LA RETATA
Su uno dei numeri precedenti abbiamo riportato alcune notizie su quanto avvenuto a Pasturo durante la Resistenza. Fra l’altro si parlava in particolare di una “retata” dei fascisti e dei tedeschi, che avevano prelevato anche dodici giovani di Pasturo nell’ottobre 1944. Abbiamo chiesto a Battista Merlo e ad Ernesto De Martini, che ringraziamo, cosa ricordano di quei giorni.Purtroppo Battista Merlo non ce l’ha fatta a rileggere quest’intervista, che ci ha lasciato come ricordo.
Cosa ricordate dell’autunno del 1944?
Battista. Avevo combattuto in Francia, dopo l’arruolamento avvenuto il 10 marzo 1940.
Dalla Francia dopo l’8 settembre 1943 ero tornato a casa a piedi con altri commilitoni, seguendo la ferrovia per sapere la direzione ma stando sufficientemente a distanza per non farci scoprire. Mangiavamo ciò che riuscivamo a trovare nella campagna. Una volta a Pasturo e soprattutto dopo l’estate del ‘44, si andava a dormire in posti diversi tutte le sere per paura di essere presi dai tedeschi. Io andavo spesso nella casa “dei Marion” a Baiedo, assieme ad altri. Nel frattempo, tramite mio fratello Giovanni ho iniziato, assieme ad altri che come me erano rientrati dal fronte, ad andare a tagliare legna in modo regolare, alle dipendenze di uno che chiamavano “Ratot”: ero libero quindi di girare anche in paese. Una mattina, che era ancora buio, nell’ottobre del ’44 mi trovavo a letto qui a casa quando sono arrivati i fascisti coi tedeschi e mi hanno preso e portato in piazza dove mi hanno caricato su un camion, sul quale già c’erano alcuni del paese; altri ancora stavano portandoli lì; ci hanno presi così com’eravamo: non c’era neppure il tempo di prendere qualcosa o di salutare … Col camion poi abbiamo fatto il giro anche degli altri paesi sempre per prelevare gli uomini che trovavano. Ricordo che a Maggio c’era un giovane, vestito “della festa”, che era arrivato da Milano per trovare la “morosa” ed era lì in strada che l’aspettava: i fascisti hanno caricato anche lui senza sentire ragioni. Ricordo che si chiamava Mereghetti. Ci veniva anche da ridere se la situazione non fosse stata così tragica. Di Pasturo eravamo in dodici.
Ernesto. Io allora non avevo ancora 18 anni e lavoravo in un’officina a Lecco, dove riparavamo auto anche dei tedeschi. Pur essendo “renitente” alla leva, sembrava non mi facessero niente. Quella domenica ero venuto a casa ed ero lì in piazza quando sono arrivati i tedeschi e mi hanno preso. Per alcuni giorni dovevo andare tutte le mattine a firmare un foglio al comando tedesco che era presso il Comune fino al giorno in cui mi hanno caricato su un camion, dove già c’erano altri pasturesi fra cui mio fratello Eusebio, e dopo aver fatto il giro della valle a “caricare” altri uomini ci hanno portato a Bellano.
Battista. A Bellano siamo stati presso il cotonificio: dopo qualche giorno ci hanno incolonnato coi soldati che ci scortavano e ci hanno caricato sul treno e siamo partiti senza sapere dove andavamo.
Ernesto. Lì a Bellano hanno fatto l’appello e qualcuno l’hanno rimandato a casa. Per noi invece c’era pronto un carro blindato di un treno merci per portarci via.
Battista. Dopo il treno ci hanno caricati ancora sui camion e siamo arrivati in un posto che non conoscevamo, però ho sentito una persona che vedendoci ha detto “Por bagai, i va in preson”. E difatti ci portarono a San Vittore a Milano.
Cosa ricordate della permanenza a S. Vittore?
Battista. E’ stato il periodo più brutto, eravamo in molti, noi dodici di Pasturo ma anche di altri paesi in una cella di 4 metri per 2, con un buco in un angolo per i bisogni; si dormiva in piedi appoggiati al uro o sdraiati per terra se si trovava un po’ di spazio. Ricordo (gli vengono le lacrime agli occhi) anche l’Ernesto che aveva solo 17 anni e non aveva nulla per coprirsi un po’, perché anche lui, come gli altri, era stato preso così come l’avevano trovato.
Nonostante tutto qualcuno cercava di farci stare un po’ allegri; il Pozzi di Introbio di notte faceva il canto del gallo; una volte “Giusepp de l’Amabile” aveva messo la testa fuori dalle sbarre e poi non riusciva più a tirarla dentro… Usebi (Eusebio De Martini) che balbettava un po’ e chiedeva un posto per sedersi ma dovevamo fare i turni. Nonostante tutto riuscivamo anche a ridere un po’.
Ernesto. Ricordo la cella molto piccola per cui non potevamo neppure sdraiarci tutti insieme per dormire … C’era il Nando (Ferdinando Artusi di Baiedo) che era proprio un bonaccione e lo prendevano un po’ in giro. Un giorno ci chiamano a rapporto, io e mio fratello: era venuta a trovarci la contessa Pozzi e ci dice che sta cercando di evitare che ci trasferiscano in Germania, tutto il nostro gruppo.
