DALLA VALSASSINA AL CUORE DELLA CINA

 


Il mio viaggio sulla Via della Seta... via terra dalla Valsassina al cuore della Cina.

Erano due anni che sognavo questo viaggio. Un viaggio senza prendere aerei, interamente con i piedi per terra o tutt’al più sul ponte di una nave… un viaggio che è per me il viaggio dei viaggi perché lento, senza tempi imposti, senza nemmeno una rotta definita, solo l’idea di andare verso est seguendo le tracce dell’antica Via della Seta, raggiungere e in parte attraversare il continente che ho imparato ad amare in questi ultimi anni di viaggi, l’Asia.

Il viaggio, come sempre, inizia con le cartine guardate, studiate, memorizzate… Dai libri e dalle guide assorbo qualsiasi informazione mi possa in qualche modo preparare… decido di portare con me una guida sull’intera Via della Seta, un volumetto in edizione economica che farcisco e amplio con appunti… e a inizio estate mi butto nella parte più difficile nell’organizzazione di un viaggio di questo tipo: l’ottenimento dei Visti che mi permetteranno di varcare le frontiere. Alcuni potrò ottenerli strada facendo, altri devo richiederli qui in Italia. Allora ecco che spedisco il passaporto su e giù per il Paese tra Consolati e Ambasciate a Roma, mobilitando amici o tentando la sorte affidandomi alle Poste Italiane… Ed è esattamente nel momento in cui ritiro il passaporto con il visto per l’Iran che capisco che sto per partire per davvero.
Così una sera di fine settembre, lista delle Cose da Portare alla mano, il letto coperto di vestiti e oggetti divisi per genere, inizio a fare lo zaino. Un rito in cui nulla deve essere lasciato al caso! La scelta delle cose che mi accompagneranno per tre mesi in climi diversissimi, il posto che ognuna di esse dovrà avere nello zaino, i libri da portare, gli Immancabili che porto sempre con me e sono diventati quasi degli amuleti, come la camicia della mamma rinominata La Camicia da Viaggio.
L’ultima settimana è un delirio tra saluti agli amici, alla famiglia, la chiusura delle ultime cose di lavoro… ma ce la faccio e la mattina del 29 Settembre, armata di zainone, zainetto, di un biglietto per il traghetto Ancona-Patrasso e di entusiasmo da vendere, entro in stazione Centrale a Milano e parto.

Il primo Paese che visito è la Grecia… Visito per primo il sito di Olympia, una sorta di omaggio al mio lavoro, che amo e in qualche modo mi permette di essere qui. Poi Corinto, Delfi e Atene. L’impressione è quella di rientrare nei libri di storia delle scuole medie, in carne e ossa e con una capacità ben diversa di apprezzare la Bellezza.

Ad Atene scopro che esiste un pullman che porta direttamente ad Istanbul, Bisanzio, Costantinopoli, la Porta d’Oriente, il ponte che collega i due continenti, la città meravigliosa che Alessandro Magno avrebbe scelto come capitale del mondo (“Se il mondo potesse avere una sola capitale, quella sarebbe Costantinopoli”).

Da Istanbul in Cappadocia: una terra lunare, valli aride ma colorate, le formazioni rocciose, uno spettacolo della natura unico al mondo che decido di godermi camminando su e giù per le valli con alcuni viaggiatori conosciuti sulla strada. Dalla Cappadocia mi sposto verso la regione nord-orientale della Turchia, quell’angolo arido di terra che confina con l’Iran, la Georgia e l’Armenia, a cui un tempo apparteneva. Visito le rovine di Ani, un antichissimo insediamento Armeno, importante punto di riferimento lungo la via della seta e rimango così affascinata dalla vastità e dalla bellezza del paesaggio che decido di fare una piccola deviazione a nord ed entrare in Georgia e Armenia prima di varcare il confine Iraniano.

Il Caucaso… che meraviglia! Il giallo e il rosso dell’autunno nelle foreste della Georgia, le chiese ortodosse nel mezzo della steppa armena, i silenzi delle montagne, l’austerità e l’accoglienza dei georgiani, la bellezza e l’orgoglio degli armeni. Imparo le prime parole di russo ma devo presto metterle da parte: da Erevan, una strada con ore di tornanti mi porterà a Teheran, capitale dell’Iran.

L’Iran è il Paese in cui tutto ciò che ci è stato raccontato dai giornali e dalla televisione sparisce e non esiste più. Anzi no, non è vero: c’è, me lo ricordo molto bene, e fa arrabbiare. Perché ci vengono raccontate tante cose false, c’è tanta disinformazione e malinformazione nel senso di informazione falsa in malafede. Il “paese dei terroristi” è in REALTA’ il paese più ospitale in cui abbia messo piede in anni di viaggi, l’unico in cui alla dogana mi è stato detto “Benvenuta”, dove per le strade vengo fermata da persone che mi chiedono se possono parlarmi e accompagnarmi a visitare la città. Ogni giorno faccio incontri, parlo e si fa sempre più luce… ascolto e osservo e imparo che il più grande peccato dell’Iran è l’essere un paese orgoglioso e ambizioso che non abbassa la testa di fronte alle super potenze del mondo perché è esso stesso una potenziale super-potenza, perché ha le risorse, l’intelligenza e il nazionalismo necessari per divenirlo. E questo, ovviamente, non piace… ecco allora che diventa il paese dei terroristi e bla bla bla.

