NEPAL: SOGNO O REALTA'
Il Nepal, quello della fertile valle di Kathmandu, dove i villaggi sono granai all'aperto, con le stuoie ricoperte di cereali esposti al sole ad asciugare, quello di antiche città nei cui templi dorati e sfarzosi è concentrato un passato di storia, arte e religione…
Ma soprattutto, ed è questo il nostro Nepal, la regione dell'Everest, dove la natura non regala nulla all'uomo, dove ogni terrazza coltivata è stata strappata al fianco della montagna, dove l'armonia profonda con gli Dei permette all'uomo di coglierne il sorriso e la benevolenza, anche in un ambiente così difficile, quasi ostile.
E' qui che vivono gli Sherpa, uno dei gruppi etnici nepalesi, tibetani d'origine e buddisti di fede. Per loro, che rimangono isolati tra i 2500 e i 4000 m nelle valli himalayane, la solitudine è una dimensione quotidiana del vivere che ha sviluppato una notevole capacità di autosufficienza ed un grande senso di solidarietà. Da qui nasce quell'ospitalità, antica e innata, lontana da forme di servilismo, che ci ha accompagnato.
Un viaggio che ha permesso di addentrarci nelle loro valli, dove la natura ha usato tutta la tavolozza dei colori: dall'ocra della terra al profondo blu del cielo, dal cristallo delle vette innevate, al verde dei boschi di rododendro. I valichi da superare ad alte quote ci hanno permesso di avvicinarci alla gente in punta di piedi. Qui, con emozione, abbiamo avuto incontri indimenticabili che hanno saputo fermare il nostro tempo, che ci hanno fatto guardare oltre quello che gli occhi vedono, che in un attimo ci hanno fatto dimenticare la tappa successiva, ci hanno fatto dimenticare come hai "fatto su" lo zaino, perché non trovi più i guanti che fino ad un momento prima erano lì che ti guardavano... ed è stato in questo momento che ha avuto inizio una storia...
In un paese di montagna è una giornata di fitta e fredda nebbia che tutto avvolge con il suo manto silenzioso; solo un gruppo di bambini con il loro vociare infrange la monotonia di una solita giornata di quasi inverno. Sono in sei o sette che corrono dietro ad un pallone; così da lontano non si riconosce nessuno, ci si dovrebbe avvicinare, ma senza farsi vedere... Ecco, adesso sembra di riconoscerne due: uno è sfuggito al controllo di una zia e se la sta spassando con un altro monello che, mollata la cartella in una siepe, tornerà a casa con il buio della sera, forse, anche per colmare il vuoto di una mamma che da poco non c'è più. Sono molto più che amici, sembrano fratelli e basta guardarli per capire che il passare del tempo non farà altro che tenerli uniti.
Tutt'intorno ci sono ancora le vacche al pascolo con i loro stanchi campanacci; è novembre e anche per loro sono giunti gli ultimi attimi di libertà prima del ritiro nelle stalle, brucano quel poco che i campi hanno ancora da dare perché la terra è dura e al mattino già gelata. Animali e raccolto: sostentamento delle famiglie... famiglie di donne forti che, incuranti del gelo, immergono le loro mani già nodose e più vecchie dei loro anni in ghiacciate acque per assicurare quel bucato che sa di buono, che sa di casa; sono quelle stesse donne che curano gli uomini, i vecchi e i bambini e che nascondono dietro la faccia stanca scintille di dolce curiosità. E ancora, donne anziane che, consumato ormai il rosario tra una preghiera e l'altra, ricordano di un tempo lontano, di cari perduti, di fatiche sopportate.
C'è anche lui... quell'ometto che, col suo calice in mano e la sua fragorosa risata, fa saltare per aria chi passa per caso assorto nei suoi pensieri e che intimorisce, ma allo stesso tempo fa sorridere il piccolo che per forza deve passare di lì, perché è solo da quella via che arriverà al banchetto dei dolci per spendere l'unico soldo che la mamma gli ha messo in tasca, con la speranza che non si sia infilato in qualche buco delle braghette.
Le luci del tramonto e poi il buio calano repentini, il freddo si fa più intenso e anche gli uomini rientrano nelle loro case speranzosi di trovare un fuoco e qualcosa di caldo per medicare le ossa; poca e semplice roba ma per tutti, perché l'ospite è sempre il benvenuto anche se le abitazioni sono modeste con due stanze: una dove vivere la giornata, l'altra dove dormire, una stalla e una piccola legnaia…”
E in tutto ciò, ad un tratto, ti accorgi che gli occhi brillano, pungono... forse per il fumo acre sprigionato dalle stufe che tinge i muri spessi, forse perché fa tenerezza vedere appesi alle pareti delle stanze quei ritagli di giornale che immortalano le imprese dei padri, forse perché è dolce vedere il fratello grande che, in modo maldestro, cerca di sostituire come può la donna di casa... o forse perché, arrivata ormai la metà del viaggio, ci siamo resi conto di essere a casa...
Sembra un racconto della Pasturo degli anni 40/50… perché è proprio così che ce l'hanno sempre narrata i nostri nonni e genitori... e invece è il Nepal del 2014.
Abbiamo coltivato speranze che non sono state deluse, siamo arrivati in alto! Abbiamo gioito, goduto della compagnia ma anche vissuto momenti di solitudine e malinconia... comunque non è stato un sogno, ma un'emozionante realtà, ci siamo stati per davvero!
E non resta che dire grazie a tutte le persone che hanno reso possibile questa avventura indimenticabile: a tutti i bambini che ci hanno sorriso lungo la via, a chi ci ha ospitato, a Floriano Castelnuovo meraviglioso organizzatore, a sua moglie Doma, ai portatori e a Dawa e Chhewang, i nostri splendidi sherpa che con la luce del loro sorriso hanno sempre illuminato il nostro volto.
Maddalena
IL GRINZONE n. 50