Battista. Siamo stati lì 23 giorni, poi ci hanno portato al Tonale per scavare le trincee. Ricordo che c’erano quasi due metri di neve e a dormire andavamo in qualche stalla. Ci hanno anche mandato a tagliare legna ed aiutavamo i contadini che c’erano nella zona del Tonale e loro ci davano qualcosa da mangiare e anche qualche coperta. In mezzo alla neve l’Ernesto che aveva solo delle scarpe basse, non ce la faceva più. Ricordo che aveva la febbre alta e noi non sapevamo cosa fare. Sto male ancora adesso a pensarci. Noi poi eravamo tutti pieni di pulci. Un certo Pozzi, di Introbio, ci ha detto che ci avrebbe aiutato e ci avrebbe fatto avere un permesso per tornare a casa.
Ernesto. Quando ci hanno trasferito da S. Vittore, non sapevamo dove ci portavano. Sul treno, a Rovato (BS), siamo stati attaccati dai partigiani e allora i tedeschi ci hanno fatto evacuare in una trattoria. Il Pozzi, che aveva dei soldi, riuscì a farsi dare da mangiare per tutti. Poi col camion ci hanno portato al Tonale e ci hanno consegnato a quelli della TOTAL (così venivano chiamati) che ci facevano lavorare. C’era la neve alta e io non riuscivo a camminare; per fortuna alcuni dei miei compagni mi hanno preso in spalla e mi hanno portato in una stalla dove ho potuto riprendermi un po’. Un impiegato della TOTAL conosceva mio papà e ci ha aiutato ad avere un permesso di otto giorni per tornare a casa per sistemarci perché stavamo tutti piuttosto male.
Battista. E così noi 12 di Pasturo, sempre a piedi, siamo scesi a Edolo e poi saliti all’Aprica. Lì c’era un’osteria che ci ha accolto, ci ha dato alcune sigarette e ci ha fatto prendere il pulman fino a Berbenno, dove abbiamo preso il treno fino a Bellano. Il Pozzi faceva recitava la corona del rosario, anche per darci un po’ di coraggio.
Ernesto. Non è stato facile perché da una parte c’erano i tedeschi da cui non volevamo farci prendere e dall’altra i partigiani che appena potevano attaccavano il treno.
Battista. Da Bellano abbiamo dovuto venire a Pasturo a piedi, cercando anche di non farci scovare. Siamo arrivati a Pasturo in dicembre, prima di Natale.
Ernesto. Siamo arrivati a Pasturo una domenica mattina.
Battista. Dovevamo comunque continuare a stare nascosti e di sera abbiamo continuato a cambiare posto per dormire.
Ernesto. Io il giorno dopo essere arrivato a Pasturo, per evitare che arrivassero ancora a casa a cercarmi, col rischio di trovare anche mio fratello, sono andato a Crema (dove lavorava mio cognato Beccalli) e mi sono arruolato, rimanendo lì a fare il militare fino al 25 aprile dell’anno dopo (1945).
Ho sentito parlare di alcuni che lavoravano alle miniere ai Resinelli...
Battista. Sì, c’erano gli operai del Pozzi (l’avvocato, padre di Antonia) che essendo un capo dei fascisti era riuscito a far evitare a tutti i suoi operai la guerra, perché lavoravano nelle miniere.
Ma a S.Vittore è intervenuto il Pozzi per farvi rilasciare?
Battista. Forse sì. Ricordo che era venuta a trovarci Donna Lina (la moglie dell’avvocato Pozzi) che è riuscita a farci uscire di prigione per andare a scavare le trincee, e così ci ha evitato il trasferimento in Germania, dove invece sono stati portati molti di quelli che erano insieme a S. Vittore. Lei aveva il cuore più umano di quello del marito e forse non sopportava di vedere quelli che lavoravano per loro rimanere a casa e gli altri invece essere deportati.
Ernesto. Se non fosse arrivata la contessa Pozzi, saremmo partiti per la Germania, come molti altri. Quando siamo arrivati noi a S. Vittore, abbiamo incontrato alcuni che stavano proprio partendo per la Germania, fra cui anche “Giusep dei Vedova”, che però poi è riuscito a scappare alla stazione di Verona.
Qual è il ricordo più brutto?
Battista. Sicuramente quando eravamo a S. Vittore e non sapevamo niente di quello che ci sarebbe successo e le voci che giravano non ci tranquillizzavano.
Ernesto. Quando siamo partiti da S. Vittore e non sapevamo dove ci portavano. E poi mentre gli altri avevano già fatto il militare e la guerra, io ero solo un ragazzo e non ero abituato a cavarmela in quelle situazioni. Devo ringraziare i miei compagni, in particolare due uomini di Pagnona, che mi hanno preso sotto la loro protezione. La cosa bella è che ci siamo sempre sostenuti ed aiutati tutti e siamo sempre stati insieme. Il Pozzi e il Mereghetti erano quelli che cercavano di tenere alto il morale, nonostante tutto.
Guido
IL GRINZONE n.14