RITORNO AD EST

 

Quando nove anni fa, dopo il mio primo viaggio nelle Filippine, mi chiedevano di raccontare quello che avevo visto e come fosse questo mondo così lontano, mi bloccavo limitandomi a dire che era stata un’esperienza unica, non riuscendo a definire con le parole qualcosa che mi aveva così tanto stravolto in pensieri, emozioni, prospettive.
Nel mese di novembre di quest’anno, finalmente, mi si è ripresentata la possibilità di tornare in questo Paese meraviglioso e ricco di contraddizioni. Questa volta, forse più matura dal punto di vista anagrafico, meno sprovveduta e, quindi, più facilmente capace di rielaborare i miei vissuti, mi sento di condividerli con le persone a me vicine e, invitata a scriverne, provo ad abbozzare la mia esperienza, sperando di incuriosire qualcuno.

Sono partita dall’Italia il 3 novembre e dopo oltre venti ore di viaggio, di cui tre di scalo a Dubai, sono atterrata a Manila, la capitale delle Filippine, sull’isola di Luzon. Scesa dall’aereo, l’impatto con la diversità del luogo in cui mi trovo è immediata: il caldo, l’umidità, il caos cittadino di macchine e clacson e gli odori misti di smog e fritto che impregnano l’aria mi danno il benvenuto.
Per la strada è come se non esistessero regole, tutti suonano per far sentire la propria presenza agli altri, si sorpassa a destra e a sinistra, ci si affianca, si taglia il percorso altrui, …i colori dei semafori valgono meno della volontà degli automobilisti. Subito riconosco i jeepney e i tricycle, tipici mezzi di trasporto pubblico che caricano tanti passeggeri quanti ce ne stanno.

Il primo giorno passo velocemente a salutare i padri somaschi della parrocchia di Alabang, quartiere a sud di Manila. Padre Gabriele mi accoglie: disorientata dalla vitalità spontanea e disordinata del popolo filippino, lì respiro aria di casa e pace. Mi aggiorna sulle realtà di accoglienza dei padri che avevo visitato nel 2004 e sulle due nuove opere che hanno aperto recentemente. Mi spiega che la maggior parte di esse sono ora interamente gestite da padri filippini, che sono cresciuti nella congregazione somasca, secondo il carisma di San Girolamo Emiliani. Mi racconta l’esito di alcune situazione di bimbi e famiglie che avevo incontrato allora; è strano come mi senta dentro queste storie pur essendo passati diversi anni…

Nel pomeriggio mi reco nuovamente in aeroporto per il volo che mi porta a Cebu, nell’isola di Visaya a sud di Luzon. Ad aspettarmi trovo padre Luigi, che mi recupera e porta nella comunità per minori in cui vive. Arriviamo a Casa Miani Arvedi e Buschini e trenta bambini e ragazzi di età compresa tra sei e diciassette anni mi vengono incontro e salutano, afferrando la mia mano e portandola con un inchino alla loro fronte, in segno di rispetto e riverenza (solitamente in famiglia i figli lo fanno ai propri genitori). La loro vivacità è contagiosa, subito mi conducono in un salone e mi coinvolgono nel gioco, non parlano inglese ma visaya, ci intendiamo a gesti. Da quel momento divento per loro “ate” Manuela, nomignolo dato in famiglia dai bimbi alla sorella maggiore, che svolge il ruolo di sostituta materna.

Mi stupisce vedere come bastino degli elastici, le proprie ciabatte o gli insetti (meglio se grossi ragni o formiche) per impegnare i bimbi in intere ore di gioco, completamente inventato e regolato da loro.

A cena mi siedo vicino ai più piccoli; il piatto unico, che comprende sempre riso bollito e stracotto (utilizzato al posto del pane) e pesce o carne fritta, viene per lo più divorato da loro con le mani… le posate ci sono (non i coltelli), ma è come se con le mani si gustasse tutto in maniera maggiore… hanno un’aria così soddisfatta!

Resto nella comunità di padre Luigi per qualche giorno. Il complesso architettonico con la sala da pranzo, la cucina, gli studi, i laboratori (d’informatica, sartoria e falegnameria), le camere, la cappella, dono di una famiglia di Cremona, dice della totalità con cui si concretizza l’accoglienza somasca: l’attenzione è sì in risposta ai bisogni primari, quindi ad un luogo in cui dormire e mangiare, ma anche alla formazione spirituale e professionale; p.Luigi è emblematico, sta con i ragazzi e fa con loro dalle 5:15 del mattino quando si svegliano, e li accompagna con affetto nel loro percorso di crescita, valorizzando le risorse di ciascuno e indicando con speranza prospettive di vita migliori rispetto a quelle di provenienza. I bimbi che accoglie hanno situazioni di grave disagio familiare, dove problemi quali abbandono, trascuratezza, maltrattamento e abuso sessuale sono all’ordine del giorno.

