MI HANNO ASSEGNATO AL CORPO DEI BERSAGLIERI...
Alla “Malpensata”, sulla via Provinciale, incontro Galbani Ambrogio, classe 1924: non ricorda volentieri gli anni della guerra e della prigionia, non vorrebbe parlarne... Gli piace invece soffermarsi, con molta semplicità, sulla sua famiglia: sposato da 56 anni con Angela, sei figlie e un figlio (era il quinto: quando hanno telefonato dall’ospedale di Bellano per dire che era nato ed era un maschio, non voleva crederci …), tutti sposati, quindici nipoti e – prossimamente - il primo pronipote. Non può che essere orgoglioso ma non lo dà a vedere. Dopo un buon caffè, corretto sambuca, siamo pronti per l’intervist.
Da dove cominciamo ?
Non avevo ancora compiuto 19 anni quando sono dovuto partire per il Distretto di Como. Non è arrivata la famosa cartolina della leva; c’era un AVVISO esposto in Piazza che disponeva che i giovani nati nel 1924 col cognome che iniziava dalla A alla G dovevano partire il tal giorno. Era il mese di agosto del 1943; di Pasturo o di altri paesi della Valle non ho incontrato nessuno quando sono arrivato a Como.
E poi ?
Mi hanno assegnato al corpo dei Bersaglieri, non so perché, e mi hanno subito inviato a Bolzano. Erano passate poche settimane quando l’8 settembre la nostra caserma fu presa dai tedeschi che sono arrivati con un’autoblindo; i nostri ufficiali se n’erano andati tutti ed eravamo allo sbando per cui non riuscimmo neppure ad opporre alcuna resistenza. Ci radunarono tutti nel piazzale e ci condussero alla ferrovia mettendoci su una “tradotta”. Non si sapeva dove saremmo andati…
Cosa ricordi di quei momenti ?
La cosa che mi è rimasta impressa è che il giorno prima con le persone del posto parlavamo tranquillamente in italiano mentre quel giorno sembrava che nessuno capisse più la nostra lingua: l’unica lingua che si sentiva era il tedesco. Comunque ci portarono in un campo di concentramento in Austria: le condizioni erano veramente brutte, oltre alla fame ricordo la quantità di pulci che ci saltavano addosso. Per fortuna, si fa per dire, dopo alcuni giorni sono stato scelto assieme ad altri per andare a lavorare in una fabbrica di aerei, alla periferia di Vienna: lì occorreva lavorare, il cibo era scarso ma posso dire che almeno si riusciva a sopravvivere. Da mangiare ci davano crauti bolliti nell’acqua ed una pagnotta al giorno da dividere in sette: si facevano le sette parti cercando di farle uguali e poi, per evitare che ciascuno cercasse di prendere la parte con qualche grammo in più, si sceglieva la propria fetta con gli occhi bendati… Ho avuto anche un incidente con la trancia elettrica ed ho rischiato di perdere un dito. Mi hanno portato all’ospedale anche se mi volevano accusare di sabotaggio, come se l’avessi fatto apposta per non lavorare…
Quando poi hanno bombardato la fabbrica, mi hanno mandato a tagliare legna. I pezzi che venivano poi accatastati dovevano essere rigorosamente di un metro. A dormire eravamo sempre nelle baracche, e i trasferimenti dalla baracca al luogo di lavoro avveniva sempre con i soldati come carcerieri.
Anche lì il cibo era scarso; qualche vecchietto del posto di tanto in tanto ci dava qualche tozzo di pane anche se non vivevano neppure loro nell’abbondanza. Ricordo che quando suonava l’allarme andavamo a nasconderci nel cimitero perché ci dicevano che lì non avrebbero bombardato; invece le bombe cadevano anche lì in mezzo alle tombe …
Sei rimasto molto tempo in Austria ?
Diversi mesi; poi sono stato trasferito in Danimarca, da dove mi hanno inviato in Polonia sul fronte Russo. Il nostro compito era quello di preparare le trincee e i camminamenti ma, non molto tempo dopo essere giunti sul posto, ci siamo accorti di essere entrati in una “sacca”, circondati dai soldati russi. In una ventina siamo riusciti a raggiungere un paesino che aveva una bandiera bianca che sventolava e ci siamo nascosti in una cantina, in mezzo a dei sacchi di patate. Quando sono comunque arrivati i russi ci hanno trovato; per fortuna siamo riusciti a far loro capire che non eravamo tedeschi ma italiani ed allora ci hanno portati dietro le linee di combattimento verso la Russia. Ci hanno trattato meglio rispetto ai tedeschi: pur essendo sempre prigionieri, ci trattavano come i loro soldati. Ogni mese ci davano 15 sigarette che io riuscivo a dare ad alcuni operai polacchi in cambio di una “ruota” di pane: la fame arretrata era così forte che il pane era divorato tutto in un attimo rischiando sempre di star male. Con altri soldati sono stato mandato in un campo dove si curavano i cavalli feriti nei combattimenti; io dovevo misurare loro la febbre …
Durante la prigionia riuscivi a comunicare con i tuoi a casa ?
