PLATTI 'MARTINAI': LE TRE SORELLE
Trovare un momento in cui le sorelle Platti sono libere è “un’impresa”: la loro giornata è veramente scandita da incombenze diverse a partire dalle 4.30/5.00 del mattino fino a sera: “In stalla si finisce verso le nove, poi ceniamo e dopo si dà un’ultima occhiata alle mucche e si sistemano i taleggi”.
Mariuccia (83 anni), Teresa (79 anni) e Giuseppina (75 anni) da sempre hanno lavorato nell’azienda agricola: prima con tutta la loro famiglia, poi col fratello Nino e infine col nipote Natale Baruffaldi (figlio di Mariuccia) che, con la moglie Antonella, è l’attuale titolare. A vedere quanto e come lavorano non si darebbe loro l’età che invece, con molta semplicità, dichiarano di avere.
Ciascuna ha dei compiti precisi: Mariuccia, da sempre si può dire, si occupa delle faccende di casa; Teresa della lavorazione del latte e Giuseppina dell’aiuto in stalla.
La famiglia Platti, originaria di Pasturo, come altre nello scorso secolo svernava con la mandria nella bassa milanese, in particolare a Bernate Ticino, e saliva all’alpeggio di Biandino (acquistato nel 1870) da giugno a settembre. Il rito della transumanza in realtà era iniziato molto prima, coi bisnonni, che avevano la cascina a Novara e “caricavano” l’alpeggio di Varrone.
Il papà Natale Platti, nato nel 1901 e sposatosi con Ticozzi Giovanna nel 1931, questa vita da “pendolare” l’aveva per così dire nel sangue; gli piaceva molto Pasturo (e Biandino) ma era molto legato a Bernate: “Finirà che ci trasferiamo definitivamente qui in pianura” diceva spesso in casa.
Oltre alle tre figlie, in famiglia c’erano anche due fratelli, Michele e Nino. Il primo, nato nel 1938, alla fine degli anni sessanta si è sposato con Irma Bellati di Premana ed ha attivato una propria azienda agricola a Pasturo, pur continuando a condividere con le sorelle l’alpeggio in Biandino. Nino invece, nato nel 1944, durante il periodo militare, probabilmente per delle iniezioni “difettose”, si ammalò seriamente: aveva sempre febbre alta, fu ricoverato per parecchi mesi all’ospedale militare di Torino e curato per “febbre tifoidea”. Il problema però era di tipo cardiaco e quando venne ricoverato in un altro ospedale e fu fatta una diagnosi più corretta ormai era troppo tardi... Poco prima dell’ultimo ricovero programmato, morì mentre tornava a casa dal lavoro nei campi, nell’ottobre del 1974. “Anche un commilitone di Nino - dicono le sorelle - subì per le stesse cause la stessa sorte”.
Alcuni anni prima, nel 1959, Mariuccia si era sposata ed era andata a vivere con la propria famiglia a Cortabbio: “Ma poi siamo venuti ancora a Pasturo, dove abbiamo costruito la casa, e comunque quando c’era da aiutare, soprattutto per la fienagione e all’alpeggio, c’eravamo sempre; i bambini in particolare (Natale e poi Simone) passavano a Biandino tutte le estati”.
Con la loro famiglia ha sempre vissuto anche uno zio paterno, Platti Simone, nato nel 1909 e deceduto per un infarto, mentre assisteva alla Messa della domenica.
Inoltre, dopo la morte del papà, condivideva la vita d’alpeggio Arrigoni Antonio (Tonéla) di Baiedo che aveva sposato una loro zia (Platti Maria, nata nel 1907) e non aveva figli.
Il luogo di nascita delle tre sorelle, come quello dei due fratelli, ha seguito i “ritmi” della famiglia: d’estate a Pasturo sono nati Mariuccia, Michele e Giuseppina, mentre Teresa e Nino sono nati nelle altre stagioni a Bernate Ticino. Qui tutti hanno trascorso l’infanzia, frequentato asilo e scuole e stretto le loro amicizie. Ricordano con nostalgia la vita della cascina: tutti si collaborava e alla sera ci si ritrovava insieme a tavola e il papà Natale, dopo la recita del rosario (non c’era la televisione …), raccontava loro tutto quello che era successo: dagli incontri avuti al mercato ai colloqui col “padrone” della stalla e della tenuta, il dr Antonio Bigatti di Milano. “Costui era una persona buona con la quale il papà trovava sempre gli accordi necessari per la conduzione dell’azienda; era stato anche podestà a Bernate”. Il papà Natale cercava di trovare l’accordo con tutti: “Anche quando c’era una controversia in altre famiglie per problemi di confini o di spartizioni, venivano a chiedere a papà Natale di metterci una buona parola per definire pacificamente le questioni. Per questo la gente di Bernate ci era molto affezionata”.