Lo stereotipo della famiglia filippina è quello della famiglia numerosa e che si vuole bene. Effettivamente c’è un grande senso di solidarietà, ma ci sono anche grandi problematiche; tra queste le maggiormente diffuse sono l’alcolismo e l’abuso (spesso il primo è connesso al secondo). Il padre ha il ruolo di padre/padrone che manifesta il suo potere con la forza.


       

Nella visita alla città di Cebu è evidente, come a Manila, il centro del business, caratterizzato da strade ordinate, parchi verdi con piantagioni tropicali, ville e grattaceli, ognuno con un poliziotto all’ingresso. Tutto intorno distese di quartieri popolari e affollate squatter areas (aree di abusivi), che solitamente s’insediano sulle rive di torrenti/fogne, catalizzano la mia attenzione: la povertà della gente che vi abita è tangibile, le baracche fatte di legno, cartone e lamiera, gli odori nauseabondi e i visi incuriositi delle persone restano impressi nella mia mente. Incontro diversi street children (bambini di strada), anche molto piccoli (3-5 anni), che per combattere la fame sniffano la colla e si stordiscono.         

A Cebu vado a vedere il santuario del Santo Nino, tanto visitato dai filippini che venerano Gesù Bambino e chiedono grazie. C’è in effetti una lunga coda di fedeli che attendono il proprio turno per toccare la statua del Gesù Bambino, tutto vestito d’oro con manto e stivali da imperatore, ed esprimere la propria preghiera. Il popolo filippino (se non si considera l’isola di Mindanao che è a maggioranza musulmana) ha una religiosità cattolica sentita e profonda; la devozione popolare è sbalorditiva, sia nella partecipazione alle messe domenicali, sia nel coinvolgimento in feste religiose, processioni e preparativi ai particolari momenti dell’anno liturgico. Il confine tra fede e superstizione diventa però molto sottile.

Il paesaggio filippino è veramente molto bello: si passa dall’oceano, con spiagge bianche e barriere coralline, ai laghi, dai vulcani alle colline di palme di cocco, con colori intensi quali azzurri e blu delle acquee del cielo e diverse sfumature di verde per le piantagioni di riso, papaye, manghi, banani. Ma la stessa natura diventa a volte volubile e minacciosa con tempeste improvvise, tifoni, terremoti ed eruzioni vulcaniche. Cebu è stata colpita qualche mese fa da un grande terremoto che ha devastato la città e, proprio nei giorni del mio viaggio, anche dal tifone Yolanda, di cui tanto hanno parlato i mass media del mondo. La zona dove purtroppo si contano migliaia di morti e danni per centinaia di milioni è l’isola di Samar, distante appena pochi kilometri più a ovest da Visaya. È stato veramente impressionante, sia per l’attesa precedente, fatta di persone che facevano le scorte di viveri ai supermercati e dal silenzio assordante della natura, che sembrava in sospeso ad aspettare chissà quale fenomeno, sia per la tempesta con forte vento e acqua, che a Cebu fortunatamente si è limitata a sradicare piante e pali della corrente.

Le contraddizioni di questa terra lontana sono molte: l’aria condizionata a temperature bassissime in ogni locale pubblico (tanto da dover uscire sempre con il maglione), i giganteschi centri commerciali (grandi almeno cinque volte le “Meridiane” di Lecco) che sorgono al fianco delle baracche, la povertà estrema e l’assenza di un ceto medio, … eppure è così affascinante ed accogliente che anche questa volta ho faticato a rientrare in Italia. Mi racconto che si può fare tanto bene anche sul nostro territorio, però forse là, in mezzo al niente, diventa più visibile e facilmente riconoscibile.

Sicuramente sono tornata a casa con un bagaglio più ricco, fatto di sorrisi, emozioni, coraggio e speranza, che mi aiuta ad affrontare i piccoli problemi quotidiani, ridimensionandoli, con la convinzione di essere fortunata per tutto ciò che mi circonda.                                        

                                                                                    

                                                                                                     Manuela    

 

 
 

IL GRINZONE n.45