anni mia mamma mi ha mandato come faméi da Antonio Arrigoni (Ragn), il nonno del Tonino, dove sono rimasto per quasi due anni. Altrettanti li ho passati da Carlo Orlandi (dei Carlucet) e infine dal Maroni (papà del Carlo): qui non mi trovavo bene e allora sono scappato; ricordo che mi davano circa 20 lire al mese, oltre al mangiare, ma non c’era molto da distrarsi…
Dopo i 14 anni ho iniziato a lavorare a giornata da quelli che mi prendevano: per tagliare la legna, per fare il fieno, per qualsiasi altro lavoro.
Allora c’era una certa rivalità fra Pasturo e Baiedo; succedeva che se andavamo a Pasturo a cercare di parlare con le ragazze, i giovani pasturesi ci facevano scappare e allora anche noi di Baiedo facevamo altrettanto con quelli di Pasturo che venivano dalle nostre parti… Nonostante questo io ho sposato una ragazza di Pasturo e tuo papà, che era di Pasturo, ne ha sposato una di Baiedo…

 

E il militare ?

Non avrei dovuto andare perché mia madre era vedova ma invece dopo la visita - a 21 anni nel 1938 - sono stato arruolato nel 7° Reggimento Fanteria, a Milano. Poco dopo mi hanno trasferito a Erba e poi per il campo estivo a S. Caterina Valfurva. L’anno successivo si parlava della guerra con la Francia e per questo ci siamo accampati per un bel po’ di tempo a Limone Piemonte. La guerra però non ci fu in quell’anno e quindi il Battaglione fu trasferito in Toscana.
Ricordo che sono tornato a Pasturo in licenza nei primi mesi del ’40 ed ho trovato alloggiati in un camerone di casa mia alcuni soldati che stavano partecipando all’assembramento qui in Valle: vengo via per qualche giorno dalla caserma e me la ritrovo anche a casa!
Nella primavera dello stesso anno tornammo in Piemonte e a giugno fu dichiarata la guerra alla Francia: furono una decina di giorni di combattimenti, di acqua e di neve…
Nell’autunno dello stesso anno ci hanno inviato in Albania - dove ho incontrato di sfuggita Bergamini Giovanni (Moscòn) – per la guerra alla Grecia. Nel mio battaglione c’era anche Tenderini Antonio, di Premana, che ho avuto modo di ritrovare alcuni anni fa’ in occasione delle giornate zootecniche. Tornando alla guerra, nell’ultimo periodo sono stato aggregato ad altri soldati per presidiare alcune isole dell’Egeo.


Quindi l’8 settembre 1943 eri in Grecia?

Ero sull’isola di Nasso quando assieme agli altri militari siamo stati fatti prigionieri dai Tedeschi; prima ci hanno portato ad Atene, al Pireo, e poi sempre a piedi con trasferimenti di 30 – 35 km. al giorno, a Belgrado (dove eravamo circa 40.000 prigionieri) e poi in Austria, dove sono rimasto fino alla Liberazione nel ’45.

 

Com’era la vita da prigioniero ?

Non vorrei neppure parlarne… Dovevamo sempre lavorare, in ferrovia, sulle strade, in alcune fabbriche. Ma soprattutto non c’era da mangiare… Se trovavo delle pelli di patata, anche sporche di terra, non riuscivo a non mangiarle anche se poi stavo male e mi ripromettevo di non mangiarne più, ma quando le trovavo la fame era più forte di qualsiasi proponimento…

Eravamo stati divisi in gruppi; io con una cinquantina di altri prigionieri ero alloggiato in una casa, con alcuni tedeschi come guardie: al mattino ci inquadravano per partire per il lavoro e si tornava la sera stanchi morti… Non ci si poteva sottrarre alla ferrea disciplina o disobbedire altrimenti si rischiava anche la vita… Più di una volta ho visto (o meglio ho dovuto vedere contro voglia) alcuni prigionieri obbligati a scavarsi la fossa, dove al termine dello scavo cadevano, uccisi dai tedeschi… Anche la gente del paese ci dimostrava disprezzo. Prendevano di mira soprattutto noi italiani; alcune donne quando ci vedevano ci sputavano addosso e noi non potevamo assolutamente reagire… Di “umani” ne ho trovati pochi.


 

Riuscivi a sapere qualcosa della tua famiglia o a far loro sapere qualcosa di te ?

Per diversi anni, dopo l’Albania, non era possibile sapere nulla e neppure far sapere dove ci trovavamo. Ho saputo dopo che mia mamma aveva quasi perso la speranza di rivedermi vivo…

 

 

                  

 

Ma la guerra finalmente è finita …

Si percepiva nella primavera del ’45 che qualcosa stava succedendo, poi la radio ha dato notizia dell’armistizio e subito c’è stato il rompete le righe.

