NEPAL: SOGNO O RELTA'

 

Ventuno giorni di vacanza, due settimane di trekking, quindici chili di bagaglio, tre passi da superare, centosessanta chilometri di cammino, nove amici, un viaggio, mille emozioni: ecco il mio Nepal in sintesi.




Il sogno di una vita o almeno da quando, circa quindici anni fa, vidi le diapositive di Dario Pensa al rientro dalla sua esperienza himalayana. “Un giorno lì ci andrò” mi dicevo e poi arriva il momento giusto, quattro chiacchiere con Maddalena, i contatti con Floriano e sua moglie Doma, un po’ di passaparola grazie al quale si aggiungono anche Claudio, Mariella, Ornella e Gian (si sa che la Grigna è un piccolo grande mondo), Simona direttamente da Lugano, Armando ed Attilio da Vicenza ed il gruppo è fatto; il volo è ben presto prenotato e domenica 9 novembre si parte!

Dopo undici ore di volo ed uno scalo intermedio siamo atterrati a Kathmandu, la capitale nepalese, dove ad attenderci c'erano il caldo, il sole, Floriano con la tradizionale collana di benvenuto ed il caos, tanto caos; catapultati in una realtà completamente nuova e tanto diversa, con polvere e disordine ovunque, con il suono di clacson come sottofondo costante e continuo, rimango sbalordita ma allo stesso tempo divertita. Il secondo giorno l'abbiamo dedicato alla visita della città, alla scoperta dei luoghi sacri, delle tradizioni, dei profumi, dei colori e dei sapori; passati davanti al ristorante italiano lo abbiamo ignorato a favore di quello tradizionale per assaggiare Bahlbat, il piatto tipico a base di riso e lenticchie.

    

Kathmandu nella sua particolarità è una bella città da vedere ma non da vivere: il rumore a tratti è quasi insopportabile al punto che il richiamo delle montagne diviene forte; siamo tutti in trepida attesa di partire per il Khumbu e la Valle dell’Everest. Con un po’ d’ansia aspettiamo il nostro volo verso l’aeroporto di Lukla, definito il più pericoloso del mondo a causa della pista di atterraggio ma, forti della benedizione della monaca (e qualcuno aiutato anche dalle gocce di Bach), affrontiamo senza problemi volo e atterraggio.  Come da tradizione dei trekking himalayani il gruppo si arricchisce di cinque persone, fantastiche aggiungerei: due Sherpa, ovvero quelle che noi definiremmo guide, e tre portatori che con umiltà e forza immensa si caricano dei nostri bagagli per tutti i giorni di cammino:  se noi abbiamo difficoltà a portare uno zaino pieno, loro riescono a far lo stesso percorso con 30 kg e più sulle spalle e con il sorriso sempre sulle labbra. È solo grazie a loro se trekking e spedizioni possono essere effettuati.

La strada, o meglio il sentiero verso l’Everest è davanti a noi ed inizia… in discesa! (ma incontriamo la salita ben presto). Valli, fiumi e ponti da attraversare, quattordici tappe di giorno in giorno verso nuovi villaggi, inizialmente più popolati, poi sempre più piccoli e isolati fino a diventare un gruppo di lodge, ovvero piccoli rifugi dove poter mangiare e dormire. Se alle quote minori quello che colpisce sono il modo di vivere, gli orticelli, le stalle con gli animali, salendo di quota la cultura e la civiltà lascia spazio all’ambiente, i paesaggi diventano più ampi, il cielo è sempre più terso, rocce, sassi, laghi e ghiacciai si alternano mentre le montagne imponenti, quelle tanto sentite e narrate con le  relative spedizioni e conquiste, ma anche spesso tristemente famose per le tragedie consumate, diventano una presenza costante e dominante: Everest, Nuptse, Lothse, Makalu, Ama Dablan sono così vicini, sembrano scrutarci e silenziosamente osservarci nonostante i 2000 - 3000 metri di dislivello che ancora ci separano.