Condividevano la vita della cascina anche alcuni ragazzi di Pasturo che seguivano l’azienda come “faméi” (1) ; ricordano Ticozzi Carlo (Picèt): “Era molto vivace e quando dopo alcuni anni è tornato a casa, nostro papà ha detto alla sua mamma Maria ‘L’è stata dura dominàl ma adès al se fai un om’”. (2)
Spesso le altre famiglie, che magari per il proprio sostentamento tenevano una o due mucche, in presenza di problemi o per il parto delle bestie o per qualche altra difficoltà si rivolgevano ai Platti come “esperti”, in quanto proprietari dell’azienda più grossa. “Il papà era entusiasta della sua attività, gli piaceva insegnare il mestiere, dava udienza a tutti; a volte – ricorda Teresa – mandava anche me a fare delle iniezioni ai vitelli”. A creare un clima di armonia contribuiva la mamma Giovanna, della famiglia dei “Botoi”: “Lei era forse più legata a Pasturo, ma accoglieva sempre positivamente le scelte del marito. Anche a lei si rivolgevano spesso le donne per chiedere aiuto o un consiglio e lei non si tirava mai indietro. Parlava tranquillamente con tutti ma sapeva anche tacere quando era opportuno e non serbava rancore. Nei limiti delle loro possibilità erano anche molto caritatevoli verso le persone che avevano più bisogno”.
Il papà raccontava loro che quando con la mandria da Bernate arrivavano a Pasturo, prima di andare a Biandino, si fermavano per la notte nella piazza del Comune, dove mungevano le mucche e le donne del paese andavano con i loro recipienti a prendere il latte; “Non c’era neppure bisogno di pulire la piazza perché ci pensavano gli abitanti che raccoglievano il letame per concimare i fiori e gli orti” aggiunge Giuseppina.
Parliamo allora della transumanza: per quanto riguarda la “salita”, considerato che le mucche, dopo un inverno chiuse nella stalla, non erano in grado di affrontare un così lungo viaggio, da Novara a Lecco si utilizzavano i carri bestiame e la ferrovia; con la mandria si saliva poi da Lecco a Pasturo dove ci si fermava alcuni giorni prima di andare a Biandino. Le transumanze più significative, quelle che ricordano in modo particolare, riguardano la “discesa” autunnale, che poteva durare anche più di dieci giorni ed era tutta a piedi, perché anche le mucche erano ben allenate dopo un’estate libere nei pascoli di Biandino. Da lì si scendeva verso la metà di settembre e ci si fermava ancora a Pasturo e in Cornisella dove i Platti possedevano dei prati che pascolavano con la mandria. Solitamente alla fiera di Introbio (fine settembre) il papà si incontrava con gli altri “bergamini” coi quali, sulla base delle condizioni climatiche, della disponibilità di erba ecc., concordava la data della partenza, perché la transumanza coinvolgeva diverse famiglie con le rispettive mandrie. “Quando il papà tornava dalla fiera ci comunicava il giorno in cui saremmo partiti”. Ci si trovava tutti sulla Provinciale nei pressi del Centro Zootecnico e nel tardo pomeriggio, dopo la mungitura, si partiva per la prima tappa, dopo circa 30 km, vicino ad Erba, dove c’era un bel prato, sufficientemente capiente e anche un po’ recintato. Davanti procedevano le bestie e dietro i carretti con le masserizie ed anche i figli piccoli. “C’era la famiglia del Saèta di Introbio che aveva otto figli sul carretto…”. I ragazzi più grandicelli collaboravano nel seguire le mucche o i maiali. “Noi avevamo due carri, uno con l’attrezzatura per la lavorazione del latte e uno, che sotto aveva appesa la “caponèra” con le galline, utilizzato anche come cucina per poter fare la polenta”. Mariuccia aggiunge che “Le donne, per quanto possibile, prima di partire cucinavano qualche gallina o qualche anatra così da aver già pronta la “pietanza” durante il viaggio.
Ogni bambino poi aveva il suo ‘fagotto’ con i propri vestiti. Ci si spostava sempre di notte, con le lanterne, mentre di giorno si rimaneva accampati. Il papà assieme a qualche altro andava avanti con la bicicletta per contrattare l’erba dei prati dove si sarebbero fermati e per preparare la sosta, che poteva durare anche un paio di giorni in base al tempo e alla quantità di erba disponibile”. Accadeva così che quando arrivava la mandria, e si procedeva alla mungitura, c’erano molte persone a prendere il latte; con quello che avanzava si facevano i taleggi e spesso alla tappa successiva si vendevano anche quelli; infatti le famiglie ormai li conoscevano e li aspettavano: “Quando eravamo piccole, capitava che qualche famiglia ci ospitasse nella propria casa per riposare meglio”.
