IL CAMMINO DI FRANCESCO
Enzo Volpe lo scorso mese di agosto ha compiuto un pellegrinaggio a piedi lungo 300 km…
Come è nata l’idea di fare un pellegrinaggio?
Sono del 1965 e per i miei cinquant’anni volevo fare qualcosa di diverso; qualcuno mi ha suggerito di andare a Cuba, ma non era proprio quello a cui ambivo. Volevo fare un giro di più giorni in montagna da un rifugio all’altro come non facevo da anni. Per non rischiare di dover poi annullare il tutto a causa del maltempo (visto la pessima estate 2014) pensavo a qualcosa di diverso… Mi sono informato in merito al Cammino di Santiago de Compostela che ultimamente è meta di molti / troppi visitatori, un vero e proprio business. Nonostante le mie perplessità ho continuato ad approfondire in internet il tema Santiago ed una sera, in allegato, mi è comparso un link che citava il “Cammino di Assisi”: dal santuario di Dovadola, vicino a Forlì, fino alla Basilica di San Francesco in Assisi, 300 km lungo gli Appennini.
Perché hai scelto questo cammino e non altri?
Come dicevo, mi ci sono imbattuto quasi per caso, non sapevo neppure esistesse il Cammino di Assisi, ma ne sono subito stato affascinato perché per me Assisi è “Assisi”: un luogo unico a cui sono legato da tempo e dove torno sempre molto volentieri. Ripercorrere le vie di S.Francesco, respirare la sua pace, condividere la sua semplicità, sarebbe stata sicuramente una buona cosa e un buon modo per usare il mio “tempo”. Non conoscendo gli Appennini, attraversarli a piedi sarebbe stata una esperienza nuova e poi… perché andare a cercare all’estero quando anche noi qui in Italia abbiamo luoghi meravigliosi?
Cos’è il Cammino di Assisi? Cosa rappresenta?
Non credo esista una risposta univoca, ognuno trova la sua.
Il cammino può essere tante cose, dalla semplice camminata al più profondo viaggio interiore.
Un pomeriggio, a Città di Castello, ho avuto la fortuna di incontrare l’ideatore di questo “Cammino” e nel parlare della mia esperienza, di ciò che avevo trovato lungo il sentiero, mi ha raccontato che molti camminano, ma solo con i piedi, guardano senza vedere, ascoltano senza sentire; dipende da come ciascuno è o cosa cerca. Quando ci eravamo sentiti via mail, prima della partenza, mi aveva dato del “matto” e criticato, non proprio velatamente, per il mio voler dimezzare il tempo di percorrenza e per questo mio correre perché, a suo avviso, non sarei riuscito ad assaporare le emozioni. Quel giorno, dopo quasi due ore di colloquio, mi dava atto che non importava quale fosse il ritmo con cui giravano le gambe, ma il ritmo con cui giravano i pensieri e la qualità di quest’ultimi.
Prima di partire, quando ho compilato la scheda di iscrizione al cammino, bisognava indicare la motivazione. Fra le tre opzioni, dopo un'attenta riflessione, ho barrato “devotis causa”. Sì, volevo sfidare me stesso, andare a piedi fino ad Assisi a ringraziare per tutto quello che avevo avuto in questi cinquant’anni: il lavoro, la salute, una bella famiglia, niente di così scontato…
Trecento chilometri sono parecchi; quale preparazione è stata necessaria?
Ho iniziato subito in autunno ad allenarmi, nel tempo libero, andando a camminare qui nelle nostre zone, battendo un po’ tutti i sentieri senza fare grandi dislivelli e aumentando via via le lunghezze; oppure andando e tornando dal lavoro a piedi un paio di volte a settimana. Il mio obiettivo era doppiamente sfidante perché volevo portare a termine il percorso in metà tempo rispetto alle tempistiche consigliate, due tappe in una, sette giorni anziché tredici. E’ stato il mio pensiero fisso per otto mesi; mi alzavo presto anche nei giorni festivi, per non sottrarre troppo tempo alla famiglia e non tutte le mattine avevo questa gran voglia di alzarmi e partire, soprattutto d’inverno!
Qual è stata la fatica maggiore nel compiere un percorso così lungo per la prima volta? Qual è stato l’aspetto più bello?
Non è stato faticoso, è stato strano.
La cosa più bella è stata stare solo con se stesso.
Nella vita di tutti i giorni la solitudine è considerata una condanna, mentre lì era un “privilegio” che costava caro. Un gran privilegio però! “Caro” perché si può contare solo sulle proprie forze e si è soli a decidere se la strada che stai percorrendo sia quella giusta o quella sbagliata: più di una volta ho percorso cinquecento metri per poi tornare indietro un chilometro con il dubbio di non aver visto una biforcazione o un cartello di segnalazione. Si cammina per buona parte del tempo immersi nella natura e nel silenzio, si pensa molto e, ogni tanto, assorti nei propri pensieri, ci si chiede se si è andati troppo avanti, se siano trascorsi i quattro chilometri indicati sul percorso prima di dover svoltare. Se si è sbagliato ci si consola da sé.
“Privilegio” perché viaggiare soli permette di incontrare persone, con le quali si instaurano rapporti semplici e per questo veri e profondi; si coglie l’essenza dell’altro, che rimane ricordo autentico.
Durante il giorno procedevo solo, la sera negli ostelli o conventi del “cammino” trovavo gli altri pellegrini; il giorno seguente ero nuovamente solo ed alla tappa successiva non rincontravo più le stesse persone dal momento che in una giornata percorrevo il doppio tragitto. Ripartire in solitudine dopo il primo pernottamento e la cena in compagnia è stata dura, poi mi sono abituato ed ho finito per apprezzarlo.
A circa metà tragitto mi è capitato di partecipare ad una S. Messa celebrata, nel parco del Casentino, da un giovane prete pellegrino; come altare era stato adibito un vecchio tronco cavo, per calice un semplice bicchiere di vetro, le pietre sono diventate le nostre sedie ed immense fronde di un castagno secolare creavano una volta splendida sopra di noi… per la prima volta mi sono sentito veramente figlio di Dio e della sua Chiesa, fatta di tutto ciò che ci circonda, della bellezza del creato. Realizzavo che non sono necessarie basiliche imponenti, costruite per la gloria di chi le ha progettate e commissionate; non sono necessari rituali complicati per pregare; Gesù e San Francesco hanno predicato solo pace e semplicità. E così, paradossalmente, “ho incontrato San Francesco” molte volte per strada nelle persone che, in modo disinteressato, mi hanno dato da bere, da mangiare, un’ informazione, una parola buona, ma ho fatto molta fatica a riconoscerlo a “casa sua” nelle chiese di Assisi.
Non è facile spiegare cosa a un certo punto sia successo, ma il “mio cammino” è come se si fosse chiuso molto prima di raggiungere Assisi. Mancavano ancora tre tappe, ma io ormai sentivo di essere “arrivato”; sarei anche tornato indietro, se non fosse che ad Assisi mi aspettavano la famiglia e alcuni amici. Non importava più il traguardo dei trecento chilometri, i sette giorni anziché tredici. Non so come dire… ero “arrivato dove dovevo arrivare”, con la sofferenza dei piedi lacerati (la mia penitenza), ma forse anche questo era già scritto…
Quell’avventura che era nata come “una pazzia”, una prova sportiva, una sfida con me stess, si è rivelata “qualcos’altro” e il segno che sarebbe stata un’esperienza diversa avrei potuto coglierlo molto prima: nulla è casuale… mi sono ricordato che nella scheda d’iscrizione avevo indicato “devotis causa”.
Barbara
IL GRINZONE n.53