E’ stata un’avventura anche il ritorno. Ricoperto di quello che ero riuscito a trovare, un berretto e una blusa ungherese, dei pantaloni francesi, a piedi scalzi, sono arrivato con gli altri al confine con l’Italia, dove abbiamo trovato dei volontari con dei camion che ci hanno portato a casa. In luglio sono arrivato a Lecco e mi sono avviato a piedi per salire in Valsassina; mi hanno raggiunto prima uno di Introbio, che capendo che ero uno dei prigionieri che rientravano mi ha dato un passaggio col suo carretto, e poi una persona che lavorava alla Cademartori che con la moto mi ha portato fino a casa.

Mia mamma, quando le hanno detto che ero arrivato, dall’emozione non riusciva neppure a scendere le scale…

 

E la vita continua…

Avevo 28 anni e a casa c’era bisogno. Mia sorella, che si era sposata nel 1938, col marito Renzo Pigazzi ormai si stava trasferendo alla “Bassa”: prima a Gaggiano poi a Lacchiarella; i suoi figli, ne ha avuti cinque, vivono ora a Rozzano.

Io ho iniziato a lavorare alla “calchèra”, presso il Ponte di Chiuso, a cuocere la calce. Poi come un po’ tutti allora ho fatto i lavori che trovavo: dal taglialegna con Enrico (papà del Tonino), Tognèto (della Malpensata, fratello dell’Ambrogio), Merlo Marco (poi andato in America); all’operaio in Fonderia (a Lecco alla Bonacina) per alcuni anni; alla “guardia notturna” presso la Ditta Mauri nel 1953. Presso la stessa Mauri mi sono trasferito con la famiglia nel ’56: io facevo la guardia notturna e mia moglie si occupava della portineria.

“Io ero già stata anche prima fin dal 1939 alla Mauri – aggiunge la moglie Colombo Giacomina – come cameriera dalle signore Lucia e Pina. Eravamo in sette allora come cameriere nelle diverse famiglie “Mauri”…”

Infine ho fatto il muratore con alcune Imprese; da ultimo presso Galbani Simone (Simonìn) fino a quando ho compiuto i 60 anni (nel 1977) e sono andato in pensione …


Qual è il ricordo più frequente degli anni della prigionia

La fame soprattutto; quando provi per tanto tempo la fame non puoi dimenticarla! E poi anche il trattamento disumano.
Ricordo un episodio che mi fa ancora male: la sera di Natale del 1944 arrivarono alla nostra casa alcuni tedeschi completamente ubriachi; noi eravamo nelle brande, nudi, perché ci toglievamo sempre i vestiti che erano infestati da pulci e pidocchi. I tedeschi, per loro divertimento, ci hanno costretto ad uscire tutti fuori all’aperto, nudi e al freddo, per più di un’ora…

 

Abbiamo iniziato con la tua famiglia. Dopo la liberazione anche tu hai “messo su” famiglia…


Mi sono sposato nel 1950, come testimoni c’erano Millo Merlo e Bruno Colombo, che non erano neppure maggiorenni ma il parroco don Cima s’è accorto solo dopo…Quest’anno festeggiamo il sessantesimo anno di matrimonio: sono nate due figlie, Bruna e Mirella, e poi due nipoti, Ilario e Cinzia, e ultimamente anche due pronipoti, Cristina e Simone.

 


Lo dice con orgoglio Ernesto, assieme alla moglie Giacomina, e aggiunge:

Sono proprio fortunati di vivere in questo tempo; speriamo possano continuare la loro vita in un mondo di pace e che non facciano mai l’esperienza della guerra.

Una persona serena, giovanile nonostante i 93 anni compiuti, si concede di tanto in tanto delle battute spiritose, chiede conferma alla moglie Giacomina se non ricorda bene qualcosa.

Oggi pomeriggio” – mi confida la sera del 9 febbraio quando ritorno a trovarlo per riportargli alcune foto – con un amico un po’ più giovane di me, ho voluto ripercorrere il sentiero detto… (quello che va da Baiedo alta alla zona delle Casere a Pasturo). Si vede che non passa più nessuno, è proprio lasciato andare… Ho fatto fatica, penso di non passarci più, ma sono contento di esserci andato oggi…


Si vede l’orgoglio nei suoi occhi mentre racconta, ed anche quello della moglie che pure lo rimprovera bonariamente “Non sono cose da fare alla sua età…” assieme alla figlia Mirella, da poco giunta a casa dal lavoro.                                                                         

                                                           

                                                                                                    Guido


IL GRINZONE n. 34