Il giovane Holden
La recente scomparsa di Jerome David Salinger offre l’occasione di leggere o di rileggere il suo capolavoro “IL GIOVANE HOLDEN”, pubblicato nel lontano 1951, con il titolo originale “The latcher in the Rye”, espressione enigmatica ed intraducibile in italiano.
L’autore è un soggetto a dir poco bizzarro: nel 1953, all’apice della popolarità, abbandona New York e si ritira, a soli 35 anni, nella casa di campagna a Cornish, nel New Hampshire; stacca il telefono, secreta l’indirizzo, rifiuta le interviste, non si fa più vedere da nessuno, diventa un muto.
Il libro non ha propriamente una trama; si svolge quasi esclusivamente in una New York grigia ed ha una durata di un solo weekend.
Il protagonista, Holden Caulfield, è un rampollo dell’alta borghesia “wasp” in crisi esistenziale, un ingenuo arrabbiato che si commuove per niente, che smonta l’ipocrisia del mondo e che rifiuta gli pseudovalori della classe sociale di appartenenza.
Salinger smonta l’ ”american dream”, spalanca la finestra nel vuoto che c’è dall’altro lato della parete ed illumina per un attimo il buio del cuore nella prosperità post-bellica.
“Il giovane Holden” è uno di quei libri di culto, che si conoscono anche senza averli letti, regalato dai padri ai figli in una sorta di reciproca educazione sentimentale, un libro attraverso il quale intere generazioni hanno imparato a conoscere ed ad amare l’America degli anni ’50.
Buona parte del suo fascino deriva dal linguaggio: uno slang formidabile e bislacco, un lessico che mima la lingua dei giovani e la fa sentire viva, un vero rompicapo per i traduttori.
Carlo Amanti
J. D. Salinger, Il giovane Holden, Einaudi Super ET, 12,00€, pag. 248.
IL GRINZONE n.30