La seconda tappa era nei pressi di Arosio mentre le successive erano a Seveso e a S. Lorenzo, vicino a Parabiago. Qui le varie famiglie si separavano e ciascuno andava alla propria “cascina”, per i Platti a Bernate Ticino. “Questo percorso l’abbiamo fatto tutti gli anni fino a quando c’era anche il fratello Nino” (1974).
Teresa e Giuseppina, dopo la morte dei genitori, hanno continuato l’attività. Non c’è stato neppure il tempo per trovare marito … “Per la verità dobbiamo dire che negli anni sessanta, quando eravamo giovani, abbiamo avuto diversi lutti a breve distanza: lo zio Simone nel ‘65, il papà nel ‘66 e la mamma nel ‘68, oltre al fatto della malattia di Nino; continuare l’azienda non è stato facile ma non ce la siamo sentita di chiudere tutto”.
In quegli anni hanno ridotto l’attività ma non hanno “mollato”, prima col fratello Nino e poi da sole; nel frattempo il nipote Natale, che lavorava alla Ditta Ciresa, dava comunque una mano, prima e dopo il lavoro, fino a quando ha deciso di dedicarsi, assieme alla moglie Antonella, all’attività agricola a tempo pieno. Hanno costruito nel 1996 una nuova stalla che tuttora funziona a pieno ritmo, col supporto degli altri familiari e in particolare delle zie Teresa e Giuseppina, di mamma Mariuccia e anche del fratello Simone quando è libero dal lavoro. Non è mai venuto meno l’alpeggio a Biandino, assieme allo zio Michele, anche se ora la transumanza, che mantiene comunque un proprio fascino, è decisamente più corta …
“Bisogna dire che adesso c’è qualche comodità in più: dall’attrezzatura per mungere ai fuoristrada per portare a valle i taleggi e portare in alpeggio le provviste. Prima si mungevano circa 50 mucche a mano e si doveva portare il latte alla cascina in spalla col ‘bagiol’ (3) e i secchi. Il trasporto toccava a noi, anche da piccole; il papà ci aveva costruito dei ‘bagioi’ su misura ai quali si appendevano dei secchi che, estate dopo estate, erano più grandi e capienti … Dopo la lavorazione del latte si portava a Introbio la ‘pasta’ o i taleggi, e si riportava in alpeggio tutto ciò che serviva, a dorso di mulo. Siccome gli adulti erano tutti impegnati per le attività dell’alpeggio, eravamo noi ragazze, a turno, a dover scendere tutti i giorni in paese col mulo”. E questo con qualsiasi condizione di tempo: “Ricordo – dice Mariuccia – un giorno con un fortissimo temporale che aveva ingrossato tutti i torrenti e in particolare uno che dovevo per forza attraversare. Pioveva a dirotto, c’erano lampi e tuoni, e il mulo si era impuntato e non voleva proseguire. Io piangevo e chiamavo aiuto ma ovviamente nessuno poteva sentirmi. Per fortuna mio papà aveva intuito che potevano esserci problemi e mi è venuto incontro con una corda per legare il mulo ed aiutarlo ad attraversare. Io però non riuscivo perché l’acqua era troppo alta ed ho dovuto costeggiare il torrente per trovare un punto dove finalmente anch’io sono riuscita a passare. Ma che paura!”
Negli anni settanta si è cominciato a portare la pasta per i formaggini alla Ditta Mauri (per un paio di stagioni, quand’ero studente, sono salito anch’io due volte la settimana a Biandino con la jepp per effettuare il trasporto - ndr). “Nostro padre aveva sempre avuto un buonissimo rapporto con l’Angelo Merlo (il papà di Millo, della ditta Mauri - ndr) che stimava molto … Del resto cercava di avere buoni rapporti con tutti ed era contraccambiato”.
Ci sarebbero molti ricordi ancora... I nonni hanno fatto un “lascito” con l’impegno a “mantenere un prete che stesse a Biandino e celebrasse le Messe dalla fine di giugno, festa dei S.S. Pietro e Paolo, alla seconda domenica di settembre”. Infatti presso la Chiesa ci sono dei locali dove alloggiare e una trattoria per i pasti. Nei primi anni per questo saliva un gesuita, poi un passionista e successivamente anche un prete legato alle parrocchie della Valle. In realtà ora la S. Messa si celebra solo la domenica.
Quando si va a Biandino d’estate non si può non passare dai “Martinài”: la loro accoglienza è proverbiale. Ne sapeva qualcosa anche don Tullio che tutti gli anni saliva a trovarli ed era il benvenuto.
Guido
(1) Faméi: aiutante nei lavori della stalla
(2) “E’ stata dura educarlo ma adesso è diventato un uomo”
(3) Bàgiol: legno ricurvo con cui si trasportavano i secchi posti alle due estremità
IL GRINZONE n.55