All’inizio e per molto tempo no, poi nell’ultimo periodo sono riuscito a mandare e ricevere qualche lettera.
E intanto la guerra era finita …
Solo nell’autunno del 1945 i Russi ci hanno permesso di prendere il treno che ci ha portati a Verona: qui ci hanno dato un vestito nuovo, togliendoci gli stracci che avevamo addosso, e ben 2.000 lire. Io non avevo quasi neppure visto come erano fatte le mille lire e mi sembrava una cifra enorme, ma quando ho acquistato un pettine a 200 lire mi sono accorto che i soldi non valevano più come quando ero partito … A Verona ho incontrato – dopo anni che non vedevo nessuno – due pasturesi: Invernizzi Giacomo (Méto) e Bergamini Giovanni (Moscòn). Un’altra “tradotta” ci ha portato a Milano, poi col treno a Lecco e finalmente con la corriera a Pasturo. Era il mese di ottobre 1945.
Nel 1960 l’Esercito Italiano mi ha poi consegnato la “Croce al merito di guerra”.
Come hai trovato il paese al tuo ritorno ?
Prima ho incontrato mio fratello Antonio (Tognèto) che era venuto alla fermata della corriera ad aspettarmi; poi ho saputo che l’altro mio fratello, Martino, che era partito prima di me per la campagna di Russia, non era ritornato … A casa poi mi aspettavano la mamma (il papà era morto quando avevo solo 2 anni) e le sorelle. Ho dovuto quasi subito mettermi a lavorare, e sono stato assunto dal Pepino (Citàc), dove ho lavorato fino alla pensione. Il 1 marzo 1952 mi sono sposato…
Hai poi ritrovato qualche compagno di prigionia ?
Dopo circa 30 anni, Ivo Forghieri di Modena, è venuto a trovarmi con un altro di Verona; non so perché ma durante il periodo militare, per un errore di trascrizione, avevano cominciato a chiamarmi Giorgio, per cui questo mio amico, che è stato con me da quando eravamo nella caserma di Bolzano fino alla liberazione, è venuto a cercarmi con due soli indizi: che abitavo nel lecchese alla “Malpensata”, ma senza sapere il paese, e che mi chiamavo Galbani Giorgio. Non è stato facile – mi ha poi raccontato – ma la sua voglia di ritrovarmi ha avuto la meglio. All’inizio ha trovato la “Malpensata” a Lecco, ma non vi abitava nessun Galbani; “Un cognome così lo trovi in Valsassina a Pasturo”, gli hanno detto. E’ arrivato a Pasturo ed era agosto e c’era la “Sagra delle Sagre”. Chiedendo di un Galbani Giorgio nessuno sapeva indicare dove abitasse, finchè Francesco (Cèco) Ticozzelli, saputo che si trattava di un bersagliere, ha capito che il nome era sbagliato e gli ha indicato la Malpensata e così mi ha trovato.
In effetti di bersaglieri a Pasturo ce n’erano pochi …
Per quanto mi ricordo io c’era solo Felino (Bergamini Avellino), Orlandi Romolo, Ticozzi Giacomo e il sottoscritto. Comunque da allora con i miei compagni ci siamo visti parecchie volte ed è sempre bello quando riusciamo ad incontrarci.
Anche il nome della “Malpensata” ha contribuito a far sì che il tuo amico di Verona ti ritrovasse.
Prima qui c’erano delle casere per i formaggi poi, nel 1925, mio papà e mio zio Giuseppe le hanno acquistate e le hanno ristrutturate come abitazioni: da allora ho sempre abitato qui.
Un’ultima curiosità: perché a Pasturo a volte ti chiamano “Bartali” ?
E’ capitato per caso, usavo sì la bicicletta anche perché la mia casa è abbastanza fuori dal paese, ma non ho mai fatto gare o simili. Un giorno il Nani Mantovan (Giovanni Merlo) mi ha detto “Io sono Coppi e tu Bartali” e da allora hanno cominciato a chiamarmi anche così …
Guido
IL GRINZONE n. 25