PARTIAMO DA UNA FOTOGRAFIA...

 

Trovo Invernizzi Pio, come sempre, sulla sua sedia a rotelle (che l’accompagna ormai da diversi anni) mentre la moglie riposa sul divano. Un’intervista più volte proposta ma per diverse motivi sempre rinviata. D’altra parte il racconto di Pio è troppo interessante per lasciarmelo ancora sfuggire…

 

Partiamo da una fotografia, scattata in occasione della festa del 4 Novembre del 1961, in cui si vedono quattro fratelli …

Per la verità i fratelli erano sei. Uno, il più giovane, che si chiamava come me, Virgilio Pio, era nato nel 1899 e ad appena 18 anni fu chiamato a Lecco per la visita di leva; ci andò col cavallo ma non tornò a Pasturo: riconosciuto abile, fu inviato direttamente al fronte e così dovette consegnare il cavallo ad altri perché lo riportassero a casa. Purtroppo sul monte Grappa, mentre portava i viveri ai soldati della prima linea, fu colpito da una granata e morì.
Nella foto manca anche Francesco (nato nel 1894). Anche lui aveva partecipato alla prima guerra mondiale ed era stato al fronte per ben quattro anni; tornato a casa, negli anni venti, mentre si trovava nella zona di Brunino, sul limitare del bosco, e si è abbassato per allacciarsi una scarpa, la fucilata di un cacciatore lo colpì in pieno volto rendendolo completamente cieco. Ha passato molti mesi in Ospedale ed alcuni anni presso la Casa del cieco a Civate; tornato a casa ha sempre vissuto col fratello Giuseppe.

 

Sei fratelli, figli di Giacomo

Mio nonno era Giacomo Invernizzi, che aveva sposato Invernizzi Maria (dei “Vèdova”), morta purtroppo molto giovane nel 1904 lasciando il marito con i sei bambini piccoli. Durante la prima guerra mondiale tutti e sei erano al fronte mentre a casa c’era il papà Giacomo assieme a due nuore e cinque nipoti …
Un fratello di Giacomo era sacerdote (don Antonio Invernizzi) e parroco di Concenedo. Nel piccolo cimitero c’è ancora la lapide in suo ricordo.
Un altro fratello, Giuseppe, aveva pure diversi terreni ma i figli, che per diversi motivi non hanno continuato la tradizione contadina, gradualmente li vendettero: la zona di “Rompèda” ai “Bicochìn”, la zona “Arèi” (vicino al Pialeral) ai “Cichè” (ora è di Faccinetto).
La morte di Giuseppe non è stata molto chiara.

 

Ma torniamo alla foto...

Il fratello maggiore (il primo da destra nella foto) è Giorgio (nato nel 1886). Sposatosi con Merlo Antonietta (la “levatrice” del paese, prima di Selva Liana), ebbe due figli: Giacomo (il papà di Giorgio, Ezio, Graziosa, Antonia e Remo) ed Angela che andò a Cernobbio come ostetrica. Abitava nella casa vicino al cimitero ed ha sempre fatto, come tutti gli altri, il “bergamino”, con le mucche e la produzione di taleggio.

Il secondo dei fratelli (nella foto è il 2° da destra) è Giuseppe (nato nel 1888). Sposatosi con Invernizzi Giuseppina (dei “Vèdova”) ebbe tre figli: Maria, sposatasi a Lecco; Giovanna che aveva sposato Ticozzi Alessio (i genitori di Giuseppe e Mario); e Giacomo, che ha sposato una sorella di Pio, Invernizzi Giacomina (genitori di Giuseppina, Maria, Antonio, Eva e Francesca). Ovviamente anche Giuseppe ha sempre svolto l’attività di “bergamino”, così come il figlio Giacomo ed ora il nipote Antonio.

Il terzo è Natale, classe 1892. Si è sposato con Ticozzelli Elisabetta (dei “Brachìtt”) ed ha mantenuto la sua attività di allevatore e produttore di formaggio coadiuvato dai figli Giacomo (detto Méto, che ha sposato una sorella di Pio, Santina; sono i genitori di Annamaria, Natalina, Antonio, Teresina e Graziella); Carlo, Giovanni e Marino. Un altro figlio morì a soli 8 anni, poco dopo la guerra, a causa dello scoppio di una bomba a mano che aveva trovato mentre accompagnava il fratello Giacomo a “far foglia” nel bosco.

 

E veniamo ad Antonio (nella foto è il 4° da destra), classe 1897, il papà di Pio.

Ha sposato Ticozzelli Eva (“Omìt”), la prima di ben 10 tra fratelli e sorelle, ed ha avuto tre figli (altri due sono morti da piccoli): Virgilio Pio (l’intervistato ndr) nato nel 1926; Giacomina nata nel 1930, sposa di Giacomo (di Giuseppe) e Santina nata nel 1933, sposa di un altro Giacomo (di Natale).