Sveglia presto, ripiegare il sacco piuma, fare il saccone, controllare di non aver dimenticato nulla, colazione in attesa che il sole riscaldi un pochino l’aria e poi via. Dietro a Claudio, che conosce il Khumbu quasi come la Grigna, uno Sherpa fa da apripista al resto del gruppo che  più o meno sparpagliato procede fra momenti fotografici, pause spuntino e  distribuzione di penne, matite e caramelle ai bimbi dei villaggi, mentre lo Sherpa Dowa,  sempre vigile e sorridente chiude la fila, assicurandosi che tutto proceda per il meglio. In tutto questo c’è sempre Floriano che, quando non è impegnato a farci da fotoreporter, è il nostro cicerone per eccellenza: con la sua preparazione alpinistica ci spiega il mondo della montagna, mentre con la sua esperienza di cittadino nepalese d'adozione ci illustra dettagliatamente usanze, tradizioni e modi di vivere. 

Se non fosse per la sveglia del mattino, l'orologio non esiste, il trascorrere del tempo è  molto naturale, scandito dal pranzo, dall'arrivo al lodge, dal  momento del thè e della cena, dalle partite a carte con gli Sherpa e dai tornei di scala quaranta Italia contro Nepal (riuscendo pure a perdere quasi sempre), dalle chiacchiere e dalle risate della sera attorno alla stufa, unica fonte di calore. E poi quando si dice che il mondo è piccolo è proprio vero: durante il trekking ci raggiungono due amici, Alex, il gestore del Rifugio Brioschi, e Chicco, anche loro in Khumbu per le vacanze.  I giorni passano svelti, le tappe mancanti diventano sempre meno e l'anello del trekking è ormai concluso, con i sacconi sempre più vuoti (bresaola e formaggio sono finiti rapidamente) ma con cuore e mente sempre più ricchi.

Un viaggio che sulla carta doveva esser uguale per tutti in realtà è stato un viaggio diverso per ciascuno di noi, ognuno con le proprie emozioni ed immagini  impresse: ricordo il sorriso dei bambini, la generosità delle persone che nel non aver nulla hanno tutto, le stellate immense, i tramonti, il compleanno festeggiato fra lacrime e sorrisi a 5500 metri, il ghiacciaio, lo spavento per colpa degli occhi dello yak che nel buio mi fissava mentre mi lavavo i denti nel prato, le lezioni di lingua Sherpa,  le serate al pub e le discoteche improvvisate (si sa che gli italiani dove vanno un po’ di casino riescono sempre a farlo), il pollo arrosto di Doma che dopo paste e zuppe rincuorava lo stomaco, i silenzi ed il rumore del vento.

C’è un problema con l'aereo interno, si torna a Kathmandu un giorno prima” è stato come un pugno nello stomaco: è giunta l'ora dei saluti; una stretta di mano ai portatori, un abbraccio agli Sherpa, un augurio sincero per la vita, il lavoro e per le loro prossime spedizioni, convinti che sarà un arrivederci, si riparte.

Kathmandu ci aspetta, il giorno aggiuntivo è l’occasione per visitare la citta di Bhaktapur, set del film “Il piccolo Buddha”, il centro di Patan e per intensificare lo shopping dedicato ai souvenir; il tempo del rientro non tarda ad arrivare e  l'aereo sembra capire il mio stato d’animo, anche lui come me “non vuole” tornare e accumula ritardo così che il decollo avviene al tramonto ed il frastagliato profilo himalayano baciato dagli ultimi raggi di sole aumenta la malinconia; qualcuno è solo  triste mentre qualcun altro si lascia scappare  qualche lacrima. Prendi atto che è finita ma torni contenta per l'esperienza vissuta e felice di sapere che il papà è a casa e ti aspetta, meglio ancora se con un buon piatto di pizzoccheri fumanti, in alcuni momenti tanto desiderati…


                                                                                                                                                                                                                           Arianna

 

IL GRINZONE n. 50