Io VOLEVO vedere la realtà con i miei occhi, un po’ per la presunzione di credere solo a quello che vedo e vivo, un po’ perché non ho mai creduto alla divisione tra Buoni e Cattivi… e ora sono felice di averlo fatto perché mi si sono aperte tante nuove piccole finestrelle nel cervello dalle quali escono le cosette piccole vecchie e false e ne entrano altre, forse altrettanto piccole, mai definitive, ma fatte di momenti vivi.

Con l’Iran nel cuore, entro in Asia centrale e in pochi chilometri cambia tutto: i lineamenti della gente, gli abiti, la lingua, il clima! Turkmenistan, Uzbekistan e Kyrgyzstan sono forse il cuore stesso della Via della Seta: le città di Khiva, Bukhara, Osh…chi non conosce la mitica Samarcanda?

In questi paesi si respira ancora aria di Unione Sovietica: i grandi viali, gli edifici in cemento tutti identici, le case popolari e, fuori dalle grandi città, la semplicità, che talvolta diventa miseria, della vita contadina. Il clima si è fatto rigido, ormai devo indossare più strati degli indumenti più pesanti che ho portato con me. In Kyrgyzstan sperimento la vita a -15° durante il giorno, imparo a camminare, o meglio, a scivolare sul ghiaccio che ricopre strade, marciapiedi, tutto. Gli autobus spariscono: nelle città ci si sposta con le Marshutka, dei minivan “pubblici” da dodici posti mentre per gli spostamenti più lunghi si usano i Taxi; sia gli uni che gli altri sostituiscono il servizio pubblico e partono dalle stazioni quando raggiungono il massimo dei passeggeri, perciò ogni volta che entro in una stazione è un terno al lotto: potrei essere la dodicesima e allora si parte subito, oppure la prima e può essere che debba attendere anche due ore prima che l’auto si muova…


Il Kyrgyzstan è un Paese quasi interamente montuoso ed è attraversato da due grandi strade: una di queste è chiusa per neve la maggior parte dell’inverno, l’altra ha come centro la capitale Bishkek e ovunque si voglia andare si deve viaggiare per ore su una strada simile ad una pista da sci e superare un passo a più di 3000 metri. L’ho fatto due volte e non lo dimenticherò mai.

E non dimenticherò mai la forza, la pazienza, la tolleranza al freddo, ai ritardi, alle attese dei popoli dell’Asia centrale… nessuno si lamenta mai. Sembra quasi ci sia una rassegnazione profonda testimone del passato durissimo di questi popoli.

Infine, dopo undici settimane e uno dei più estenuanti passaggi di frontiera, entro in territorio cinese. Sono nella Cina più sconosciuta, nell’estremo nord-ovest, nel deserto del Taklaman. Kashgar è la prima città che incontro ed è come un balzo indietro nel tempo tra genti di gruppi etnici diversissimi, dall’Asia centrale alla Cina, ognuno con i propri abiti tradizionali. Poi Turpan e Lanzhou da dove decido di inoltrarmi nei territori che facevano parte dell’antico regno del Tibet, fino a Xiahè e il suo monastero di Labrang, il più grande complesso di templi buddisti tibetani fuori da Lhasa (Tibet). Qui conosco tre ragazzi del Qinhai venuti al monastero per studiare la lingua e la cultura tibetana... mi accompagnano per il paese, nei templi, prepariamo e mangiamo insieme la tsampa (pasta fatta con acqua, burro di yak, formaggio di yak e farina d'orzo tostata), imparo come si fanno i tangka buddisti (dipinti) e come si riconosce la lana di buona qualità.

Qui le giornate sono fredde ma così limpide e l’aria così leggera… si sta bene.

Mentre osservo i pellegrini tibetani che passano e si prostrano davanti alle statue di Budda, rivedo, come dei flash, immagini di questi mesi per l’Asia, i volti che ho incontrato, i nuovi amici che ho conosciuto e con cui ho condiviso momenti, giorni, a volte settimane, arricchendoli, i momenti di euforia, quelli di nostalgia… e continua a risuonarmi in testa la domanda “Ma quanta strada ho fatto?” e rido felice perché sono arrivata dove desideravo e ho in me un caos di emozioni e una verità chiara e lampante marchiata nel cuore: che su questo pianeta bellissimo siamo tutti straordinariamente diversi eppure, nel profondo, siamo tutti uguali: vogliamo essere liberi, in salute, vogliamo poter amare la nostra famiglia, il nostro Paese e il nostro Dio; vogliamo solo provare ad essere felici.

                                                  

                                                                                                   Valentina


IL GRINZONE N.42