 


Conosciuti brevemente i sei figli di nonno Giacomo, perché come soprannome vi chiamano “Giorgiòn”?

Anche prima di mio nonno, per quanto ne so, venivamo indicati come “Giorgiòn”; certamente fa riferimento ad un capostipite, Giorgio, che però non so collocare in che epoca sia vissuto. Di fatto il nome Giorgio ricorre molte volte, così come Giacomo e Antonio.

 

Anche tu hai continuato la tradizione della famiglia Invernizzi…

Fin da piccoli ci si trovava inseriti in quella tradizione: accudire le bestie, lavorare il latte, tagliare l’erba, fare il fieno. Ad esempio in prima elementare, siccome dopo pochi giorni dall’inizio della scuola la mia famiglia doveva “andare alla bassa” perché lì c’era ancora erba nei prati, a Melegnano, anch’io dovetti seguirli. Ho ripreso scuola solo dopo il ritorno a Pasturo ma ovviamente non fui promosso, visti i mesi di assenza. Gli anni successivi, pur dovendo sempre aiutare in stalla prima di andare a scuola ed anche nel pomeriggio, rimanemmo a Pasturo e quindi sono sempre stato promosso. Come maestri ho avuto il Pezzati e la maestra Bambina (sorella di don Giovanni Ticozzi. ndr). Se un maestro adesso fosse severo ed usasse i metodi di allora, andrebbe sicuramente in prigione … Anche i ragazzi però erano testardi … Ricordo che una volta, in terza elementare, la maestra Bambina ha dato un ceffone, facendogli picchiare il naso contro la lavagna, a un mio compagno perché non aveva studiato; quest’ultimo da quel giorno non ha più voluto venire a scuola e non ha più frequentato … D’altra parte un po’ tutti avevamo la scuola ma soprattutto dovevamo aiutare a casa.

 

Dopo la prima elementare non siete più andati alla bassa perché avevate le famose marcite”? (1)

In effetti quel prato permetteva fino a 7 tagli all’anno. Già a marzo si raccoglieva la prima erba dell’anno per le mucche. Quel terreno, venduto all’asta giudiziaria dopo il fallimento Doniselli, proprietari anche del “cannatoio”(2) , fu acquistato da mio nonno. Era presente all’asta anche Platti Michele (“Martinai”, nonno dell’attuale Michele) che pure era interessato all’acquisto. Mio nonno, non volendo “giocare al rialzo” perdendoci entrambi, ha preso 50 lire e ha detto al Michele: “Se lasci l’acquisto a me, prendi le 50 lire e te ne vai; oppure metti qui 50 lire e me ne vado io”. Michele ha preso le 50 lire e mio nonno ha acquistato la marcita e le altre proprietà.

 

La tradizione contadina è continuata ma da piccolo…

All’asilo sono andato solo una decina di giorni. Un giorno mi sono fatto male e da allora mi sono rifiutato di tornarci. Appena ho potuto invece ho fatto il chierichetto per cui prima della scuola andavo a servire Messa a don Riccardo Cima, che mi voleva molto bene. Sono stato chierichetto fino a 14 anni, assieme a Carozzi Aldo e Ticozzi Carlo (Picèt). In quel tempo quando suonavano le campane si capiva bene quale era il motivo e cosa si voleva comunicare: se suonava la seconda (la campana, in ordine di grandezza. ndr) significava che c’era il medico e chi ne aveva bisogno si affrettava all’ambulatorio; se invece suonava la terza e la quarta voleva dire che si “portava il Signore” a qualche ammalato: come chierichetto dovevo andare davanti suonando il campanello mentre dietro veniva il prete e il sacrista che portava il baldacchino …

 

Mi risulta che non hai fatto solo il chierichetto …

E’ vero, a 18 anni sono entrato nel gruppo dei Confratelli, che allora erano circa una sessantina ed avevano compiti molto precisi. Si partecipava alla recita dell’Ufficio la domenica prima della Messa delle 10 e soprattutto c’erano le processioni durante le quali avevamo la divisa, camice bianco col cordone e rocchetto rosso; oltre a quelle solenni del Corpus Domini e della Madonna della Cintura, c’era la processione col Santissimo ogni terza domenica del mese. Coordinatore era Pietro Bergamini (della Lisa) che aveva anche il compito di segnare le presenze sulla tabella appesa in sacrestia. Per molti anni ho fatto il “priore” mentre vice-priore era Giovanni Miòl; a noi spettava, durante le processioni, portare i bastoni davanti al baldacchino e intonare i canti.
Pian piano i confratelli sono diventati pochi anche perché non si iscrivevano più i giovani e alla fine eravamo rimasti solo in due, io e Giovanni Miòl…
Quando moriva un confratello sopra il feretro si metteva il rocchetto rosso; ho detto ai miei figli che anch’io voglio che me lo mettano.

 

In questi anni hai conosciuto i diversi Parroci di Pasturo.

Mi ha battezzato don Francesco Maroni, che chiamavano “curatìn” perché era piccolo, ma il mio riferimento è stato don Riccardo Cima; con lui ho fatto il chierichetto, sono entrato nella confraternita, mi ha sposato; ricordo che girava per le vie del paese col breviario in mano e se c’era un malato andava sempre a trovarlo. E’ stato una grande figura per il paese.
Poi è arrivato don Tullio: diventato parroco, durante l’estate, si è recato a benedire tutte le cascine che si trovano sui nostri monti. Certo non bisognava farlo arrabbiare; anche sulla puntualità alle Messe non si poteva “sgarrare”: succedeva che qualcuno, piuttosto che entrare in ritardo in chiesa magari perdeva Messa o andava da un’altra parte perché altrimenti don Tullio interrompeva la celebrazione e sbuffava (ed ovviamente tutti gli sguardi erano rivolti al nuovo entrato …). Teneva molto al patrimonio artistico della Parrocchia ma anche ai confratelli; non sopportava però quelli che nel coro chiacchieravano invece di pregare … L’immagine più bella che ho si riferisce a quando, mentre saliva verso la Grigna col Cardinal Martini, si è fermato a bere da noi qui a Onèda. Il rapporto con don Gaudenzio è sempre stato molto bello, e ancora adesso passa a trovarmi quando sale in Grigna. Con lui purtroppo si è chiusa la confraternita perché eravamo rimasti solo in due. Don Leone: difficile parlarne male, arrivava a trovarci e gli piaceva fare festa anche con gli alpini. Adesso c’è don Antonio, lo vedo sia quando viene a portarci la Comunione ma anche quando passa perché spesso va in montagna, soprattutto a S. Calimero. Dei preti posso solo parlare bene…


Hai conosciuto anche i diversi Sindaci … Come ricordi la vita a Pasturo in tutti questi anni?

Non ho mai voluto occuparmi di Comune, mentre invece alcuni dei figli sono stati coinvolti nelle diverse Amministrazioni. Per me era più importante portare avanti la famiglia e l’azienda.
Non ho fatto il militare, sono stato due giorni a Baggio nell’ottobre del ’45 (la guerra era finita) e poi mi hanno rinviato a casa.

Nel 1951 mi sono sposato e la famiglia si è subito ampliata con l’arrivo dei figli: Antonio, Giacomo, Angela, Felice, Marina, Tiziana e Mariarosa. Adesso ci sono anche otto nipoti.
















Tornando a prima, ricordo che si lavorava dal mattino alla sera: ranzèt, restél, forchèt, gèrlo e fraschèra gli strumenti di lavoro per estensioni di prati a volte più grandi di quelli di adesso. Si mungeva solo a mano. Si iniziava alle 4 del mattino e spesso si finiva che era già buio da diverse ore. Tre dei miei figli continuano l’attività dell’azienda agricola e uno fa il commerciante dei prodotti dell’azienda stessa. Adesso hanno nella stalla circa 80 capi, oltre ad una quindicina di un cugino, Remo, che lavora con loro. Nel 2007 Felice ha anche ricevuto dall’Associazione Nazionale Alpini il “Premio Fedeltà alla Montagna”, un riconoscimento importante di cui anch’io sono orgoglioso. Sento che ultimamente ci sono anche difficoltà soprattutto per la burocrazia, l’ASL, l’Europa e quant’altro, oltre al lavoro che è sempre pesante nonostante tutti i macchinari che adesso hanno sia per i prati che per la stalla.

Comunque dei miei figli devo solo parlare bene anche per il rapporto che hanno sempre mantenuto con me e mia moglie. Sia io che mia moglie abbiamo avuto problemi di salute e diversi ricoveri, ma siamo sempre stati accompagnati e assistiti. Nella casa in cui abitiamo (a Onèda), pur con la limitazione della sedia a rotelle e dei vari acciacchi dell’età, riusciamo a muoverci bene e siamo comunque immersi nella natura come ci è sempre piaciuto. Diciamo tutti i giorni le nostre orazioni seguendo RadioMaria e la televisione di Padre Pio…

 


Concludo ringraziando per il tempo e la preziosa testimonianza che Pio mi ha concesso; la moglie Lina, rimasta finora in silenzio, mi dice che anche il marito è contento di poter raccontare …

 

                                                                                                                   Guido

 

(1) - prati irrigati con molti canali artificiali
(2) - filatoio



IL GRINZONE n.49